Clima da caccia alle streghe contro gli oppositori. Accade in Turchia. Dopo il quotidiano d’opposizione Zaman (650mila copie di diffusione), caduto sotto il controllo governativo pochi giorni fa, è toccato all’agenzia di stampa Cihan, su posizioni critiche rispetto al Governo del presidente Erdogan, e commissariata.
La Turchia, membro della Nato, già nel 2012 era stata definita da Reporter Senza Frontiere il “carcere più grande del mondo per i giornalisti”; nel 2015 – secondo i dati raccolti dal partito socialdemocratico Chp – sarebbero stati licenziati 774 giornalisti mentre una trentina sarebbero in galera.
In questi ultimi giorni – sotto gli occhi di tutto il mondo – il Paese sta conoscendo uno dei periodi più bui per la libertà di stampa, mentre i lettori hanno provato ad alzare la testa esprimendo il proprio dissenso per le strade di Istanbul.
Abdullah Bozkurt, editorialista di Zaman, afferma in un tweet: “Ecco come noi giornalisti dobbiamo fare il nostro lavoro: sotto il controllo delle forze speciali e con la polizia dentro gli uffici”.
“Costituzione sospesa” è stato il titolo dell’ultima edizione libera di Zaman, che, come l’agenzia Cihan, fa parte del gruppo editoriale Feza Gazetecilik.
Ad essere sospetta agli occhi del Governo è la vicinanza con il movimento “Hizmet” di Feitullah Gulen, intellettuale sunnita prima vicino ad Erdogan e oggi fra le voci più critiche, in esilio negli Stati Uniti.
Al momento la Turchia è al 149esimo posto su 180 Paesi nella classifica che riguarda la libertà di stampa e la situazione, se il Governo continua a mettere il bavaglio ai dissidenti, non può che peggiorare.
Il giornalista turco Murat Cinar, che da anni vive a Torino, si è fatto promotore di un appello:
Nel 2012 Reporter Senza Frontiere definiva la Turchia come “carcere più grande del mondo per i giornalisti”. Sono passati 4 anni e attualmente nelle carceri si trovano almeno 30 giornalisti.
Giornalisti che pubblicano o ripubblicano certi articoli, alcune fotografie, interviste o video, vengono accusati di “incitare la popolazione per provocare una rivolta armata contro il governo centrale”, “istigare e delinquere”, “collaborare con un’organizzazione terroristica” oppure di “appartenere ad un’organizzazione terroristica”. Tutto questo diventa possibile grazie ad una serie di realtà legislative presenti nel codice penale.Censura e repressione vengono sostenute anche con l’ausilio del potere amministrativo e di buona parte dei media mainstream.
Non mancano umiliazioni pubbliche, offese volgari, accuse senza fondamento, licenziamenti, violenze fisiche e processi informali seguiti da esecuzioni mediatiche.
Mentre attraverso diversi cambiamenti legislativi, il sistema giuridico e quello amministrativo riescono ormai in pochi minuti a oscurare interi portali di notizie online oppure singoli articoli, bloccare l’accesso ad un singolo account nei social media, nel mondo cinematografico, televisivo ed artistico crescono e si radicano a 360 gradi anche la cultura della censura e dell’autocensura.Diversi giornalisti sono in carcere da anni e aspettano la condanna, alcuni sono in attesa di sentire e capire quali siano le loro colpe e alcuni invece vengono trattenuti per attendere l’inizio del loro processo. Le condanne richieste in alcuni casi prevedono anche l’ergastolo in condizioni aggravate.
Nonostante i diversi appelli lanciati da varie istituzioni in tutto il mondo e da altri singoli e gruppi di giornalisti, la Turchia continua ad essere un Paese fortemente difficile e rischioso per la libertà di stampa.
Per questi motivi invitiamo tutti i giornalisti che lavorano in Italia a non lasciare soli nella loro battaglia i colleghi detenuti in Turchia.Chiediamo a tutti i giornalisti di aggiornare sistematicamente i propri lettori in merito alla libertà di stampa, espressione e pensiero in Turchia.
Al link seguente maggiori informazioni e come aderire all’appello: http://muratcinar.weebly.com/special—giornalisti-in-turchia.html