Israele e Palestina: “pace”, concetto rimasto senza significato

[Traduzione a cura di Luciana Buttini, dall’articolo originale di Abdalhadi Alijla pubblicato su openDemocracy]

Immagine ripresa da Flickr/Michael Loadenthal. Alcuni diritti riservati.
Immagine ripresa da Flickr/Michael Loadenthal. Alcuni diritti riservati.

I recenti attentati avvenuti in Israele e in Palestina sono chiari indizi della fine degli accordi di Oslo del 1993. Va sviluppata rapidamente una nuova strategia per fermare le prossime ondate di violenza, e il collasso dell’Autorità Palestinese (AP).

“Pace” è un termine che oggi, nei territori israeliani e palestinesi, non ha alcun significato: ha perso il suo senso sia come concetto, sia come parola. Dal 1993, il concetto di “pace” non ha mai garantito la fine delle uccisioni. Nel corso di tutti questi anni, sempre più territori sono stati confiscati, case demolite, persone arrestate, uccise o giustiziate. Il continuo assedio alla Striscia di Gaza e le pratiche quotidiane di apartheid in Cisgiordania non si sono arrestati, e neppure la disuguaglianza tra i nativi palestinesi con cittadinanza israeliana e coloro che non ce l’hanno.

Da quando nel 1996 Netanyahu è salito al potere, “pace” è diventata una parola nauseante. Lo storico romano Tacito, a proposito della conquista romana della Britannia, affermò che “L’esercito romano laddove creava il deserto lo chiamava pace“. Lo stesso sta avvenendo per i palestinesi, gli arabi, gli europei, gli americani e gli israeliani che vedono come siano desolanti la pace e il suo processo.

Mentre il resto del mondo stava celebrando il Natale, a pochi chilometri da Betlemme, il luogo dove è nato Gesù, venivano giustiziati quattro adolescenti palestinesi. Dallo scorso ottobre, Israele ha ucciso più di 150 palestinesi, e la maggior parte di questi atti barbarici sono stati ripresi dal vivo con una telecamera.

Recentemente, il video diventato virale in cui, durante un matrimonio, gli invitati festeggiano la morte di un bimbo palestinese di diciotto mesi, ha rappresentato un esempio di quanto sia cresciuta la presenza della fascia radicale all’interno della società israeliana. In questo episodio di violenza che ha avuto luogo lo scorso luglio, gli estremisti del gruppo terroristico “Price Tag” hanno bruciato vivo il bambino. Da ottobre, Israele ha inoltre arrestato più di 2400 palestinesi.

Se gli attentati in Israele continueranno, è molto probabile che il governo israeliano reagisca con l’occupazione della Cisgiordania e/o lanciando una nuova aggressione alla Striscia di Gaza. Questo porterà alla caduta dell’Autorità Palestinese e a un indebolimento dell’attuale governo ombra de-facto guidato da Hamas. I palestinesi non hanno più fiducia nei confronti di Fatah, Hamas e dell’Autorità Palestinese. Il livello di oppressione, lo stallo nel processo di pace, le gravi ingiustizie e la frustrazione presenti tra i palestinesi sta crescendo, e questo complicherà l’intera situazione. Ciò potrà comportare ulteriore radicalismo ed estremismo, rappresentando terreno fertile per l’ISIS così come per altre fazioni o gruppi simili.

Ovviamente, tutto questo ci riporterà al periodo precedente gli accordi di Oslo. Ma, probabilmente, il risultato non sarà lo stesso. La comunità internazionale non accetterà la continua occupazione militare, e porzioni della società israeliana non vorranno sostenere il prezzo della pazzia del suo esercito. E rappresenterebbe un’ingiustizia l’idea di abbandonare la soluzione dei due Stati.

Molti intellettuali, scrittori e attivisti stanno inoltre ampiamente etichettando Israele come uno Stato basato sull’apartheid e, a causa dell’attribuzione di quest’etichetta che è stata riconosciuta a livello internazionale, la strada e l’impegno si rivelano lunghi ed estremamente difficili.

L’alternativa è mantenere lo status quo, che implicherebbe comunque un aumento nel numero di radicali ed estremisti da entrambe le parti. A prescindere da quale sarà l’esito, Netanyahu è come se stesse giocando con una bomba a orologeria che nuocerà non solo a lui stesso ma all’intera regione. Tutte le sue azioni, infatti, stanno delegittimando Israele e trasferendo potere ai radicali e agli estremisti.

Il primo ministro israeliano e gli attentatori suicidi rappresentano due facce della stessa medaglia: allo stesso modo letali e inarrestabili.

È quindi estremamente importante concentrare gli sforzi nel contrasto a Netanyahu e al suo governo estremista. Forse, con la pressione internazionale, le manifestazioni di massa non violente, il boicottaggio dei prodotti israeliani, le sanzioni inflitte a Israele a livello globale e il fatto di affrontare l’apartheid israeliana attraverso la giustizia internazionale, la speranza è ancora viva.

Netanyahu e il suo governo devono affrontare le proprie responsabilità e smetterla di spargere odio. Le loro azioni esprimono chiaramente l’eco della loro indifferenza nei confronti della pace in questi territori, e per questo devono essere fermati.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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