La “normalità” di Gaza raccontata da Shareef Sarhan
Macerie, spiagge, donne tra le case bombardate, pescatori e poi sorrisi. Volti di bambini che giocano tra la polvere di un edificio crollato e una normalità senza filtri. Sono i principali soggetti degli scatti del fotografo e artista palestinese Shareef Sarhan.
Le immagini con cui Shareef racconta la striscia di Gaza sono emblematiche e ritraggono ogni giorno un pezzo di quotidianità, soprattutto quella dei più piccoli. Da alcuni anni è impegnato all’interno del collettivo “Windows from Gaza”, di cui è fondatore e membro con altri artisti palestinesi. Shareef si è diplomato negli Stati Uniti all’Accademia delle Belle Arti, ha esposto i suoi lavori sia in Medio Oriente che in Europa e Stati Uniti e ora insegna a Gaza all‘Università Al-Azhar. Nel 2014, anno dell’ennesima offensiva israeliana a Gaza, le sue foto hanno fatto il giro del mondo quando iniziò a pubblicare sui principali social. Non solo foto che mostravano la città imbruttita dalle bombe ma anche semplici scatti con selfie tra i bambini.
Shareef iniziò in quel periodo ad insegnare arte tra i ragazzini dei rifugi organizzati dall’Onu sperimentando e interagendo con i più piccoli per dare forma alla loro creatività. Gli occhi dei bambini di Gaza nelle sue foto sembrerebbero fuori contesto per la cornice e lo sfondo, invece rappresentano proprio la speranza del popolo palestinese che nonostante tutto non smette di sorridere e rimboccarsi le maniche per andare avanti.
Che cosa è il progetto “Windows from Gaza”?
Windows from Gaza è un lavoro in collaborazione con molti artisti palestinesi in particolare sulla città di Gaza: mostre individuali o di gruppi di artisti locali o anche provenienti dai Paesi vicini. All’interno di questo progetto abbiamo inserito anche workshop con artisti giovanissimi e bambini volti a riconoscere e migliorare le loro capacità artistiche. Da mesi siamo a lavoro per realizzare una galleria in grado di ospitare esposizioni tutto l’anno, aprendo i nostri studi al pubblico e per far conoscere il mondo dell’arte anche al popolo martoriato di Gaza, grazie all’aiuto di artisti e studenti di arte moderna.
Nelle tue foto spesso descrivi la quotidianità di Gaza attraverso gli occhi dei bambini. Quanto è importante secondo te, la creatività tra i bambini e ragazzi?
Negli ultimi tempi i giovani stanno creando un grande cambiamento, mostrando foto e la loro creatività al mondo intero, cosa molto importante per combattere gli stereotipi su Gaza da cui le persone all’estero sono sempre state storicamente influenzate. Ritengo che questa sia anche la mia missione: cambiare tali stereotipi mostrando foto di Gaza inaspettate e poco note. Questo non significa che Gaza sia perfetta, anzi. Viviamo una situazione di emergenza umanitaria, soprattutto dopo tre anni di guerra e dieci di vita sotto assedio, in cui questo luogo è diventato la più grande prigione del mondo.
Dall’inizio della guerra hai scattato delle immagini che, in particolare, ritieni emblematiche?
Durante la guerra, ho lavorato in due modi differenti e in due visioni completamente opposte. La prima è stata quella dei reportage fotografici per la stampa che riflettevano i fatti come accadevano al momento. Questa modalità mi consente di andare avanti ma di tanto in tanto ho cercato di lavorare anche sulla parte artistica per esprimere e raccontare la vita che abbiamo vissuto durante i 51 giorni di guerra e sulle sensazioni provate qui a Gaza. In alcune di queste foto ho utilizzato dei selfie con bambini che vivono all’interno dei rifugi dell’UNRWA (L’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del soccorso e dell’occupazione dei rifugiati) e ho iniziato a pubblicarle online. Nelle foto ci mostriamo sorridenti, nonostante ci fossero bombardamenti a pochi metri. In questo modo, tutti insieme, riducevamo le sensazioni di paura e spavento. Queste foto ci hanno regalato piccoli attimi di spensieratezza e ci siamo sentiti al sicuro, anche se per poco.
Quanto è difficile oggi lavorare nel campo dell’arte e soprattutto diffonderla in una zona costantemente in guerra?
Di certo è difficile in una zona in assedio e in guerra come Gaza, in cui siamo isolati dal mondo intero, se non fosse per le email e i social network. Un artista per lavorare in queste condizioni deve raddoppiare gli sforzi. Ma nonostante le circostanze difficili in Palestina riusciamo a fare arte e a raggiungere il mondo intero con lo scopo di cambiare – come dicevo – gli stereotipi sul popolo palestinese. Andiamo avanti fino all’ultimo respiro e l’arte è il nostro unico strumento per diffondere la cultura di amore, pace e tolleranza tra i popoli.
[Tutte le foto pubblicate sono di Shareef Sarhan. Gentilmente concesse dall’autore]