La morte di Emmanuel (non) vista dal Continente nero

Da questa parte del mondo si continua a partire. O a sperare di riuscirci, un giorno… Da questa parte del mondo l’Europa rimane quel richiamo che non smette di affascinare. Il sogno americano da lungo tempo è stato sostituito dal sogno europeo. L’Europa delle opportunità, l’Europa dove tutto funziona – soprattutto il welfare – l’Europa dei diritti, insomma.

Si pensa così da questa parte del mondo. Si sogna così.

Non tutti, no certo. C’è chi – per quanto ad alcuni possa sembrare strano – qui ha una vita soddisfacente, un lavoro, una carriera, progetti per il futuro. E c’è chi – anche in questa parte del mondo – l’Europa l’ha conosciuta nelle sue belle e cattive forme, nelle sue eccellenti e nelle sue odiose manifestazioni (razzismo compreso).

Ma la maggior parte sì che continua a sognare, la maggior parte sì che vorrebbe partire. E di solito sono i più giovani, i più giovani e quelli ai margini. Coloro a cui la loro società, i loro Governi e promesse perennemente disattese non hanno concesso una chance, un lavoro, una vita.

Sfruttati, derelitti e dimenticati qui, perché non dovrebbero “provare” in Europa? L’Europa dei molti “fratelli” che ce l’hanno fatta, che si sono sistemati, che hanno formato una famiglia e qui in Africa spesso non vogliono neanche più tornarci…

Essì, dico Europa come loro dicono Europa. Un’Europa senza confini senza barriere, l’Europa dei diritti. Loro non li conoscono gli scimmiottatori della purezza della razza nostrana, la razza italica. E dicono Europa come noi diciamo Africa, riferendoci a un luogo quasi mitico, immaginato, formato da mille concetti, migliaia di luoghi comuni e poche specificità. Comunque sia l’Europa, l’Europa dei diritti, non è l’Africa.

Provo a chiedere pareri sulla terribile esecuzione di Emmanuel. Avvenuta – e premeditata grazie alle maligne lingue senza cervello – in Italia. Mi colpisce la fatalità delle risposte e quella quasi indifferenza verso la morte. Una sorta di “non capiterà proprio a me”. Un po’ come pensa chi viaggia spesso e “frequenta” aeroporti, in questo periodo di attentati, di incertezza, di odio… “Non capiterà proprio a me…”.

Resta la voglia di provarci e, soprattutto, la convinzione che “comunque sia, laggiù in Europa, sarà sempre meglio che qui”.

Perché? Perché volete partire – chiedo -. “Per cercare green pasture” si risponde. Perché in Europa sì che le cose funzionano, dicono.

Non molti hanno saputo della storia di Emmanuel e di Chinyery. La classe proletaria (direi che ha senso chiamarla così in Africa visto che i figli sono spesso l’unico “bene” che si “possiede”), non legge i giornali, non naviga su Internet, figuriamoci. Si nutre del sogno europeo, un sogno che noi abbiamo plasmato, diffuso, orientato. A noi piace creare sogni e illusioni, ma guai se poi a quelle illusioni c’è chi comincia a crederci. Guai.

Ho riflettuto se, quaggiù, avrei dovuto vergognarmi – come alcuni hanno scritto – di essere italiana. No, non mi vergogno. Non mi vergogno perché io non sono e non penso come chi – e quelli come lui – ha assassinato Emmanuel. Non sono e non penso come coloro che gli hanno armato il cuore e la mano – vedi Calderoli e Salvini (ma solo loro?) – con campagne di odio.

Lo hate speech non è puro esercizio verbale. Poveri voi che ve ne cibate. Ma neanche importa insistere sul fatto che l’assassino sia un fascista, ultras, sfigato, frustrato e che altro… Si rischia solo di contribuire a creare un mondo polarizzato (di fatto, è già così).

Buoni/cattivi, sinistra/destra, bianchi/neri, cristiani/musulmani, etc. etc. etc. Ma l’odio e la stupidità umana sono un virus che infetta chiunque incontri sulla sua strada. Vogliamo combatterlo o ci sta bene conviverci? Questo ci rende diversi: la scelta di accettare il virus o combatterlo con tutte le nostre forze.

Uccidere non servirà a fermare la Storia. Non servirà a fermare i flussi migratori. Dopotutto, l’uomo ha sempre viaggiato, ha sempre esplorato e sempre continuerà a farlo. Quindi, cari razzisti che ora (magari) gioite, rassegnatevi.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo riconosce il diritto di ogni essere umano a migliorare la propria condizione e quella della propria famiglia. Ogni essere umano. È un diritto che possiamo definire fondamentale e innato. Chi di noi alzerebbe la mano e direbbe “rinuncio, non voglio esercitare questo diritto”?

Viviamo in un mondo ipocrita e, ripeto, troppo polarizzato. Siamo esseri umani (qualche volta disumani) che scelgono ogni giorno che strada prendere. Lo facciamo se siamo bianchi e se siamo neri, se siamo democratici o fascisti, se siamo ricchi o poveri.

Con la storia di Emmanuel sembra che tutti gli africani siano delle vittime (devo aprire questa parentesi, anche se a qualcuno non piacerà). Anche gli africani scelgono: di partire o di restare, di lottare contro Governi corrotti e indifferenti alle condizioni del popolo o di tacere ed esserne complici, di essere un esempio per i propri “fratelli” o condurre una vita spenta.

Emmanuel e sua moglie hanno fatto delle scelte (e nessuno deve giudicarle), sono diventati eroi loro malgrado, ma quando la tensione di questi giorni si spegnerà rimarrà comunque la coscienza e la scelta di volerci sentire donne e uomini o scivolare tra le braccia di questo demone che si chiama odio.

Lo spirito non è dark se siamo neri, è dark se odiamo e scegliamo di diventare assassini. Con armi o anche solo con parole. E con tutto ciò che alberga nel nostro cuore.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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