[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Amy-Louise Watkin pubblicato su The Conversation]
L’idea che i bambini possano essere in qualche modo coinvolti nel terrorismo estremista è agghiacciante. Eppure con sempre maggior frequenza proprio i più piccoli, non solo subiscono inermi gli orrori dei conflitti, ma spesso vengono sfruttati come strumenti di propaganda radicale.
E non si tratta esclusivamente delle piccole vittime europee e statunitensi degli attacchi terroristici da parte dello Stato islamico (IS), ma di quelle che l’Occidente usa come pedine nella sua lotta contro il terrorismo.
Prendiamo ad esempio la prima, disastrosa operazione militare ordinata dal presidente Donald Trump. Il 29 gennaio di quest’anno il raid aereo sul villaggio di al-Ghayil nello Yemen ha ucciso 25 civili, tra cui nove bambini. Sebbene la Casa Bianca insista nel difendere le motivazioni dell’attacco, che avrebbe consentito l’acquisizione di “preziose informazioni” su al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), non esistono a tutt’oggi prove concrete dell’utilità di tale operazione.
Da non dimenticare inoltre che il successo di un’azione militare simile va misurato anche in base ai danni collaterali da essa causati, in particolare come questi atti si trasformino in materiale propagandistico nelle mani di AQAP e IS.
Strumenti di guerra
La propaganda ha un ruolo chiave nella strategia di reclutamento usata da organizzazioni come IS e AQAP. Quest’ultima in particolare, per trovare e motivare nuovi adepti, usa i social media e la rivista online “Inspire“, dove le immagini di bambini uccisi dai bombardamenti da parte dei Paesi occidentali sono strumentalizzati al servizio della causa. Tutto questo dal primo numero fino all’ultimo, che risale al novembre 2016.
Lo scopo dell’utilizzo di immagini raccapriccianti è quello di suscitare rabbia e scontento tra simpatizzanti e potenziali sostenitori, al fine di giustificare le rappresaglie contro l’Occidente.
Anche l’IS pubblica riviste digitali con contenuti simili a Inspire: Dabiq e Rumiyah vengono distribuite in rete con traduzioni in varie lingue. Nelle pubblicazioni dell’IS però le immagini di piccole vittime uccise dall’Occidente hanno gradualmente lasciato il posto quelle di “bambini soldato“, protagonisti in primo piano di atti di violenza.
Questa inversione di rotta ha principalmente due cause: in primo luogo la scelta di una nuova modalità di guerra psicologica. Punire o addirittura uccidere bambini, se pur coinvolti in attività terroristiche, va contro gli intenti dell’Occidente, che fa di tutto per proteggerli da abusi e sfruttamento. Soldati che combattono contro piccoli indifesi? Impensabile. Con tali motivazioni la rivista si propone di convincere i genitori a donare i propri figli alla causa del terrorismo estremista, con lo scopo di creare un reggimento di giovani soldati che nessun Paese occidentale avrebbe il coraggio di affrontare.
La nuova strategia propagandistica è in secondo luogo un metodo di costruzione dello Stato. Tutti, grandi e piccoli, sono utili e in grado di combattere per un’ideologia che di conseguenza trova una convalida universale; i sostenitori dell’IS sono preparati alla guerra a lungo termine; inoltre il reclutamento in giovane età getta le basi per la costituzione dell’esercito più forte ed efficace di tutti i tempi.
L’intento di AQAP e IS rimane comunque lo stesso: mostrare che anche i più piccoli sono, volenti o meno, profondamente coinvolti nella guerra contro l’Occidente, una guerra che pagano a caro prezzo, a volte anche con la vita.
Detto questo, ci si domanda con preoccupazione quanto efficace sia stata fino a ora la propaganda terroristica nel convincere aspiranti combattenti che gli attacchi contro bambini occidentali sono un atto di rappresaglia giustificato, visto che anche l’Occidente ha ucciso vittime innocenti. Sebbene in modo non esplicito, le riviste di propaganda terroristica che traboccano di immagini crude di corpicini straziati o senza vita esortano i propri lettori a passare all’azione.
L’attacco terroristico del maggio scorso a Manchester durante il concerto di Ariana Grande probabilmente aveva come obiettivo proprio i più piccoli, ed è stato inteso come atto punitivo a seguito di quanto accade ai figli dell’IS e di al-Qaeda.
La sorella di Salman Abedi ha in seguito confermato che l’atto del giovane sia stato influenzato dalla propaganda di AQAP e IS, aggiungendo in una dichiarazione rilasciata allo Wall Street Journal: “Credo che vedesse ovunque immagini di bambini musulmani morti, e voleva vendicarli.”
Macchine di propaganda
Mettere fine questo tipo di propaganda non è impresa facile, data la natura delle modalità di divulgazione.
Il Governo statunitense ha identificato nella messaggistica istantanea e nella contro propaganda due delle aree da potenziare in seno al piano strategico antiterrorismo per il 2016. Allo stesso tempo la Gran Bretagna ha proposto la criticatissima Prevent, una strategia anti terrorista che, come recentemente annunciato, potrebbe in futuro arrivare a includere lezioni di anti-radicalismo da impartire agli studenti sin dai 4 anni.
Purtroppo però i gruppi estremisti sono consapevoli del potere della loro propaganda; di conseguenza è importante che la lotta contro la propaganda sia altrettanto efficace e adattata ai vari gruppi a cui si rivolge.
Detto questo, non giova a tale intento il fatto che continuino a circolare immagini e notizie di bambini uccisi a causa della politica estera occidentale. Neutralizzare la propaganda estremista richiede uno sforzo comune, e a poco serviranno le strategie se continueranno ad esserci prove di bambini morti per mano dell’Occidente.