Bambini soldato in 23 Stati, ma un film ripropone ancora l’Africa

Con il proliferare del terrorismo internazionale emerge che sempre più bambini e adolescenti, ragazzi e ragazze, vengono reclutati e impiegati per combattere.
All’inizio di quest’anno l’Unicef ha pubblicato un documento in cui è stato stimato che oggi nel mondo i “child soldiers sono 250mila e 23 gli Stati che li utilizzano in forma diretta e indiretta. Nonostante le Convenzioni e i protocolli vigenti, ancora si è lontani dal fare progressi affinché non vengano coinvolti minori negli scenari di guerra. Anzi.

Poche settimane fa le Organizzazioni umanitarie internazionali hanno pubblicamente condannato il documento con il quale la Casa Bianca “rinuncia” al divieto di aiuti militari alla Repubblica democratica del Congo, Somalia, Nigeria e Sud Sudan. Dove è risaputo che tra le fila dei combattenti ci siano anche dei bambini.
Il Memorandum presidenziale del 29 settembre scorso afferma che è “nell’interesse nazionale degli Stati Uniti” fornire aiuti militari a quelle nazioni.
Ma gli osservatori Onu hanno riferito che laggiù – ad eccezione della Nigeria, dove non è stato possibile raccogliere dati certi per via di Boko Haram – i bambini, anche di 8-10 anni, sono comunemente reclutati e impiegati nei conflitti. Rimanendo traumatizzati a vita, dicono gli esperti.

Nella Repubblica Democratica del Congo, le Nazioni Unite hanno segnalato nuovi casi di reclutamento di bambini da parte dei gruppi armati che operano nella regione ad est della nazione. E anche di bambine, usate come schiave sessuali o vittime di altre forme di violenza.

Secondo Child Soldiers International, organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani dei bambini, la decisione del presidente degli Stati Uniti mina la credibilità del Child Soldiers Prevention Act, la legge sottoscritta dal Congresso americano nel 2008 che impedisce di fornire sostegno militare alle nazioni in cui è noto l’impiego di minori nei conflitti armati, sia come soldati che con funzioni di supporto.
Ancora una volta, dunque, sebbene il Dipartimento di Stato americano sia consapevole di quelle attività in certi Paesi, l’amministrazione Obama persevera nella rinuncia alle disposizioni del CSPA. Già nel 2013, a seguito dell’annuncio della Casa Bianca di voler appoggiare militarmente sei nazioni che reclutano child soldiers, Jo Becker di Human Rights Watch dichiarò: “Sebbene l’amministrazione abbia aumentato la soglia di attenzione per i bambini soldato, continua a togliere autorevolezza al CSPA rinunciando al divieto di aiuti militari in quei Paesi a cui la legge è rivoltaIn questo modo il presidente è come se dicesse ai suoi alleati militari che porre fine al reclutamento di bambini soldato non è così importante“.

Anche l’Italia ha il suo bel daffare ad esportare armamenti in vari Paesi del mondo. E a tal proposito siamo in attesa che venga pubblicata sui siti di Camera e Senato, la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento“, che il ministro Graziano Delrio ha inviato alle Commissioni competenti il 30 marzo scorso.
Intanto, dai dati 2013 sappiamo che le armi sono state destinate ad alcuni Paesi che di sicuro reclutano bambini: Ciad, Nigeria e Libia. E in altri dove l’arruolamento ha subito una flessione, per via delle politiche di controllo: Pakistan, Filippine e India.
Tuttavia, allo stato attuale il clima nel Belpaese è cambiato e la raccolta dati del presente andrà fatta “armati di pazienza”. Con la sburocratizzazione voluta dalla Ue, la legge che regola la trasparenza e il controllo sul commercio di materiali d’armamento, la n. 185 del 1990 la cosiddetta “legge dei pacifisti”, ha subito una variazione nel 2012. Per i pacifisti ha creato un danno alla trasparenza perché ha allentato i controlli; per gli industriali del mondo bellico e gli istituti bancari, che con loro hanno relazioni, si tutela la “riservatezza commerciale”.

E le altre nazioni esportatrici di armi? Limitandoci alle principali, anche perché in generale è molto difficile raccogliere i dati ufficiali dei singoli Stati, vediamo che la Germania ha esportato nel tempo nei Paesi interessati dai conflitti armati che impiegano bambini: Iraq, Algeria, Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Le esportazioni della Francia nel 2014 sono aumentate del 18%. Questa nazione esporta in particolare in Medio Oriente e Asia. La Gran Bretagna invece andrà a esportare armi in 28 Paesi che sono sulla lista nera del Foreign Office e ne fanno parte anche Afganistan, Siria, Libia e Iraq.

Ma torniamo agli Stati Uniti, e alla maggior attenzione nei riguardi dei child soldiers. Di tale attenzione potremmo trovare conferma nel fatto che il primo film prodotto da Netflix – il colosso statunitense che ha creato una piattaforma di streaming on demand e che da qualche settimana opera anche in Italia – tratta proprio questo tema. S’intitola “Beasts of No Nation e in Italia è stato uno dei titoli in concorso al Festival del cinema di Venezia. Due gli interpreti principali: Idris Elba – attore britannico e famoso Deejay – insieme al piccolo attore ghanese Abraham Attah, al suo esordio, che in questo festival ha vinto il premio come miglior attore emergente.

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Il film si basa sul libro scritto da Uzodinma Iweala, nigeriano di origine ma statunitense di adozione (si è laureato ad Harvard). E porta la regia di Cary Joji Fukunaga, anche lui americano, ma con madre svedese e padre giapponese.
Il fatto sorprendente è che per la prima volta si è scelto di produrre un film non destinato a fare incassi al botteghino. Il tema è molto crudo. “È un pugno allo stomaco“, hanno detto i critici cinematografici dopo averlo visto.
Oltre a Venezia ha partecipato ad altri concorsi internazionali e ha ricevuto critiche positive. Pare addirittura che possa regalare a Netflix la chance di vincere l’Oscar. Sarà così? Vedremo.

Intanto c’è chi ha espresso la sua contrarietà a questo genere di film, che non è un prodotto made in Nollywood, e sono molti gli africani che pensano che non serva a sensibilizzare il pubblico, ma sia un mezzo per perpetuare lo stereotipo di “Africa uguale fabbrica di guerra e di soldati“, anche minorenni. Luogo comune duro a morire e molto diffuso anche in Italia.
Fatto sta che i child soldiers non sono solo un problema del continente africano, ma di tutto il mondo.



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