Venezuela: ascesa e crollo del chavismo, un’analisi storica
[Traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di Ryan Brading pubblicato su The Conversation.]
Anche se centinaia di migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare e boicottare il risultato elettorale, il presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha dichiarato la vittoria in un’elezione che potrebbe consentirgli di riscrivere la Costituzione del Paese. Il risultato, che promuove centinaia di rappresentanti all’Assemblea costituente voluta da Maduro [insediatasi sabato 4 agosto, NdT], è molto controverso. Il Governo sostiene che 8 milioni di elettori, ovvero il 41,53% degli aventi diritto, si siano espressi a suo favore ma l’opposizione sostiene che l’abbiano davvero fatto solo 2 milioni e 200mila persone, ovvero meno del 15%.
La procuratrice generale Luisa Ortega, in passato fedele al Governo e oggi una delle figure più critiche di Maduro [rimossa ieri domenica 5 agosto dal suo incarico, NdT], ha dichiarato che il risultato “sommerge di ridicolo” il Paese, concedendo “troppo potere a un gruppo molto ristretto“. Il Governo deve anche affrontare le condanne internazionali, con oltre 40 Paesi che si sono dichiarati contrari all’Assemblea costituente.
Sul piano delle proposte, quelle avanzate dal Governo sono fasulle. Maduro sostiene che i suoi piani porteranno la pace in Venezuela, ma non ha spiegato quali specifici elementi della Costituzione del 1999 abbiano bisogno di essere cambiati. Sotto una nuova Costituzione, gli attuali sforzi dell’opposizione per contrastare Maduro diventerebbero pura teoria; l’attuale Parlamento, con la maggioranza in mano all’opposizione, potrebbe persino essere sciolto, o ridotto a un mero timbro di approvazione degli ordini del presidente.
Questo completerebbe la transizione del Venezuela dalla democrazia a un sistema più simile a quello della Cuba di Castro. Questo particolare Paese e le sue forme del fare politica sono da tempo un’ispirazione per i leader di sinistra del Venezuela – a grave detrimento del loro Paese.
Un santuario della rivoluzione
Mentre raccoglievo materiale per le mie ricerche nel 2007 e 2009, ho intervistato due volte una figura che ha visto svilupparsi questo processo: il mentore di Hugo Chávez e suo mediatore politico Luis Miquilena.
Miquilena, attivamente coinvolto nella politica venezuelana dagli anni ’40 fino alla sua morte nel 2016, accolse Chávez in casa sua dopo che quest’ultimo era stato rilasciato dalla prigione nel 1994. Quando abbiamo parlato, Miquilena ha descritto le molte lunghe notti spese a parlare dei problemi del Paese e di come migliorarlo una volta al Governo; “Chávez,” mi ha detto, “era come un mio figlio adottivo.” Ma non vedeva il suo protégé come la nuova grande speranza. Tutt’altro: “Una volta che conosci bene Chávez, ti rendi conto che non è materiale umano adatto a una presidenza“.
In ogni caso Miquilena ha investito seriamente in Chávez, sperando di trasformare il Venezuela da dietro le quinte. Il fenomeno del chavismo che ha dominato la scena politica del Paese negli ultimi due decenni non si sarebbe mai materializzato senza le sue relazioni, il suo impegno e la sua saggezza politica. È stato Miquilena a riunire l’impressionante coalizione di piccoli e medi partiti politici, e figure influenti, a sostegno delle vittoriose elezioni presidenziali del 1998.
Ma il progetto di Miquelena di governare una rivoluzione passiva per delega non ha avuto successo. Il suo legame quasi paterno con Chávez ha cominciato presto a sfaldarsi, e si è trovato presto messo ai margini da un altro peso massimo dell’ideologia.
Nell’ottobre del 2000, Fidel Castro visitò il Venezuela e insistette per vedere anche la casa di Sabaneta dove Chávez nacque e visse durante la sua infanzia. Secondo Miquilena, mentre erano lì, Fidel disse a Chávez: “Renderemo questa casa un santuario della rivoluzione” – e a partire da allora, Chávez iniziò ad allontanarsi da Miquilena mentre Fidel lo gonfiava con deliri messianici di grandezza. Sentendosi usato e tradito, Miquilena si dimise dal Governo nel gennaio 2002 e concluse il suo rapporto con Chávez.
Aggredisci e schiaccia
Cominciò così la radicalizzazione del Venezuela in chiave filocastrista. Il carisma e la parlantina di Chávez appassionarono la gente che si sentiva ignorata ed emarginata in una società polarizzata; dopo il colpo di stato fallito del 2002, consolidò la sua posizione con il beneficio di abbondanti petrodollari. Nonostante tutto, il profilo da maschio alfa di Chávez non era sufficiente a garantire il successo elettorale, e la sua retorica incendiaria si abbinò sempre di più agli sforzi per aggiustare il sistema a suo favore.
