Egitto, dietro la violenza di Stato la vera natura del potere

[Traduzione a cura di Marika Giacometti dall’articolo originale di Maged Mandour pubblicato su openDemocracy]

Dopo il colpo di Stato del 2013, la pratica della tortura in Egitto risulta in costante aumento.

L’utilizzo della tortura e della violenza da parte della polizia non è una novità in questo Paese, e lo stesso Mubarak è stato spesso denunciato da varie organizzazioni internazionali per i diritti umani riguardo l’uso della tortura e della violenza contro oppositori politici o cittadini talmente sfortunati da essere arrestati per crimini insignificanti.

Dopo il golpe e l’insediamento del presidente Abdel Fattah al-Sisi, questa pratica ha tuttavia assunto nuove forme. Si sono verificati un aumento della violenza sessuale contro i detenuti, bambini compresi, e una crescita allarmante delle sparizioni forzate e della tortura.

“Rompiamo le nostre catene”. Cairo, 3 maggio 2016. Nariman El/Mofty/AP/Press Association.
“Rompiamo le nostre catene”. Cairo, 3 maggio 2016. Nariman El/Mofty/AP/Press Association.

Alcune delle persone rapite ricompaiono dopo qualche mese, altre vanno incontro a un destino sconosciuto. L’esempio più importante e noto a livello internazionale è stato quello dell’assassinio di Giulio Regeni, il dottorando dell’Università di Cambridge che fu torturato a morte dopo essere stato sottoposto a violenze disumane perché conduceva ricerche sui movimenti dei lavoratori egiziani. Si ritiene che i servizi di sicurezza egiziani abbiano un ruolo in questo crimine efferato.

Quest’uso dilagante della tortura, preferito a forme più mirate che potrebbero raggiungere risultati simili, è una responsabilità politica del regime. Molte vittime delle sparizioni forzate sono attivisti sconosciuti, addirittura semplici cittadini che non si occupano di politica, o ragazzi di 14 anni che per qualche ragione hanno attirato l’attenzione dell’apparato di sicurezza. Altri vengono arrestati in modo casuale come conseguenza delle generiche attività di gestione della sicurezza. Addirittura, un semplice post su Facebook può mettere a rischio chiunque.

Ci si chiede cosa speravano di ottenere i servizi di sicurezza con la tortura di Regeni, un dottorando registrato la cui morte ha scatenato una crisi diplomatica con uno degli alleati europei più vicini al regime.

Quale logica sta dietro l’uso della tortura in Egitto? Quali le giustificazioni fornite sulle autorizzazioni a quest’attività?

Si può affermare, in parte a ragione, che l’utilizzo della tortura sia uno strumento efficace per diffondere il terrore tra la popolazione in modo da intimidirla fino alla sottomissione. In realtà, se guardiamo più da vicino, questa logica non regge.

Anzi, ad un’analisi più approfondita è una logica controproducente. Se, nell’arco di un breve periodo di repressione di massa, l’utilizzo di arresti a caso e della tortura può rappresentare un deterrente contro l’opposizione politica, quando questo diventa il modus operandi perde in efficacia per il semplice motivo che equipara gli oppositori politici ai semplici cittadini apolitici e, addirittura, ai sostenitori del regime.

Il prezzo dell’impegno nell’opposizione diventa pari a quello del disinteresse verso la politica, fornendo così un incentivo alla partecipazione dato che le probabilità di essere arrestati e torturati sono relativamente simili.

Perciò la natura casuale di questo tipo di violenza è controproducente. Inoltre, l’aumento della brutalità nei metodi di tortura, come per esempio l’uso della violenza sessuale, renderà sempre più ostile la cittadinanza, compresi coloro che sostenevano il regime.

Un altro argomento a favore della tortura è che questa viene utilizzata per estorcere confessioni e informazioni sui gruppi armati, utilizzate in seguito dall’apparato di sicurezza per sventare le loro operazioni. Ma la natura casuale della tortura va contro quest’argomentazione in quanto non è utilizzata soltanto contro coloro che sono sospettati di essere affiliati a gruppi terroristici. È inflitta a un enorme numero di cittadini, alcuni dei quali sono in seguito accusati falsamente di appartenere a organizzazioni terroristiche sulla base di imputazioni inventate. Ciò accade regolarmente soprattutto nei casi di sparizione forzata.

L’utilizzo della tortura “a caso” appare dunque irrazionale e addirittura controproducente. Ma guardando più da vicino potrebbe esserci una spiegazione per questa tipologia di violenza di stato.

L’esercizio del potere

Innanzitutto, l’utilizzo della violenza politica è l’unico modo possibile per il regime di dimostrare ed esercitare il potere, vista la riduzione dell’egemonia all’interno del sistema di governo egiziano e l’incapacità del regime di costruire una struttura chiara e ideologicamente coerente per esercitare il controllo.

