L’Africa accoglie i suoi rifugiati, l’Europa fa accordi con i dittatori

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Yohannes Woldemariam pubblicato su Pambazuka]

Rifugiati in viaggio lungo il confine della Repubblica Democratica del Congo (RDC) verso il campo di Rwamwanja in Uganda. Scattata l'11 aprile 2013. Foto dell'utente Flickr Andy Wheatley/DFID su licenza CC.
Rifugiati in viaggio lungo il confine della Repubblica Democratica del Congo (RDC) verso il campo di Rwamwanja in Uganda. Scattata l’11 aprile 2013. Foto dell’utente Flickr Andy Wheatley/DFID su licenza CC.

L’illustre studioso e attivista Noam Chomsky definisce gli atteggiamenti dell’Europa nei confronti dei profughi “[come] segni della grave crisi morale-culturale dell’Occidente etichettata in modo errato come ‘la crisi dei rifugiati.'”

Come si legge nell’ultimo rapporto di Amnesty International:

Le misure adottate nell’aprile 2015 dai leader europei per rafforzare le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale avevano fortemente ridotto il numero delle morti in mare, grazie al maggior numero di imbarcazioni messe a disposizione da diversi Paesi europei e posizionate in prossimità delle acque territoriali libiche. Di lì a poco, tuttavia, i Governi europei hanno dato priorità a contrastare il traffico di esseri umani e impedire le partenze dalla Libia: una strategia fallimentare che ha dato luogo a viaggi in mare ancora più pericolosi e al triplicato aumento dei tassi di mortalità in mare dallo 0,89% della seconda metà del 2015 al 2,7% del 2017.

Questa “strategia fallimentare” conferma l’osservazione fatta da Chomsky, ovvero ciò che sta avvenendo lungo il Mediterraneo centrale più che essere una semplice crisi dei rifugiati è una crisi morale dell’Occidente e il razzismo ne è la vera causa. Infatti, ora, la nuova regola è quella di lasciare annegare i migranti africani nel Mar Mediterraneo piuttosto che salvarli. Ma vi immaginate se al posto loro ci fossero dei bianchi ad aver bisogno di essere salvati?

La Libia, l’Egitto e il Sudan sono tutti Paesi in cui i profughi diventano vittime di trattamenti degradanti – estorsione, violenze estreme, schiavitù – poiché una volta arrivati vengono torturati, violentati e assassinati. Pertanto corrompere questi Paesi al fine di scoraggiare e limitare l’arrivo di rifugiati è sinonimo della più grande cattiveria e indifferenza. Ma anche il fatto di appoggiare e dare fiducia alla Guardia costiera libica che, opera in un Paese in preda all’anarchia, significa diventare complici delle stesse organizzazioni criminali. Inoltre, come rivela un nuovo studio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR):

Il conflitto e l’instabilità del Paese hanno contribuito a creare una situazione in cui il traffico di esseri umani e le reti criminali prosperano. Allo stesso tempo, il crollo del sistema giudiziario e la dilagante impunità hanno portato numerosi gruppi armati, bande criminali e singoli individui a contribuire allo sfruttamento e all’abuso di rifugiati e migranti.

Quando un giornalista chiese al Mahatma Gandhi un parere sulla civilizzazione dell’Occidente, quest’ultimo – come tutti sanno – rispose: “Penso che sarebbe una buona idea.” In questi giorni anche il presidente americano Donald Trump sta parlando di civilizzazione occidentale, ma dove sono nelle sue politiche le prove che ci mostrano una qualsiasi forma di azione civile?

Finora la sua presidenza è stata solo caratterizzata da attacchi nei confronti di profughi e poveri, proprio perché sono le categorie più vulnerabili. Infatti quando si tratta di accogliere rifugiati e altre popolazioni vulnerabili, gli Stati Uniti sembrano mostrarsi sempre più come degli spettatori egoisti e insensibili. Ma sebbene, insieme al Regno Unito, siano i principali commercianti di armi dirette a interventi militari, sono ancora restii a utilizzarle per dare una bella ripulita al disordine creato dall’attuale esodo di profughi provenienti da Paesi devastati dalla guerra e pieni di quelle stesse armi.

Si può affermare, inoltre, che i cinque Paesi più ricchi (USA, Cina, Giappone, Regno Unito e Germania) – che costituiscono a loro volta la metà dell’economia globale – stanno accogliendo meno del 5 percento dei rifugiati mondiali, mentre l’86 percento di essi si trovano nei Paesi in via di sviluppo che spesse volte lottano quotidianamente per soddisfare le esigenze dei propri cittadini.