Gli eventi non democratici e sanguinosi che il Venezuela ha visto nei mesi scorsi hanno le loro radici nella scelta di Chávez di imporre gradualmente ma a tutti i costi una rivoluzione socialista in stile cubano. Come in una sua famosa dichiarazione del 2007: “Patria, socialismo o morte … lo giuro!”
Oggi sembra che l’idea della rivoluzione debba essere difesa a tutti i costi, inclusa la violenza, anche ai più alti livelli. Il 28 giugno scorso, Bladimiro Lugo, un colonnello della Guardia Nazionale responsabile per la sicurezza del Parlamento e dei parlamentari, ha malmenato e preso a spintoni Julio Borges, presidente dell’Assemblea Nazionale guidata dall’opposizione. Questo è successo quando Borges ha chiesto a Lugo di giustificare le aggressioni subite dalle parlamentari di opposizione e dai giornalisti che sono avvenute nel corso di quel giorno. Il giorno successivo, Maduro ha assegnato a Lugo una menzione presidenziale per il suo contributo alla sicurezza e all’ordine pubblico.
L’incidente illustra le modalità sporche di conservazione del potere: le forze armate sono mantenute fedeli grazie ai benefici loro concessi, l’influenza e persino l’impunità che vengono insieme alle promozioni, in quanto il Governo sfrutta gli interessi personali per assicurarsi che i leader militari difendano la rivoluzione a tutti i costi. Ciò spiega perché il Venezuela abbia più generali dell’esercito attivi di tutti i Paesi della NATO insieme: oggi vanta oltre 4.000 generali; nel 1993 ne contava meno di 50.
Per rendere le cose più complicate, il Governo fornisce anche armi e potere politico a gruppi civili. Conosciuti come i Colectivos, questi svolgono un ruolo fondamentale nell’oppressione di ogni forma di protesta contro il Governo. Il 5 luglio, la Guardia Nazionale di Lugo, responsabile della salvaguardia dell’Assemblea Nazionale, ha aperto gli ingressi per lasciare che i Colectivos entrassero nell’edificio per attaccare i parlamentari dell’opposizione. Questi eventi sono coerenti con il discorso belligerante di Maduro del 27 giugno scorso:
Se la rivoluzione bolivariana viene minacciata, andremo a combattere, non ci arrenderemo mai. Quello che non poteva essere fatto con il voto, lo faremo con le armi.
Perdere la reputazione
Molti nella sinistra latinoamericana hanno le idee chiare su quello che è successo a un Paese considerato una volta un faro di speranza. Un esponente particolarmente interessante e in vista, molto critico, è Jose Mujica, ex presidente dell’Uruguay. Guerrigliero di sinistra che ha trascorso complessivamente 13 anni in carcere, ha rifiutato l’offerta ricevuta da uno sceicco arabo di 1 milione di dollari per il suo vecchio Maggiolino Volkswagen e ha donato il 90% del suo stipendio presidenziale ad associazioni di volontariato, diventa sanguigno quando pensa a cos’è successo al Venezuela, come se fosse uno dei tanti detrattori occidentali di Chávez e Maduro.
Nel libro “Una pecora nera al potere” [Una Oveja Negra en el Poder] del 2015, Mujica afferma di aver avvertito Chávez che “non avrebbe costruito il socialismo” e che, alla fine, “non ha costruito proprio un accidenti di niente“. Mujica osserva inoltre che “Cuba era come una fidanzatina che ha visto peggiorare nel corso degli anni“. A quanto pare Mujica non ha mai creduto al modello cubano: “Nonostante tutte le stronzate del capitalismo, riesce a portare sviluppo“.
Avendo intrapreso questo tipo di percorso, ora il Venezuela è un disastro politico per la sinistra globale. L’impatto di oltre un decennio di esplicite politiche anti-neoliberali in un Paese latinoamericano ricco di petrolio ha fatto cattiva promozione alle alternative ideologiche alle dottrine del libero mercato, e mette in una posizione scomoda i socialisti di tutto il mondo che rispettano e seguono i processi democratici. L’abuso grossolano del termine “socialismo” da parte di Chávez e dei suoi successori è una loro grossa responsabilità.
Il Governo che hanno costruito nel corso degli anni non è populista o socialista: è totalitario. Non può più dichiarare di essere democratico, o che sia soprattutto occupato a migliorare la vita delle persone comuni. Il suo obiettivo principale, escludendo praticamente tutti gli altri, è quello di salvaguardare l’élite – anche se l’élite non è in grado di salvare il Paese dalla crisi.