Appena il regime diventa incapace di esercitare il potere sulla mente dei cittadini si avventa con violenza sui loro corpi. L’atto dell’infliggere dolore e gli stessi corpi malridotti delle vittime diventano quindi il simbolo del potere dello Stato.

L’utilizzo della tortura non è semplicemente un atto razionale per estorcere informazioni o confessioni, ma diventa un vero e proprio atto politico collegato all’esercizio del potere. Il fallimento del regime nel costruire la sua egemonia ideologica, nonostante abbia cercato di riportare in vita alcuni aspetti della politica di Gamal Abd el-Nasser, potrebbe essere attribuibile al rapido peggioramento delle condizioni economiche e alle contraddittorie politiche del regime rispetto a ciò che invece afferma pubblicamente.

L’esempio più lampante è la cessione di due isole nel Mar Rosso all’Arabia Saudita; un trasferimento che può minare la credibilità di un regime che si professa nazionalista e che dichiara di salvaguardare l’unità e l’integrità nazionale.

È interessante notare che le torture peggiori sono state inflitte a prigionieri di scarsissimo valore, se confrontati con i più illustri, come per esempio gli appartenenti ai Fratelli Musulmani o gli attivisti laici. Queste figure di spicco non sono state costrette ad abiurare il loro credo ideologico, né a firmare confessioni di tradimento e nemmeno a confessare qualsiasi altro crimine.

Per esempio, Alaa Abdel Fattah, un attivista laico di spicco è stato malmenato ma secondo gli “standard” della polizia egiziana. E questo viene considerato un trattamento “leggero”. Basta paragonare il suo caso con quello di Magdy Makeen che fu arrestato per un diverbio con un poliziotto per poi morire in carcere a causa di torture orribili.

Ciò fornisce un netto contrasto con gli altri casi, soprattutto con quello dei primi anni della Repubblica Islamica in Iran, nei quali illustri figure di opposizione, appartenenti ai movimenti di sinistra o a quello comunista, furono costrette ad abiurare la loro ideologia e a confessare una miriade di crimini tra cui anche spionaggio e tradimento.

Ciò derivava dalla natura ideologica della Repubblica Islamica che sperava non solo di sopprimere l’opposizione ma anche di dimostrare la sua superiorità rispetto alle altre ideologie concorrenti. Ciò è stato ben dimostrato nello studio condotto da Ervand Abrahamian.

Rispetto alla Repubblica Islamica, in Egitto la tortura non viene utilizzata per ottenere confessioni, per il semplice motivo che il regime egiziano non ha né un’ideologia coerente né un’opposizione ideologica, come ho già affermato altrove, quindi il valore di queste confessioni è minimo.

Unire gli apparati coercitivi dello Stato

La seconda ragione per questo utilizzo della tortura è unire gli apparati coercitivi dello Stato in modo da assicurare coesione contro l’opposizione.

Questo processo si sviluppa sia a livello istituzionale che a livello individuale. L’uso quotidiano della violenza sancito dallo Stato, dove i vari apparati coercitivi sono coinvolti, come la polizia, l’esercito e la giustizia, viene utilizzato per assicurare unità e coesione, perché qualsiasi cambiamento nel regime potrebbe richiedere azioni penali e punizioni.

La tortura viene utilizzata quotidianamente anche per sradicare dagli apparati statali quegli individui che non si sono dimostrati completamente dediti al regime, assicurando la piena fedeltà dei suoi membri e creando un forte senso di lealtà e solidarietà sia a livello individuale che istituzionale.

Perciò si può affermare che l’uso dilagante della tortura in Egitto è strettamente collegato con la natura del regime al potere e che non diminuirà negli anni a venire. Al contrario, appena il regime perderà un po’ della sua egemonia si affiderà ancora di più alla forza, e probabilmente l’utilizzo della tortura aumenterà con il passare del tempo.

La ragione della violenza di stato e della tortura non riguarda semplicemente la formazione della polizia né una decisione politica reversibile, rappresenta piuttosto la natura del regime e dell’ordine politico che questo ha creato.

Detto questo, è chiaro che l’uso della tortura farà parte della vita degli Egiziani ancora per molti anni, a meno che non avvenga un cambiamento politico netto che possa creare un ordine politico, realmente egemone, basato sul consenso.

Marika Giacometti

Laurea in “Scienze della Mediazione Linguistica”. Dopo due corsi di traduzione letteraria alla FUSP di Misano Adriatico, ha iniziato la carriera di traduttrice dal francese e dall’inglese in ambito economico, medico, ambientale, turistico, letterario.

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