Colombia, storico accordo di pace tra le FARC e il Governo

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Annette Idler pubblicato su The Conversation]

I colombiani festeggiano l'accordo di pace. Christian Escobar Mora/EPA
I colombiani festeggiano l’accordo di pace. Christian Escobar Mora/EPA

La storica notizia mi ha raggiunto mentre mi trovavo a Bogotá per un incontro con il capo dell’Esercito Colombiano: dopo oltre cinquant’anni di conflitto armato, e quattro anni di negoziazioni, il governo colombiano e il gruppo guerrigliero delle FARC hanno raggiunto un accordo di pace definitivo. La storica intesa sembra destinata a mettere fine alla guerra più lunga della storia recente, ed è motivo di grande festa, ma una conclusione ufficiale del conflitto con le FARC è solo l’inizio della strada verso la pace.

Dover garantire una pace sostenibile richiede un equilibrio tra l’affrontare i rischi immediati per la sicurezza durante il periodo di transizione così come anticipare le possibili sfide a lungo termine.

I ‘sì’ e i ‘no’ alla pace

L’accordo prevede la deposizione delle armi da parte delle FARC e il compimento della transizione verso la creazione di un partito politico legalmente riconosciuto. Lo scorso 29 agosto è iniziato il cessate il fuoco bilaterale e definitivo. Questo non sarà un compito facile per i guerriglieri, che hanno iniziato la loro lotta contro lo Stato nella metà degli anni sessanta, come gruppo di sinistra impegnato a difendere i bisogni dei contadini diseredati. Più di 220.000 persone sono state uccise nel successivo conflitto che è diventato sempre più collegato con il commercio illegale di droga, che coinvolge non solo le FARC ma anche altri gruppi ribelli, paramilitari e criminali.

L’accordo è la prova che il governo e le FARC stanno facendo un enorme passo in avanti verso la pace in un Paese logorato dalla violenza. Nonostante la sua grande importanza, l’accordo di pace, compreso il processo di smobilitazione proposto della durata di 180 giorni, è tuttavia ancora soggetto all’approvazione della popolazione colombiana. Il referendum per il “sì” o per il “no” è previsto per il 2 ottobre. Tuttavia non è ancora chiaro quale parte vincerà.

Manifestazione per la pace in Colombia, immagine Wikipedia di pubblico dominio
Manifestazione per la pace in Colombia, immagine Wikipedia di pubblico dominio

Per un osservatore occasionale potrebbe essere difficile capire il motivo per cui il popolo colombiano possa non desiderare la pace. Tuttavia, sia nelle grandi città che nelle zone rurali, l’entusiasmo di alcuni per il processo di pace si è scontrato con lo scetticismo di altri. Come mi ha detto un tassista nella capitale, a Bogotá, dandomi la notizia la mattina successiva all’accordo di pace – come possono essere sicuri i Colombiani che gli ex combattenti delle FARC, dopo una vita nella giungla, siano capaci di reinserirsi nella vita civile? Non useranno la smobilitazione come un pretesto per continuare la vita da imprenditori della violenza, alimentando l’insicurezza nei centri urbani?

D’altra parte, dobbiamo considerare che le persone che vivono nelle zone rurali emarginate, rimaste più gravemente colpite dai continui scontri, affrontano un’enorme incertezza. Per generazioni, le loro vite sono rimaste coinvolte nello scontro. Senza sapere né dove porterà la pace né se la situazione potrà deteriorare, potrebbero preferire il mantenimento dello status quo.

Le élite locali potrebbero anche compromettere il processo qualora, a seguito degli accordi di pace, rischiassero di perdere parte del loro importante potere. Qualsiasi minaccia alla loro posizione politica o economica può dar loro un incentivo per impedire violentemente l’intervento dello Stato.

Il governo dovrà rassicurare le persone che votando per la pace si avrà un cambiamento positivo. Inoltre è fondamentale impegnarsi in un dialogo con le popolazioni rurali del posto. Questo dovrebbe andare oltre l’invio di messaggi da Bogotá, e dovrebbe comprendere le diverse lingue indigene parlate in Colombia, al fine di mostrare un impegno concreto verso quelle comunità.

Difendere i civili 

Se il “sì” vincerà e l’accordo andrà avanti, è importante assegnare la priorità alla difesa dei civili. Nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerriglia delle FARC, sarà possibile assistere a un aumento della violenza così come alla comparsa di un certo numero di altri gruppi armati – vecchi e nuovi, di sinistra e di destra – che lottano per prendere il posto delle FARC.

