Angola, i social media nel mirino del presidente

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Manuel Nunes Ramires Serrano pubblicato su openDemocracy]

Il Presidente Jacob Zuma insieme al Presidente Dos Santos, foto Flickr dell'utente Government ZA su licenza CC.
Il Presidente Jacob Zuma insieme al Presidente Dos Santos, foto Flickr dell'utente Government ZA su licenza CC.

Il 99% della popolazione dell’Angola, cioè coloro che non sono imparentati né comunque vicini all’élite del partito di governo, il Movimento per la Liberazione dell’Angola (MPLA), si trova a dover affrontare nuovi contraccolpi. E negli ultimi 36 anni non ne ha subiti pochi. Adesso la minaccia pende sullo spazio digitale angolano, dato che i social media sono diventati l’ultimo obiettivo del presidente Dos Santos nel suo tentativo di soffocare la società civile e reprimere il malcontento. Le intenzioni del presidente, rese note attraverso un annuncio informale durante il tradizionale discorso presidenziale per il nuovo anno, non rappresentano una buona notizia per le poche libertà civili rimaste in Angola.

Guerra ai social media

L’annuncio del presidente Dos Santos di interventi contro l’utilizzo libero dei social media non è una sorpresa. Durante il suo discorso per il nuovo anno, il presidente, in carica da 36 anni, ha tenuto una predica sul grado di civiltà dei social media e ha parlato dei valori democratici della nazione. Si è diretto ai presenti affermando che i social media dovrebbero seguire alcune regole quando affrontano i personaggi politici al governo, e che il governo dovrebbe intraprendere azioni appropriate per indirizzare sia la società che le istituzioni, ed evitare pratiche inaccettabili. Gli Angolani che non parleranno del governo in modo appropriato affronteranno la repressione e la censura.

Gli utenti Internet in Angola rappresentano solamente il 26% della popolazione. Più della metà di essi ha un account Facebook. Anche se questa percentuale è molto inferiore rispetto alla media degli utenti dei “Paesi sviluppati”, l’élite angolana sta iniziando a preoccuparsi di ciò che viene condiviso online e, aspetto più importante, di ciò che la comunità internazionale conosce riguardo alla situazione in cui si trova il Paese.

Paradossalmente il discorso di Dos Santos non si è limitato a questo, il presidente ha trovato anche il tempo di difendere fermamente il diritto alla libertà di espressione e di accesso all’educazione dei cittadini angolani. Tuttavia è abbastanza comprensibile che in una nazione in cui in realtà i diritti politici e le libertà civili sono limitati, l’attivismo digitale sia diventato l’ultima risorsa per esercitare la propria libertà di opinione. Il governo non ha ancora bloccato l’accesso ai contenuti online, ma il presidente Dos Santos è pronto a sferrare – in modo legale o meno – un colpo deciso alle voci di dissenso nella nazione.

Edificio dell'Assemblea Nazionale - Luanda, foto Flickr dell'utente David Stanley su licenza CC.
Edificio dell'Assemblea Nazionale - Luanda, foto Flickr dell'utente David Stanley su licenza CC.

Perché proprio adesso?

Non è la prima volta che il presidente dell’Angola cerca di reprimere l’utilizzo dei social media. Già nel 2011 aveva cercato di far approvare una legge sulla questione. Gli sviluppi internazionali, quali la Primavera Araba e la protesta Occupy, gli hanno tuttavia suggerito di lasciare la questione in sospeso. Le cyber-pattuglie sono state incaricate di monitorare i dibattiti online e di tenere d’occhio i possibili dissidenti. La parola d’ordine, per quanto impercettibile, è stata “repressione“. Internet, e in particolare i social media, rappresentano l’ultima frontiera della libertà di opinione in Angola.

Tuttavia la censura di Internet non è ricomparsa sulla scena in modo spontaneo. Alcune organizzazioni di attivisti, come ad esempio Maka Angola oppure Central Angola 7311, che lottano per mostrare il vero volto del regime, hanno portato il governo a mettersi in guardia. Il direttore di Maka Angola, Rafael Marques de Morais, è in prima linea dall’inizio della lotta. Morais, un giornalista impegnato e imparziale, è stato giudicato colpevole per alcune accuse di diffamazione e il suo sito web ha subito ripetuti attacchi.

Anche Central Angola 7311 ha sfidato le autorità dell’Angola. Il nome dell’organizzazione fa riferimento alla data della prima protesta organizzata, il 7 marzo del 2011. I suoi membri si impegnano a mostrare la mancanza di rispetto dei diritti civili da parte del governo. Già nel 2014, hanno organizzato alcuni “flash mob” per protestare contro le restrizioni alla libertà di opinione e di assemblea. Tali manifestazioni sono state represse in modo violento, ma gli attivisti digitali sono riusciti a documentarle insieme alla risposta violenta della polizia, condividendo il proprio materiale online.

