Colombia e i figli della coca, storie del dopo Escobar
Negli ultimi anni, grazie alle piattaforme online sono state proiettate diverse serie tv ispirate a eventi storici. Nonostante spesso le notizie siano errate o poco precise, e i fatti romanzati per adattarsi al pubblico abituato a mitizzare i personaggi, queste serie hanno portato gli spettatori a conoscenza di moltissimi fatti per anni ignorati. Una delle più note serie Tv è “Narcos“, la storia dell’evoluzione del mercato della droga in particolar modo legata al noto trafficante Pablo Escobar.
Per alcuni un benefattore, per altri uno dei peggiori criminali della storia, Escobar è stato senz’altro uno dei personaggi più controversi e famosi degli ultimi quarant’anni, soprattutto qui in Colombia. Nel 1993 muore in un conflitto a fuoco con la polizia, nella città di Medellin. Escobar, all’epoca il narcotrafficante più potente dell’America Latina, era secondo la rivista “Forbes“, il settimo uomo più ricco del mondo con un patrimonio di circa venti miliardi di dollari.
Quando cammino per Medellin Norte vedo molti cambiamenti dagli anni delle guerre di droga, in cima alla collina sorge l’enorme e modernissima Biblioteca España, che offre sale didattiche ai bambini che non possono permettersi libri e computer. Ci si arriva tramite una delle più moderne e funzionali funivie del mondo: “el metrocable“, uno splendido esempio della nuova Colombia. Venti anni fa, chiunque avesse camminato senza permesso qui o non fosse stato del luogo, si sarebbe preso una pallottola, tuttavia questa continua a rimanere una delle parti più povere della città.
La parte norte è sempre stata un luogo separato e diviso dal resto della città, siamo lontano dai musei e dalle statue di Botero, che si possono ammirare in ogni angolo delle piazze. Questa era la roccaforte dei narcos, la favela inaccessibile, è qui che si trovano i testimoni dei giorni più difficili e violenti degli anni ottanta e novanta, restano solo loro perché la maggior parte dei narcotrafficanti di oggi vive in ville lussuose con piscina e lontano dai centri abitati. Qui Pablo Escobar cominciò a costruì la sua fortuna e la sua la fama di Robin Hood, devolveva soldi per le scuole, ne regalava quand’era di buon umore.
Dona Rosa è una delle abitanti di questi luoghi, ha conosciuto Escobar quand’era giovane e ora è proprietaria di un piccolo negozio che serve cibi da portare via, mi dice:
di tanto in tanto passava qui per comprare delle arepas [focaccine di mais, NdR] che vendevo per strada. Un giorno mi mise in mano una mazzetta di banconote, mi disse che erano buonissime e che invece di un chiosco, con quei soldi, avrei potuto costruirmi un negozio e così feci, questo è stato costruito con quei soldi.
Camminando tra urla di bambini che giocano a calcio e venditori ambulanti, si nota come quasi tutte le case sono rimaste con i mattoni nudi, senza intonaco o tinteggiatura, sembra che si possano tirare giù in fretta, così come sono state costruite, senza un ordine o un permesso, è qui che incontro Hector, un educatore che lavora per le zone più disagiate. Lui ha un’opinione completamente diversa a proposito della mitizzazione dei criminali.
Mio padre era un giudice che lavorava per arrestare i membri del clan di Escobar. Uccisero prima mia sorella, poi mio fratello e alla fine mio padre. Con mia madre scappammo in Germania rifugiandoci da una zia. Per eliminare i suoi nemici in Europa, negli anni Novanta Escobar usava come sicari i terroristi dell’ETA, 14 mila dollari a omicidio era la loro tariffa. Non ci hanno mai trovato o forse per lui non eravamo più un pericolo. Siamo rimasti in Germania fino al 2009 e ora stiamo riprovando a vivere nella nostra terra natale.
Mentre continuiamo a passeggiare tra i vicoli tortuosi della favela, vedo molti murales. Alcuni inneggiano a una rivoluzione, altri all’arte, molti sono contro il Governo. Chiedo a Hector come vede cambiati questi luoghi dopo il suo ritorno:
Purtroppo ho notato che molti si sono abituati alla presenza dei narcos e non ci fanno più caso. Tutti sappiamo chi sono, li vediamo uscire dalle loro ville con enormi SUV e fidanzate appariscenti, sappiamo dove abitano, ma sembra che non ci siano mai abbastanza prove per condannarli, il denaro compra molte cose.