L’Uganda, attraverso la sua politica nei confronti dei profughi, è un grande esempio di quella moralità trascurata dagli Stati Uniti sia ora con il Governo Trump sia in passato, sebbene in misura minore, durante la presidenza Obama. Infatti, sono state molte le eccezionali testimonianze che illustrano la straordinaria accoglienza dei rifugiati da parte del Paese. A tal proposito anche il giornalista Julian Hattem, in un articolo per il Washington Post, scrive:

Piuttosto che essere rinchiusi in campi affollati circondati da muri di filo spinato, in Uganda 1,2 milioni di profughi hanno ricevuto grandi appezzamenti di terreno all’interno di insediamenti altrettanto enormi dove poter costruire proprie abitazioni o, se vogliono, piccole aziende agricole. Ma se la vita rurale non fa per loro, possono decidere di spostarsi liberamente in tutto il Paese, dirigendosi verso le città oppure verso l’animata capitale Kampala, ormai casa per 95.000 rifugiati.

Eppure la generosità di questa politica mostra anche al Paese il prezzo alto da pagare poiché Bidi Bidi, il più grande campo per i profughi nel mondo, ha raggiunto quasi il limite di sopportazione. Nonostante ciò, la sua politica pro-attiva nei confronti dei rifugiati è stata acclamata come uno dei migliori, se non il migliore, approccio per accogliere i profughi. Purtroppo, sebbene l’atteggiamento dell’Uganda abbia fornito un modello che mostra come un Paese civilizzato debba affrontare l’emergenza dei migranti, molti paesi in Africa si sono rivelati, al contrario, un incubo infernale per i profughi africani.

Per un rifugiato, in realtà, paesi come il Sudan, la Libia, l’Egitto e il Sud Africa rappresentano luoghi orribili, in cui si consumano atrocità e violenze, come quelle avvenute in Sud Africa dove alcuni profughi sono stati bruciati vivi dalle organizzazioni criminali del posto. A questo punto esistono pochissime alternative per i rifugiati e le loro possibilità di reinsediamento sono altrettanto limitate: infatti dei 16,1 milioni di profughi bisognosi stimati in tutto il mondo alla fine del 2015 dall’UNHCR, meno dell’uno percento è stato reinsediato in quello stesso anno.

A differenza dell’Uganda, l’Europa e altri Paesi ricchi cercano di evitare sempre di più di accogliere i rifugiati e per questo si sono imposti una nuova regola, quella di chiudere gli occhi di fronte alla difficile condizione dei profughi e lasciarli, dunque, annegare nel Mediterraneo centrale al largo della Libia. Inoltre, i Paesi europei al fine di scoraggiare le traversate nel Mediterraneo hanno rimpiazzato la più forte operazione italiana di salvataggio, Mare Nostrum, con Triton. Quest’ultima doveva integrare Mare Nostrum; invece lo ha sostituito, senza una chiara missione, ma con il solo compito di “gestione e controllo delle frontiere esterne” entro le 30 miglia nautiche dal confine europeo. Il motivo di tutto ciò era la preoccupazione che Mare Nostrum rappresentasse un “fattore di attrazione” per i rifugiati provenienti dall’Africa.

La messa in sicurezza delle frontiere è andata anche oltre con la NATO che l’anno scorso ha inviato pattuglie navali ufficialmente per dare la caccia ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo orientale e riportare per la prima volta i profughi in Turchia. Quest’anno, l’Europa ha incaricato la Guardia Costiera libica di portare a termine questo compito, ovvero intercettare i rifugiati a bordo dei barconi e costringerli a tornare indietro e sbarcare in Libia, dove diventano nuovamente vittime di bande criminali che fingono di far parte della Guardia Costiera. Questa situazione rappresenta esattamente il prolungamento logico della cosiddetta mentalità dell'”Europa fortezza“, che assiste ogni giorno alla morte di rifugiati uccisi per mano di questi criminali o annegati.

Dall’altro lato, l‘umanitarismo dei cittadini europei, si ritrova nelle azioni di organizzazioni internazionali come le ONG Medici Senza Frontiere (MSF) e Save the Children, o perfino in iniziative private di individui come quella di Nawal Soufi, una ragazza catanese di origini marocchine, che utilizza il suo cellulare per dare le coordinate alla guardia costiera e poter salvare le vite di quei rifugiati che a bordo di un barcone affrontano le pericolose traversate nel Mediterraneo. Tutte azioni umanitarie che hanno tutte contribuito a salvare vite umane.

L’umanità di cittadini comuni sull’isola di Lampedusa è stata raffigurata nel film documentario del 2016, Fuocoammare, diretto da Gianfranco Rosi e premiato nello stesso anno con l’Orso d’Oro al Festival Internazionale del cinema di Berlino. Il film racconta la storia della crisi dei migranti attraverso gli occhi della gente del posto, e mostra l’umanità di alcuni comuni pescatori e operatori umanitari di fronte a eventi dolorosi in cui gli scafisti sulle navi hanno lasciato morire i profughi per evitare ogni tipo di responsabilità.

