Repubblica Centrafricana, i crimini di chi deve garantire la pace

Ancora la Repubblica Centrafricana. Ancora violenze. Ancora i peacekeeper.

Un’inchiesta di Human Rights Watch, pubblicata all’inizio di giugno, rivela notizie scioccanti. Tra il dicembre 2013 e il giugno 2015 soldati della Repubblica del Congo, mentre prestavano servizio come peacekeeper nella Repubblica Centrafricana, hanno ucciso almeno 18 persone. Compresi donne e bambini.

Questi crimini sono stati perpetrati da peacekeeper in servizio per la missione di pace MISCA guidata dall’Unione Africana – e istituita nel dicembre 2013 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Risoluzione 2127) – e da peacekeeper della successiva missione di pace MINUSCA condotta dall’ONU – istituita nell’aprile 2014 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Risoluzione 2149).

Lo scorso febbraio è stata scoperta una fossa comune a Boali con i resti di 12 persone, vicino alla base dei peacekeeper che li avevano imprigionati nel marzo 2014. Contraddicendo così le loro dichiarazioni riguardo la fuga delle vittime. In più, Human Rights Watch ha documentato la morte per tortura di due leader delle milizie anti-balaka nel dicembre 2013 a Bossangoa e l’esecuzione pubblica di due sospetti anti-balaka nel febbraio 2014 a Mambéré. Questo durante la missione MISCA. Nel giugno 2015, sempre a Mambéré alcuni peacekeeper congolesi della missione MINUSCA picchiano a morte due civili.

Human Rights Watch ha indagato sulla scomparsa avvenuta a Boali con diverse visite sul posto, l’ultima ad aprile scorso. Dopo una visita nel marzo 2015 ha comunicato all’ONU e alle autorità locali l’ipotetica posizione della fossa, ma nessuno ha cercato di salvaguardare l’area o di raccogliere prove per un futuro procedimento giudiziario.

Contingente della missione ONU MISCA. Foto di Idriss Fall (VOA) su Wikimedia Commons

I fatti. In uno scontro tra i peacekeeper e il leader locale delle milizie anti-balaka Maurice Konoumo, un peacekeeper muore. A seguito di ciò i peacekeeper circondano la casa di Konoumo, arrestando lui e almeno altre dodici persone, tra cui cinque donne – una delle quali incinta di sei mesi – e due bambini – uno di circa dieci anni e un altro di sette mesi. Ai civili che vivono nella base o vicino i peacekeeper viene ordinato di chiudersi in casa. Poi nella notte si sentono urla e raffiche di arma da fuoco. Il giorno dopo testimoni notano tracce di sangue in diverse parti della base. I peacekeeper vietano l’accesso ad un’area vicino, con la scusa che è minata. Proprio lì dove è stata trovata la fossa comune.

Il 2 giugno 2014 Human Rights Watch ha pubblicato informazioni sulla scomparsa di almeno 11 vittime a Boali e delle due persone torturate a morte a Bossangoa dai peacekeeper della Repubblica del Congo, chiedendo all’Unione Africana di prendere provvedimenti. Il mese seguente gli ufficiali in comando di Boali e Bossangoa sono stati sospesi e gli uomini sotto il loro comando spostati altrove nel Paese. Ufficialmente dopo la pubblicazione del rapporto è stata aperta un’inchiesta che deve eventualmente portare “a prendere i necessari provvedimenti“. A marzo dell’anno scorso funzionari dell’Unione Africana hanno comunicato che una relazione è stata abbozzata, ma contenuto e conclusioni non potevano essere divulgati. E finora nulla è stato reso pubblico.

L’accordo tra la Repubblica Centrafricana e l’Unione Africana prevede che i Paesi che mandano le loro truppe per la missione sono responsabili di eventuali crimini da loro commessi. Il 4 luglio 2014 Human Rights Watch ha scritto al ministro degli Esteri della Repubblica del Congo comunicando le proprie informazioni e al direttore del Dipartimento della Pace e della Sicurezza dell’Unione Africana – il mauritano El Ghassim Wane – per chiedere un’indagine e di trovare le responsabilità. Non c’è stata alcuna risposta.