Gli attivisti angolani hanno pagato a caro prezzo l’espressione del proprio dissenso nel mondo analogico. I mass media tradizionali e i giornalisti sono stati perseguitati e presi di mira per aver condiviso le informazioni sulla situazione in cui si trova il Paese. Proseguire la propria lotta nel mondo digitale ha finora risparmiato a molti di loro, come agli attivisti di Central Angola 7311, di finire in prigione, dove molti di essi sono stati sottoposti ad abusi e torture solamente per aver partecipato a proteste pacifiche.

Lo scenario di impunità non è tuttavia cambiato fino all’arresto di quindici attivisti angolani e del loro leader, Luaty Beirão, che ha continuato a fare scioperi della fame per protestare contro l’arresto ingiusto. Da quel momento, i funzionari del governo angolano hanno dovuto affrontare le critiche e l’esame della comunità internazionale. I social media sono stati sempre più utilizzati per promuovere la causa degli attivisti e il presidente Dos Santos ha reagito, in quanto non poteva tollerare una fuga di notizie che avrebbe potuto destabilizzare il suo regime – un regime, va ricordato, che è stato categorizzato come “non libero” nel rapporto annuale di Freedom House.

Maka Angola e Central Angola, in grado di trasmettere a livello nazionale e internazionale la dura realtà dietro la facciata ufficiale della nazione, sono diventate i nuovi “nemici dello Stato”. Dos Santos ha deciso di porre fine a questo tipo di attività limitando la libertà digitale. In un sistema di informazione e di comunicazione in cui il governo controlla già le maggiori testate giornalistiche, le radio e le televisioni, i social media rappresentano l’ultima frontiera per combattere la repressione e difendere la libertà di opinione.

La guerra ai social media è così cominciata. In seguito all’annuncio di Dos Santos riguardo alla sua crociata contro l'”insolenza” sui social media, per la prima volta nella storia del Paese un giudice deve valutare un caso che riguarda una burla politica su un governo immaginario. Padre Jacinto Pio Wakussanga, un individuo innocente, era stato scelto per scherzo in una discussione su Facebook come uno dei membri di un governo ipotetico che doveva salvare la nazione. Come lo stesso Padre ha poi spiegato al giudice, non sapeva nemmeno che stessero utilizzando il suo nome e, quando lo è venuto a sapere, ha compreso che si trattava semplicemente di una burla.

La morsa sempre più stretta sui post che rivolgono critiche al regime sui social media ha portato fino all’azione penale e alla detenzione degli attivisti online. L’attuale obiettivo di Dos Santos sembra essere quello di concentrarsi a possedere lo spirito e la mente degli angolani nella sfera digitale.

(Mancanza di) legittimità internazionale

La maggiore preoccupazione del presidente Dos Santos ha a che vedere con la legittimità internazionale del suo regime. Le pressioni internazionali esercitate dalle organizzazioni non governative, dall’Unione Europea e da alcune nazioni hanno messo sotto i riflettori il regime angolano e la facciata democratica è caduta. Lo sciopero della fame di Luaty Beirão e la capacità dei social media di diffondere il suo messaggio hanno trasformato le violazioni dei diritti umani e dei diritti civili dell’Angola in una questione internazionale.

E ciò sta accadendo in un momento in cui l’economia della nazione sta subendo tensioni. Gli introiti derivanti dal petrolio sono tutto ciò che alimenta la crescita economica della nazione e, a fronte delle flessioni che sta subendo il prezzo del greggio, il governo si attende un forte aumento dei conflitti sociali e della polarizzazione politica.

Dos Santos sta promuovendo una campagna contro le voci critiche che si oppongono a un regime molto vicino a una cleptocrazia. I social media e la resistenza nel mondo digitale rappresentano l’ultima frontiera della lotta contro la censura, una frontiera che non può non essere difesa se l’Angola intende spezzare le catene della dittatura.

Poiché questa situazione è simile a quella di molte altre nazioni ricche di petrolio in tutto il mondo (come ad esempio l’Arabia Saudita o il Venezuela), è giunto il momento che la comunità internazionale riesamini quale ius sia più importante: i rapporti economici oppure la difesa dei valori democratici, quali lo stato di diritto, i diritti umani e le libertà civili.

Come ha affermato una volta Tony Judt: “Dobbiamo imparare nuovamente a sollevare le (rilevanti) questioni politiche ” Nel caso dell’Angola, dovremmo unirci ai coraggiosi attivisti del mondo digitale dell’Angola nella loro battaglia per la democrazia e per la libertà di opinione. Difendere quest’ultima frontiera digitale equivale a garantire che, dall’altra parte della battaglia che Dos Santos sta conducendo contro le libertà del popolo dell’Angola, ci sia qualcuno in grado – e disposto – a sostenerli.

Benedetta Monti

Traduttrice freelance dal 2008 (dall'inglese e dal tedesco) soprattutto di testi legali, ama mettere a disposizione le sue competenze anche per fini umanitari e traduzioni volontarie.

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