Secondo quanto dichiarato da Frontex, l’agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, “circa il 40 percento di tutte le operazioni di salvataggio vengono eseguite da volontari.” Inoltre, all’indomani di uno dei peggiori naufragi, il 3 ottobre 2013 al largo dell’isola di Lampedusa, in cui hanno perso la vita 366 persone, i sopravvissuti hanno riferito di non aver ricevuto l’aiuto delle imbarcazioni vicine. In seguito a ciò le ONG sono state messe in discussione con l’ingiusta accusa di complicità con gli scafisti e di aver incoraggiato i rifugiati a intraprendere le pericolose traversate nel Mediterraneo.

Intanto, l’Europa continua ad adottare misure sempre più rigide nei confronti dei profughi e ora sta addirittura creando nuove barriere fisiche e legali come la costruzione di recinzioni di filo spinato, la demonizzazione dei rifugiati come spie, criminali, terroristi, potenziali minacce per la sicurezza e persino parassiti del benessere dei cittadini. Tutto ciò non fa altro che accrescere la loro disperazione. Tuttavia, tutti questi impedimenti non riescono a frenare il fenomeno dell’immigrazione irregolare né tanto meno a impedire ai profughi di aggirare questi ostacoli ma servono soltanto a far aumentare il numero di morti. In fin dei conti gli esseri umani fanno quello che possono per cercare di sopravvivere.

A tal proposito, un accordo a livello europeo permetterebbe da un lato di definire facilmente e definitivamente la figura del richiedente asilo e dall’altro di unificare le norme e i diritti giuridici nell’ambito dell’accoglimento e del trattamento dei profughi. Ma purtroppo, poiché i governi si trovano ad affrontare sfide sempre più estreme da parte dei partiti politici di destra, ciò sembra presagire un futuro dominato da recinzioni di filo spinato e restrizioni di vario tipo. Tali sfide, a loro volta, tendono a inasprirsi sempre di più facendo ricadere la colpa di questa crisi dei rifugiati a volte sugli Stati in prima linea (ovvero la Grecia, Malta, la Spagna e l’Italia) e altre sui Paesi non direttamente esposti (principalmente l’Austria). Infatti, i primi accusano i secondi per aver permesso ai profughi di attraversare i loro confini e per non aver adottato alcuna misura volta a proteggere le proprie frontiere. Tutto ciò è sfociato in ulteriori minacce che hanno portato a escludere gli Stati in prima linea dai privilegi dell’accordo di Schengen.

Nel recente vertice europeo a Tallin, in Estonia, le risposte a questa crisi dei rifugiati riguardavano soprattutto la limitazione delle attività di lavoro di salvataggio da parte delle ONG e la collaborazione tra i dittatori africani e la cosiddetta Guardia Costiera libica al fine di rispedire i rifugiati da dove erano venuti. Secondo alcune stime  “circa la metà degli oltre 90 milioni di euro (103 milioni di dollari) stanziati per far fronte alla crisi dei rifugiati sulla rotta del Mediterraneo, deve ora essere spesa per fornire alla Guardia Costiera libica maggiori armi e formazione.” Pertanto, incolpare le ONG è, in realtà, solo un modo per coprire temporaneamente la mancanza di azione e di capacità da parte dell’Unione Europea.

Come si legge in uno studio condotto da un ricercatore del dipartimento di Oceanografia Forense del Goldsmiths College dell’Università di Londra:

Fintanto che i migranti sono costretti a fare ricorso agli scafisti a causa della carenza di solidi percorsi legali, l’operazione pro-attiva di ricerca e salvataggio dei migranti in mare rimarrà una necessità umanitaria – sia se eseguita dagli Stati che dalle ONG. A questo punto, solo un significativo riorientamento delle politiche europee in materia di migrazione in grado di concedere un passaggio legale e sicuro potrà porre fine all’attività di contrabbando di esseri umani, ovvero a quella realtà vissuta quotidianamente da migliaia di migranti in difficoltà, e riuscirà finalmente a scuotere le coscienze dei potenti circa il loro bisogno di essere salvati.

L’Uganda indica la strada da seguire. La nazione si presenta come un modello per la sua ospitalità nei confronti dei rifugiati, ma nonostante ciò il Paese sta raggiungendo il limite di sopportazione a causa delle crescenti richieste da parte di numerosi migranti che cercano una sistemazione. Ad oggi si può dire che ciò che i Paesi donatori hanno promesso alla nazione africana nel corso del vertice di alto livello dell’anno scorso a New York, non è stato ancora messo in atto. L’unico modo per risolvere la crisi è sostenere validi programmi di reinsediamento e trovare soluzioni durature. Tra questi far leva sulla promozione dei diritti umani e una buona governance nei Paesi che “generano” rifugiati. Al momento l’unica cosa giusta da fare è aumentare le operazioni di ricerca e salvataggio e smetterla definitivamente di corrompere i dittatori, cosa crudele e incivile. Sono proprio loro, questi dittatori a rappresentare la vera causa di queste fughe.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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