Quando la responsabilità del mantenimento della pace è passata dall’Unione Africana all’ONU, quest’ultima ha trasferito tutti i peacekeeper congolesi fuori dal Paese, sostituendoli con altri. Evitando così che i responsabili dei crimini facessero parte della missione MINUSCA. Anche l’ONU, come l’Unione Africana, risolve i problemi con i trasferimenti.

L’anno scorso gli investigatori per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno confermatole sparizioni forzate, le torture e le uccisioni extragiudiziali” del contingente congolese della missione MISCA denunciate da Human Rights Watch. L’ONU ha chiesto al Governo della Repubblica del Congo che venissero fatte inchieste giudiziarie. Né il Governo congolese, né l’Unione Africana hanno davvero preso provvedimenti. Così come la stessa ONU all’interno della missione MINUSCA.

Esercitazione. Missione MONUSCO. Foto di Sylvain Liechti, pubblicata su Flickr con licenza CC

A maggio scorso, dopo la scoperta della fossa comune, Human Rights Watch ha scritto al presidente della Repubblica del Congo e all’Unione Africana per chiedere un’inchiesta credibile che faccia giustizia.

Le truppe congolesi della missione MINUSCA sono anche responsabili di sfruttamento e abusi sessuali di almeno otto donne e ragazze anche minori tra ottobre e dicembre 2015. Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto relativo a questi fatti a febbraio di quest’anno.

Ciò si aggiunge ad altre violenze e abusi nella Repubblica Centrafricana da parte dei peacekeeper ONU provenienti da altre nazioni e di cui abbiamo già scritto in passato. Inclusi i vigliacchi insabbiamenti, l’omertà, l’impunità, il non voler parlare per evitare ritorsioni. Un clima insostenibile che regna nelle varie missioni di pace ONU. E la vergognosa inchiesta nel 2015 contro chi – come il funzionario svedese dell’ONU Anders Kompass, che ha rivelato al Governo francese abusi e violenze delle proprie truppe impegnate nella missione di pace MINUSCA – ha fatto il proprio dovere facendo emergere questi problemi. Senza dimenticare le enormi responsabilità del Segretario Generale Ban Ki-moon.

Kompass alla fine ha dato le sue dimissioni che saranno effettive da agosto. “Il sistema di responsabilità dell’ONU è rovinato“, ha affermato. E fa eco alle dimissioni, lo scorso marzo, dell’Assistente del Segretario Generale ONU per l’Aiuto sul Campo, lo statunitense Anthony Banbury, che aveva dichiarato “Amo l’ONU, ma sta fallendo“.

L’ONU, l’Unione Africana e le autorità dei vari Paesi dovrebbero collaborare per prevenire i crimini e assicurare che chi li commette – invece di essere trasferito – risponda pienamente alla giustizia. Nessuno è al di sopra della legge.

La cosa peggiore è la mancanza di responsabilità e giustizia proprio in quegli organismi internazionali che di ciò dovrebbero essere garanti.

E a questo punto ci si chiede quale sia il ruolo dell’Unione Africana. Nell’articolo 3 dell’Atto costitutivo dell’Unione Africana, tra i suoi obiettivi c’è quello di

promuovere e difendere le posizioni comuni Africane riguardo problemi che interessano il continente e i suoi popoli…

Ecco. Sarebbe ora che lo facesse. Sarebbe ora che facesse valere la propria posizione. Distinguendosi e non imitando l’ONU. Serve un ruolo forte dell’Unione Africana. Aiuterebbe, se non a eliminare, almeno a ridurre le fin troppe interferenze esterne.
Contribuirebbe a una vera indipendenza del continente.

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