L’ultima settimana di questo 2016 tutt’altro che esaltante (secondo il Washington Post potrebbe anzi essere stato l’anno peggiore mai visto) propone un generale stand-by in vista dell’insediamento della nuova Amministrazione. Politici in vacanza, media distratti, tutti presi dalle feste (e l’immancabile shopping) di fine anno. Ma sotto la superficie tranquilla, non mancano certo le controversie e le preoccupazioni.
Tra le segnalazioni meno ovvie, il Senatore repubblicano Lindsey Graham ribadisce che “la Russia ha interferito nelle elezioni Usa“, convinzione che sembra avere il consenso dell’intero Senato. Ergo, Obama ha appena applicato una serie di sanzioni atte a colpire il circolo ristretto di Putin, l’ambito diplomatico e i servizi di intelligence. Si tratta insomma di “punire” la Russia. Staremo a vedere se il tutto provocherà attriti o capitomboli interni, visto che Trump la pensa in modo diametralmente opposto.
Nei giorni scorsi ha avuto ampia eco sui social media una riflessione sul rapporto tra il giornalismo Usa e il fascismo, ovvero su come i media dell’epoca hanno seguito e informato su Mussolini e Hitler (“How to report on a fascist?“). Con gli ovvi riferimenti alla normalizzazione dell’era Trump in corso a livello mediatico (come segnalato la settimana scorsa).
Interessante notare come l’atteggiamento generale fosse bonario e ironico, soprattutto rispetto all’ascesa mussoliniana. Tra il 1925 e il 1932 al Duce vennero dedicati “almeno 150 articoli dal tono neutro, stupito o positivo“. E fu proprio questo “successo” a normalizzare poi l’avanzata di Hitler agli occhi della stampa Usa, che a cavallo degli anni 1920-30 lo definiva spesso come “il Mussolini tedesco”. Pur se con importanti eccezioni, tra cui i secchi dispacci di Ernest Hemingway e gli editoriali di settimanali quali New Yorker e Harper’s.
Fu soltanto sul finire degli anni ’30 – conclude la documentata analisi di John Broick, docente presso la Case Western Reserve University – che la maggioranza dei giornalisti statunitensi si rese conto di aver abbondantemente sottostimato il piano nazista, senza neppure immaginarne i possibili effetti nefasti. Una lezione di cui far tesoro.
Intanto fra le testate odierne che continuano a parlare di “timori concreti per la transizione Trump“, in un editoriale del settimanale New Yorker si legge fra l’altro:
Trump ha buone probabilità di rivelarsi il peggior Presidente del secolo, ma gli americani non si trovano certo nella posizione peggiore per fronteggiarlo. Più preoccupante del suo gabinetto o dei conflitti imprenditoriali, più dannose appaiono le potenziali minacce rispetto alla nostra concezione di cosa vuol dire essere americani… Ciò comprende l’impossibilità di accettarne gli atteggiamenti bigotti come parte normale della conversazione nazionale.
Conversazione che, dalle chiacchiere con i vicini alle battute in fila al supermercato alle lettere al direttore dei quotidiani locali, rivela tuttora confusione e insicurezza sul futuro targato Trump – oltre alla speranza che alla fin fine tutto vada per il meglio. Lo testimoniano, per esempio, le stesse opinioni a ruota libera dei lettori del Santa Fe New Mexican, uno dei quali scrive (dopo aver ribadito l’ampia vittoria nel voto popolare di Hillary Clinton):
No, nessun individuo da solo è in grado di rovinare il nostro Paese, a meno che non ottenga l’aiuto concreto degli oltre 62 milioni di elettori [che hanno votato per Trump e] che credono nelle sue idee e promesse, pur se in gran parte controverse. Speriamo e preghiamo che in definitiva ci saranno effetti positivi per tutti.
Continua intanto a montare la “rivoluzione gentile” di Bernie Sanders, con nuovi appelli al mondo democrat a organizzare (e partecipare a) manifestazioni di protesta il 15 gennaio, nell’imminenza dell’investitura di Trump. È quanto propone in una lettera inviata ai parlamentari democratici (co-firmata dai leader di minoranza Chuck Schumer e Nancy Pelosi), centrata sulla difesa della riforma sanitaria, nota come Obamacare, che nonostante i successi ottenuti Trump ha giurato di voler eliminare e/o riformare in maniera drastica. Questo il passaggio conclusivo della lettera:
Molti americani hanno votato per Trump in base alla promessa di non tagliare pensioni e assistenza sanitaria per anziani e disabili [Social Security, Medicare, Medicaid]. Dobbiamo assicurarci che mantenga queste promesse e ponga il veto a qualsiasi norma legislativa mirata a tagliare questi programmi sanitari necessari e vitali.
Infine, sul fronte della “resistenza diffusa”, da segnalare il Project 1461 (1461 sono i giorni totali della presidenza Trump 2017-2021), che si autodescrive così:
Una comunità di cittadini progressisti impegnati in una missione comune. Il team è composto esclusivamente da volontari non-profit, e comprende professionisti, imprenditori web, animatori comunitari e politici, scrittori, attivisti.
Il sito propone notizie, iniziative locali e “call to action” quotidiane per chi voglia coinvolgersi concretamente nell’ampio progetto di osservatorio e contrasto dell’operato della nuova Amministrazione. Obiettivo primario è quello di informare e mobilitare sulle iniziative sul territorio che, c’è da scommetterlo, andranno prendendo sempre maggior forma nelle prossime settimane e mesi (a partire dalle crescenti adesioni alle proteste nazionali per l’inaugurazione del 20 gennaio).