2 Novembre 2024

Due referendum dall’esito imprevisto. Ma la partita è aperta

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Due referendum, il 2 ottobre 2016 – quello sui migranti in Ungheria e quello sull’intesa per mettere finalmente fine alla guerra tra Bogotà e le Farc, in Colombia – si sono incrociati dando entrambe risultati inaspettati: la “guerra ungherese contro i migranti” è andata a sbattere contro il mancato raggiungimento del quorum del 50% degli aventi diritto al voto, e così anche in Colombia ha pesato l’alto tasso di astensionismo (pari a circa il 60%), che ha visto prevalere il no al quesito “Sostieni l’accordo finale per terminare il conflitto e per la costruzione di una pace stabile e permanente?“.

Due esiti elettorali inattesi, risultati che hanno creato incredulità in molti osservatori internazionali che, da una parte, si aspettavano la conferma della pace, dopo la firma dell’accordo a Cartagena de las Indias fra Santos e il leader delle Farc Rodrigo Timochenko; dall’altra, attendevano la conferma di quanto caldeggiato dal primo ministro Viktor Orbán, e cioè il rifiuto in massa alle “quote” previste dall’UE per gli Stati membri.

Diversa la geografia del voto in Colombia (dove il conflitto ha colpito di più hanno prevalso i sì, viceversa nelle città si sono imposti i no): probabilmente, in questo caso, l’ago della bilancia si è spostato sul no per la rabbia e il risentimento di molti colombiani sequestrati o costretti dalle Farc ad abbandonare la propria casa durante la guerra civile.

In Ungheria sull’astensionismo ha senza dubbio inciso la campagna anti-referendum dei partiti di opposizione di centro-sinistra, che hanno apertamente suggerito agli elettori di boicottare il referendum non esprimendo la loro preferenza.

Tuttavia, nonostante gli esiti elettorali in controtendenza rispetto a sondaggi e attese, i protagonisti del referendum, in entrambe i casi, una volta incassata la sconfitta, hanno ripreso in mano le redini della situazione: “Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia – ha commentato Timochenko – mantengono la propria volontà di pace e ribadiscono di essere disponibili a usare solo la parola come arma di costruzione del futuro”.

E Santos ha dichiarato: “Il cessate il fuoco è bilaterale e definitivo, non mi arrenderò e cercherò la pace fino all’ultimo giorno del mio mandato”.

Anche Viktor Orbán, che aveva proposto di trasferire tutti i migranti illegali in territorio extra-Ue, non rinuncia ai suoi obiettivi.

Gli elettori ungheresi erano stati chiamati a rispondere alla domanda “Volete che l’Unione Europea decreti una rilocalizzazione obbligatoria dei cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del parlamento ungherese?”: un quesito che, nella mente del premier, rappresentava uno strumento “contro i tecnocrati Ue“.

Fallito il referendum, il premier ha rilanciato: come riportato dall’ANSA, in aula a Budapest, ha annunciato “un’iniziativa di modifica della costituzione ‘nello spirito del referendum’ per imporre un divieto di accoglienza di cittadini stranieri in Ungheria senza l’approvazione del Parlamento“.

 

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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