Sapevi che a Medellin nascono ogni anno nuovi centri di chirurgia estetica? Il motivo è la nuova moda di avere il sedere grande come le ragazze dei video dei rapper americani, quindi ora le donne dei narcotrafficanti si fanno iniettare del silicone nei glutei, le chiamiamo le hormigas culonas (come la formica della giungla colombiana dalla parte inferiore sproporzionata). Pensa che per emularle alcune ragazze più povere sono morte iniettandosi del silicone industriale per edilizia nelle natiche, che poi ha causato un’infezione, se non è follia questa…
Dopo le parole di Hector ho cominciato a notare anch’io questi particolari, mi colpisce soprattutto l’indifferenza con cui i boss della droga si atteggiano in giro per la città senza neanche provare a nascondersi. Quando mi sposto a Cali, altro punto nevralgico per il traffico di droga, incontro Silvio, che mi racconta:
Le città colombiane si dividono in extractos, quartieri numerati dall’1, più povero, al 5, più ricco. Poi ci sono quelli che chiamiamo 6 e 7, sono le case, anzi i palazzi, dei narcos che sono appunto talmente sfarzosi da non poter essere classificati secondo i canoni normali. Io e la mia famiglia siamo stati sfollati, fino agli anni novanta chi aveva la sfortuna di vivere nei villaggi che sorgevano sulle strade della droga era invitato, diciamo così, a lasciare la propria abitazione, chi si rifiutava era giustiziato sul posto. Mio padre era uno di questi, con molta fatica abbiamo provato a ricostruirci una vita qui a Cali.
Gli sfollati sono, secondo le Nazioni Unite, le persone che hanno dovuto abbandonare casa in Colombia dagli anni Ottanta a oggi, per le guerre di droga o per il conflitto con i guerriglieri. Gli sfollati colombiani sono 6,9 milioni (più di Siria e Iraq) e al momento il Governo non ha attuato nessun piano per risolvere l’emergenza o risarcire in parte le famiglie.
Il presidente Santos ha dichiarato: “La nostra priorità è il negoziato di pace con i guerriglieri delle FARC, solo dopo potremo sistemare gli altri problemi del Paese”.
Tutti questi eventi non hanno toccato solo la Colombia ma hanno prodotto un effetto globale, perché i consumatori di droga esistono in tutto il mondo e l’Italia ha il triste primato di aver contribuito a espandere questo traffico.
Dopo la morte di Escobar, il suo grande e unico cartello si frammentò in piccoli “cartelitos” che cominciarono a farsi guerra tra loro, alcuni legati ai gruppi di guerriglieri di sinistra altri ai paramilitari di destra, il Paese era nel caos, e qualcuno ne approfittò.
L’italiano Raffaele Amato, detto “Lello o’ Spagnuolo”, era uno degli uomini più importanti del clan camorristico dei Di Lauro. Fino a quel momento i clan acquistavano la droga colombiana dagli intermediari nelle Asturie in Spagna, ma Amato ebbe un’intuizione che cambiò per sempre il mercato della droga europeo: decise di trattare direttamente con i produttori d’oltreoceano.
Amato si recò a Cali, si consegnò come ostaggio nelle mani dei narcos e cominciò a contrattare le partite di cocaina, offrì la sua vita come personale garanzia che i soldi sarebbero arrivati tutti e puntuali. Amato in seguito diverrà uno degli “scissionisti”, avviando un prosperoso commercio di stupefacenti, uno dei tanti motivi che portarono alle guerre tra clan di Scampia. Contrattare senza intermediari fece guadagnare ai clan il 50 per cento in più.
Secondo i dati della DEA la Colombia produce il 90 per cento della cocaina consumata negli Stati Uniti e il 60 per cento di quella consumata in Europa; a ogni passaggio dei carichi la droga ha un rincaro, i narcos guadagnano dai quindici ai trentamila dollari per ogni chilo e ne vendono centinaia ogni giorno.
In Italia i clan che ne gestiscono lo spaccio al dettaglio guadagnano circa 100 mila euro per ogni chilo, se ne vendono a decine al giorno, un ragazzino che fa il “palo” durante uno scambio o uno spaccio, arriva a guadagnare circa 300 euro al giorno.
Tutti questi numeri, tutti questi profitti sono stati la causa di centinaia di morti e migliaia di sfollati. I genitori di Hector, i parenti di Silvio, i familiari di migliaia di altre persone sono entrati in una guerra che non hanno chiesto, sono lontani dai miti delle serie tv e continuano a pagare un prezzo in dolore altissimo, ancora oggi. Tutti loro, tutti quelli che sono nati e hanno vissuto metà della loro vita tra conflitti e sparatorie, da queste parti sono stati soprannominati i figli della coca.
[Tutte le foto sono di Angelo Calianno]