La crisi dei rifugiati, i diritti digitali e le censure dei governi
[Traduzione a cura di Davide Galati del Netizen Report pubblicato su Global Voices Advocacy. Il Netizen Report offre ogni settimana un’istantanea internazionale sulle sfide, le vittorie e le tendenze emergenti nel campo dei diritti digitali in tutto il mondo. In questa traduzione una sintesi delle principali notizie apparse negli ultimi due numeri del Rapporto.]
Le storie di rifugiati che si allontanano in massa dalla Siria e da altri Paesi teatro di conflitti per cercare di raggiungere l’Europa occidentale si trasferiscono nel territorio parallelo dei diritti digitali, dato che l’accesso alle reti di comunicazione è diventato davvero vitale per chi si muove a piedi in territori sconosciuti, e dovendo anche affrontare una crescente pressione da parte delle autorità di frontiera nell’Europa meridionale e centrale. Accanto ad applicazioni di mapping e di navigazione GPS, sono cruciali i servizi di messaggistica e i social network, strumenti con cui le persone possono comunicare e mettere a punto strategie tra loro.
In Ungheria, Serbia e Germania, volontari locali hanno risposto fornendo ai rifugiati telefoni cellulari, credito telefonico e accesso Wi-Fi in qualunque modo. Kate Coyer, esperta di comunicazione e a capo del progetto Civil Society and Technology presso la Central European University a Budapest, ha lavorato con alcuni colleghi e amici per dotare le aree affollate di hotspot WiFi portatili, con prese multiple e batterie di riserva per i telefoni cellulari. In un’intervista con il New Scientist, la Coyer ha affermato: “Non voglio contrapporre le diverse esigenze umanitarie una all’altra, perché non è un aut-aut, ma le esigenze di comunicazione sono ovviamente di importanza vitale e devono essere disponibili nel momento in cui servono.”
Le discussioni online sul massiccio afflusso di persone verso l’Europa occidentale si sono trasformate in alcuni ambienti social in discorsi d’odio, con diversi politici tedeschi locali che hanno ricevuto minacce di violenza o anche di morte in risposta al loro lavoro di sostegno alle operazioni di benvenuto ai migranti nelle loro comunità. Il parlamentare tedesco Ozcan Mutlu, di origine turca, ha riferito di aver ricevuto un messaggio che gli diceva: “è il momento di riaprire Auschwitz, Buchenwald, ecc. – che è dove voi sporchi Turchi dovreste stare!”
Analoghe tensioni si stanno manifestando su Facebook, e hanno provocato critiche da parte di utenti e leader politici i quali sostengono che la società non sta facendo abbastanza per frenare o rispondere ai discorsi d’odio che prendono di mira i rifugiati. Questa settimana la società ha annunciato l’intenzione di lavorare con il governo tedesco per limitare l’incitamento all’odio e alla xenofobia sulla sua piattaforma, dopo che il ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas ha discusso della questione direttamente con i dirigenti di Facebook. Maas ha annunciato l’avvio di una task force che include Facebook, il Ministero della Giustizia, i fornitori di servizi Internet e altre reti sociali con l’obiettivo di identificare i contenuti odiosi e rimuoverli più velocemente dalla piattaforma.
Il Parlamento austriaco propone un nuovo regime di sorveglianza statale
A metà ottobre il parlamento austriaco voterà il controverso “Staatsschutzgesetz“, o Legge di Protezione dello Stato, che stabilirebbe dieci nuove agenzie di sorveglianza (una federale, nove provinciali) concedendo loro ampi poteri di controllo sui cittadini ma con scarsa supervisione giudiziaria. Il disegno di legge impone che tutti i dati raccolti attraverso il programma debbano essere conservati per un minimo di cinque anni in un database centralizzato; inoltre incoraggia esplicitamente la cooperazione con le agenzie di intelligence straniere. La nuova legislazione è stata elaborata dopo gli attentati terroristici a Parigi e Copenaghen all’inizio di quest’anno e sta attirando dure critiche da parte di molte istituzioni austriache oltre che dalla cittadinanza. Una petizione online contro la Staatsschutzgesetz, organizzata dal gruppo austriaco per la privacy AK Vorrat, ha già raccolto oltre 13.000 firme.
La Russia obbliga le aziende straniere a memorizzare i propri dati nel Paese (eccetto Twitter)
Una legge di recente emanazione impone a tutte le aziende tecnologiche a cui accedano utenti russi di configurare server localizzati per l’archiviazione dati dei clienti russi. La legge si applica a tutte le aziende, ma ha un impatto particolarmente forte su quelle basate al di fuori del Paese. Se da un lato si può sostenere che la norma consente di proteggere meglio la privacy degli utenti dalla sorveglianza di attori terzi (ad esempio governi stranieri), la nuova legge rende tuttavia anche più facile alle autorità russe l’accesso ai dati degli utenti che in precedenza potevano essere memorizzati su server all’estero.
Google, Facebook e Twitter sono impegnate in riunioni con i legislatori russi per comprendere le conseguenze delle nuove regole, ma non è chiaro se dovranno aderirvi o no. Al momento i funzionari russi dichiarano che la nuova legge sulla localizzazione dei dati non influirà su Twitter, sostenendo inoltre che il servizio non memorizza ciò che viene considerato come dato utente. Ma anche l’esistenza di discussioni segrete può indirizzare verso una futura conformità. Come osserva il giornalista russo Andrei Soldatov: “Se le multinazionali sono d’accordo nel colloquiare in segreto, le autorità russe penseranno che siano pronte a cooperare in settori sensibili.”
Etiopia: sedici mesi dopo il loro arresto, quattro blogger ancora in attesa di processo
Quattro blogger di Ethiopia’s Zone9, posti sotto accusa dopo la proclamazione della legge anti-terrorismo e in carcere da aprile del 2014, restano tuttora in attesa di processo. Nonostante il fatto che cinque dei loro colleghi siano stati rilasciati e scagionati da ogni accusa lo scorso luglio, i quattro sono stati portati davanti alla corte il 7 settembre scorso e hanno subito un ulteriore rinvio di un mese. Sino ad oggi sono stati convocati in tribunale 37 volte per vedere ogni volta il loro caso rinviato, e hanno trascorso finora più di 500 giorni in carcere.
Minacce alla stampa libera, una testimonianza
Il Washington Post ha pubblicato una nuova serie di video dal titolo “Global Threats to a Free Press” [“Le minacce globali a una stampa libera”], basata su testimonianze video di trenta giornalisti, blogger, fotografi e attivisti di tutto il mondo che hanno dovuto affrontare minacce dirette a causa del loro lavoro. Tra essi gli autori di Global Voices Online Endalk Chala (Etiopia) e Ali Abdulemam (Bahrain).