In molte parti del Paese, altri gruppi si trovano spesso in una posizione migliore rispetto allo Stato nel riempire i vuoti di potere. Ad esempio, il gruppo di guerriglieri di sinistra dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), ha assunto per decenni le funzioni governative come la fornitura di servizi di base o la risoluzione dei conflitti in regioni come l’Arauca, nel nord-est della Colombia, garantendo un sostegno locale là dove lo Stato non è apparso presente. Fino a quando non diventerà chiaro chi sarà il nuovo “sovrano”, la vita risulterà estremamente instabile per la popolazione.

I civili che vivono nelle zone in cui precedentemente operavano le FARC potrebbero essere anche stigmatizzati come collaboratori delle stesse. Senza la protezione delle FARC, le vite dei civili sono a rischio nel caso in cui fossero esposti alla violenza di qualsiasi altro gruppo armato ancora attivo in Colombia. Allo stesso modo, i civili rischiano di essere puniti da parte di gruppi diversi dalle FARC per aver preso parte a processi giudicati contro i loro interessi, come ad esempio l’accordo di pace.

La gestione dei rischi per la sicurezza civile nel periodo iniziale della transizione è quindi fondamentale per una stabilità a lungo termine. A tal fine, l’apparato di sicurezza del Paese e la Missione delle Nazioni Unite in Colombia sono impegnati nel preparare il complesso processo di smobilitazione delle FARC.

I pro e i contro

L’ONU ha il compito di raccogliere le armi e monitorare il processo di disarmo, che avverrà in 23 “zone transitorie di normalizzazione” e otto “punti” di raccolta che il governo e le FARC hanno identificato insieme. In questi territori, che sono distribuiti in tutto il Paese, gli ex combattenti delle FARC si riuniranno per deporre le armi e prepararsi per il reinserimento nella vita civile.

Le zone di normalizzazione saranno circondate e protette da tre anelli di sicurezza. L’ONU e gli osservatori internazionali sono responsabili di quello interno, la polizia di quello centrale e le forze armate di quello esterno.

Prevenire la violenza all’interno delle zone rappresenta la massima priorità. Eppure le forze armate dovranno essere preparate contro le minacce dall’esterno. Queste potrebbero provenire da gruppi armati come l’ELN, o da uno dei tanti gruppi criminali coinvolti nel commercio illegale di droga e altre forme di criminalità organizzata transnazionale che affliggono il Paese.

Anche solo uno sparo involontario potrebbe avere effetti destabilizzanti per l’intero processo di smobilitazione. Verranno messi in atto protocolli per evitare o affrontare anche un singolo errore di un militare sul piano tattico.

L’alto livello di attenzione a livello internazionale e la presenza degli osservatori dell’ONU sul campo dovrebbero scoraggiare gli atti di violenza all’interno o vicino alle zone di normalizzazione. Tuttavia, una volta che l’ONU andrà via e le zone di normalizzazione cesseranno di esistere, la violenza potrà riemergere.

I rancori irrisolti possono anche alimentare atti di ritorsione contro gli ex combattenti da parte di altri gruppi armati. Questi ex membri delle FARC saranno anche vulnerabili al reclutamento (con la forza o spontaneamente) da parte di altri gruppi violenti opposti allo Stato. Di conseguenza, i gruppi come ad esempio l’ELN si potranno rafforzare.

Un processo a lungo termine

Dopo che il processo di smobilitazione immediato sarà finito, un rimescolamento di persone facenti parte di attività illegali produrrà lotte di potere per i ruoli relativi al commercio di droga, contrabbando di benzina, traffico di esseri umani, sfruttamento sessuale e altre forme di criminalità organizzata.

Sia gli ex guerriglieri che il personale militare, che potrà vedersi costretto a lasciare le forze armate a causa dei tagli di bilancio, si troveranno ora ad affrontare le difficoltà di una transizione nella vita civile. I programmi di reinserimento sono fondamentali non solo per gli ex guerriglieri ma anche per coloro che hanno prestato servizio nel proprio Paese per anni.

Garantire la pace richiede perciò il coordinamento di tutte le istituzioni governative in materia di sicurezza attraverso tutti i ministeri, in partenariato con l’ONU e in linea con le esigenze di difesa dei civili. Questo sforzo congiunto può aumentare la fiducia nell’affrontare sia le sfide immediate che a lungo termine in materia di sicurezza, e promuovere il “sì” alla pace nel referendum proposto al popolo colombiano.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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