2 Novembre 2024

Sul barcone con il sogno di diventare campioni

Immagine tratta dal documentario Godfred
Immagine tratta dal documentario ″Godfred″

“Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione”. Parola di Nelson Mandela.

A leggere la cronaca, i casi in cui il sogno di una vita migliore ha trovato il suo lieto fine non mancano.

Eccone alcuni. Salim Cissé, calciatore attaccante guineano, è sbarcato a Lampedusa con un barcone. Adama Niang, classe ’91, salutato dalla stampa come “il nuovo Salim Cissé”, è scappato dalla miseria del Gambia arrivando in Italia con un viaggio della speranza, nel 2014. Ancora dal Gambia è arrivato come rifugiato il bomber del Werder Brema, Ousman Manneh.  E è a soli dieci anni che il calciatore Saido Berahino, classe ’93 originario del Burundi, è scappato dalla guerra civile. Tredici ne ha il giocatore di basket Klaudio Ndoja, ovvero “il gladiatore”, 201 cm di altezza e coraggio, ruolo di ala, di nazionalità albanese, quando sbarca in Italia su un barcone di clandestini, nel 1998.

Dal mare è arrivato anche il migrante rugbista 26enne ghanese Salayaman.

Sul barcone eravamo in 200 e accanto a me ho visto morire tre persone. Io e mio fratello ci siamo salvati, perché avevo portato con me dei datteri con cui ci siamo nutriti e che abbiamo condiviso anche con altri. Ma ora non fatemi più ricordare quel viaggio: voglio solo andare avanti.

Mohad Abdikadar Sheik Ali, dalla Somalia, si è affermato invece sulle piste d’atletica,  dopo essere sbarcato a Lampedusa nel 2006.

Alcune storie “di sofferenza e di riscatto“, si usa per lo più rubricarle così, assegnando loro un posto nella cronaca sociale e non solo in quella sportiva. Storie che – com’è inevitabile – non mancano neppure di fornire spunti per documentari e libri.

Così, capita talvolta che siano le stesse società sportive a vestire i panni di produttore. È il caso di “Godfred“, storia del centrocampista ghanese Godfred Donsah  che gioca con il Bologna: è il club rossoblù, per questa storia di sogni e sacrifici, a realizzare un bel documentario, sulle tracce delle origini del giocatore.

Da piccolo giocava, giocava e giocava – racconta la madre Anane – In Ghana chi passa il tempo a giocare a pallone è considerato un vagabondo, ma io l’ho lasciato fare perché vedevo quanto era determinato.

A sbarcare a Lampedusa con il barcone in questo caso è stato suo padre, che trova lavoro in Italia nei campi di pomodori per poter spedire i soldi alla famiglia.

Oggi il sogno del figlio – quello di diventare un campione di calcio – ha permesso di riunire la famiglia dopo anni di lontananza.

Non tutte le storie, va da sé, hanno un lieto fine. “Non dimentichiamo che sono molti quelli che non riescono ad arrivarci, a Lampedusa”, ricorda Mauro Valeri, autore, con Ivan Grozny, di Ladri di sport, dalla competizione alla resistenza per Agenzia X Globalbooks.

La storia dell’atleta somala Samia Yusuf Omar, che partecipò all’Olimpiade di Pechino nel 2008 in rappresentanza della Somalia, gareggiando nei 200 metri, è rimasta nella mente di molti. Tanto che sulle sue vicende Giuseppe Catozzella ci ha scritto il libro “Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2014)

A ricordare il tragico epilogo della sua storia è stato Abdi Bile, campione del mondo di Roma ’87:

Sapete che fine ha fatto Samia Yusuf Omar? La ragazza è morta… morta per raggiungere l’Occidente. Aveva preso una carretta del mare che dalla Libia l’avrebbe dovuta portare in Italia. Non ce l’ha fatta. Era un’atleta bravissima. Una splendida ragazza.

Tante storie, tutte diverse, da tanti Paesi dell’Africa: la strada perché lo sport sia strumento di integrazione effettivo e non solo retorica è ancora tutta in salita.

Qualche passo avanti, però, in Italia è stato fatto. Nel gennaio 2016 sono state approvate al Senato in via definitiva le “Disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”.

Si tratta dell’introduzione dello ius soli sportivo: secondo questa legge “i minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”.

E poi, a far sperare, sono storie come quelle di Alì, all’anagrafe Drame Fousseni, maliano di 24 anni e “scoperto” al Centro per i richiedenti asilo di Bari, che ha ottenuto la protezione umanitaria per meriti sportivi.

 

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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