[Questo post è a firma di Nicoletta De Vita, giornalista pubblicista e laureata in Economia del Turismo]
Una piccola telecamera sul cruscotto di un taxi, Jafar Panahi clicca REC e inizia un viaggio tra le mille contraddizioni dell’Iran, tra volti comuni e storie di quotidiana umanità. “Taxi Teheran” è il terzo film del regista iraniano Panahi dopo aver avuto il divieto dal Governo di girare e produrre pellicole, ed è stato premiato la scorsa primavera al Festival Internazionale del Cinema di Berlino con l’Orso d’Oro. E così è arrivato nelle sale di tutto il mondo anche senza il consenso dell’Iran, raggirando l’interdizione dopo la condanna per propaganda anti islamica, ricevuta nel 2011 a 20 anni di “silenzio”.
Tanti personaggi salgono su quel taxi e una brillante promessa del cinema: la nipotina del regista che con battute velocissime riesce a spiazzare e convincere il pubblico in sala. Ruolo emblematico e fondamentale, quello del venditore di Dvd e film abusivi, che richiama alle numerose pellicole non distribuite nei cinema iraniani. Tutto il tema di Taxi Teheran gira, infatti, intorno alla censura e alla libertà di espressione, spesso negata in Iran.
Nel film non ci sono titoli di coda e questo è stato l’espediente che Jafar ha utilizzato per poter girare clandestinamente il suo ultimo lavoro, poiché in questo modo non è possibile attribuirgli la paternità della pellicola. In Italia, molti attori e registi hanno sposato la causa di Panahi e così è nata una pagina su Twitter per sostenere uno dei grandi maestri del cinema iraniano con il relativo hashtag #ioguidoconjafar.
Prima del Festival di Berlino, il regista iraniano aveva scritto una toccante lettera al pubblico per raccontare il suo bisogno di cinema e la sua voglia di filmare il suo Paese.
Sono un cineasta. Non posso fare altro che realizzare dei film. Il cinema è il mio modo di esprimermi ed è ciò che dà un senso alla mia vita. Niente può impedirmi di fare film e quando mi ritrovo con le spalle al muro, malgrado tutte le costrizioni, l’esigenza di creare si manifesta in modo ancora più pressante. Il cinema in quanto arte è la cosa che più mi interessa. Per questo motivo devo continuare a filmare, a prescindere dalle circostanze, per rispettare quello in cui credo e per sentirmi vivo. Nei miei sogni, aspetto i vostri film e spero di trovarci tutto quello che hanno tolto a me.
Quello di Jafar Panahi è solo l’ultimo caso dei film passati sotto l’ascia della censura. Tempo fa Iran Human Rights ha messo in campo una campagna internazionale contro la politica dei divieti del Governo guidato da Hassan Rouhani, segnalando una lista di 14 film che ancora – dal 2007 – non riescono ad ottenere il permesso per la pubblica visione.