Nepal, piccole Onlus che arrivano dove i grandi aiuti si fermano

Nel libro Buon Viaggio Signora Pineapple (Eironeia 2010) Viola Valeria Padovani, fondatrice della Onlus Centro Studi Platone  descrive il suo arrivo in Nepal nel 1999, e la decisione, insieme ad altri, di fondare una scuola.

Ma l’approdo in Nepal era ancora tutto da conoscere“, scrive Viola. Attraverso partecipazione, incontri, rapporti con la gente che avvengono attraverso l’indo-english e tanti gesti. Uno dei primi luoghi che scatenò l’empatia e la comprensione del Nepal è Pashupatinath, dove i morti vengono cremati e divisi come in India tra poveri e ricchi. “Mi fa accartocciare lo stomaco vedere i bambini vicini alle pire, sono lì lungo il fiume dove cade la cenere dei corpi e si buttano in acqua anche a febbraio, per cercare qualcosa negli abiti di chi è stato bruciato, qualche monetina o altro, da tenere o da vendere. Da una parte l’aria serena del tempio, in pace con la vita e con la morte, dall’altra la disperazione e l’abbrutimento che li muove verso la perdita totale della dignità e di ogni cautela“.

A Pashupatinath si svolge anche un curioso rituale: “i vecchietti ci aspettano alla stessa ora per la danza pomeridiana, ci tendono le mani uno dopo l’altro, chi suona chi canta chi danza. Quando ci rivedono ci riconoscono e ci abbracciano solo con gli occhi. Di salute incerta, questi bei vecchietti non temono la morte, sono nel tempo.” Nel libro si parla di esperienze come queste e di incontri con quelle persone che rappresentano il fine delle azioni di volontariato.

Quasi l’intero Stato del Nepal è stato colpito dal terremoto dello scorso aprile e osservando la mappa realizzata da Google per portare aiuti umanitari, si può comprendere quanto sia esteso il territorio del disastro. Questo significa che le stime dei morti sono destinate a salire ma soprattutto che i sopravvissuti avranno bisogno per ancora molto tempo di aiuti di ogni genere.

Raccolto in Nepal, prima del devastante terremoto dell'aprile 2015 - Foto dalla Collezione dell'Istituto Internazionale delle Ricerche sul Riso (IRRI) - Licenza (CC BY-NC-SA 2.0)

Il Nepal è tra i Paesi più poveri del mondo e tra i più poveri dell’Asia, insieme al Paskistan e al Bangladesh stando al Rapporto dell’ONU sull’indice di sviluppo umano, redatto nel 2013. La situazione politica e amministrativa è indubbiamente complessa e non è un segreto che la corruzione influenzi la gestione del Paese, tanto che in questi giorni i social network e i media discutono molto sulla difficoltà a far arrivare gli aiuti umanitari all’interno del Paese. La scelta di donare a piccole ONG, Onlus o strutture ospedaliere che operano autonomamente senza l’intermediazione del Governo potrebbe essere la strada migliore per evitare corruzione e speculazione sulle donazioni.

Ne abbiamo parlato con Viola Valeria Padovani.

Cosa sta accadendo adesso in Nepal? Quali sono i canali del Centro Studi Platone per aiutare ?

Questo è uno di quei momenti dove oltre a dover navigare a vista ci si aspetta uno “tsunami” dopo l’altro. Morti, feriti, mancanza di cibo, di acqua, rischio di epidemie e la burocrazia che non permette di muoversi come si vuole, anzi. In queste settimane è difficile mandare denaro, difficile essere certi che arrivino o che non accada come in India quando – dopo lo tsunami – sono state inviate giacche a vento, lì dove la temperatura raggiunge i 40°. Difficile quindi decidere chi aiutare, ma per noi è comunque possibile perchè in 16 anni abbiamo creato un tessuto di rapporti di fiducia, di affetto, di trasparenza e quindi ci rivolgiamo direttamente a chi ha bisogno e arriviamo dove possiamo. Ci stiamo affidando soprattutto ad una dottoressa che conosciamo e lavora in un ospedale dell’area colpita. I problemi che ci sono – e che stiamo nel nostro piccolo affrontando – riguardano l’acqua potabile, il cibo, la ricostruzione, le cure mediche per donne incinta e bambini, gli aiuti per ricostruire le case di fango crollate nei villaggi isolati. E non ultimi, anche gli aiuti ai nostri amici vecchietti del Tempio di Pashupatinath.

Nel 2009 dopo lo Tsunami che colpì il Tamil Nadu hai aiutato la popolazione nelle attività di primo soccorso insieme ai tuoi figli, ricordando quell’esperienza – descritta nel tuo libro – quale messaggio vorresti dare adesso per il Nepal? Quali sono le potenzialità delle piccole ONG per aiutare?

Che ricordo terribile quello dello tsunami, ma soprattutto le difficoltà successive. Ma il problema più grande è l’indifferenza. Ogni volta che come adesso accade qualcosa di terribile, vedo man mano affievolirsi della notizia sui media, fino alla sua scomparsa. È l’abitudine della gente alle tragedie, l’indifferenza verso la povertà. Ed è questo il primo dramma del Nepal, noi dimentichiamo in fretta. Sono tante le associazioni e le persone che veramente operano e aiutano con la gioia di farlo, ma in alcuni luoghi e condizioni, la grande struttura non può entrare, le porte sono chiuse. Anni fa ci accadde di dover divulgare un appello, cercavamo il padre di un ragazzo a noi molto caro, spargemmo la notizia che si diffuse in poco tempo attraverso l’internet delle montagne. Così fu possibile rintracciare l’uomo che viveva e vive isolato su un territorio impervio. Le piccole associazioni possono moltissimo perchè hanno salvaguardato il rapporto con le persone. Ci sono luoghi, montagne, ampie aree che sono irraggiungibili e che non possono avere aiuti per vie comuni. Per fortuna tra le tante persone che conosciamo ci sono anche coloro che possono percorrere quei sentieri, sono sherpa che hanno sempre avuto nel cuore una sola visione: aiutare, e noi aiutiamo anche loro.

Nepal, sentieri impervi - Foto di Bernard Fumeau - Licenza (CC BY-NC-ND 2.0)

Come si vive in Nepal? Perché secondo te non c’è un movimento migratorio come dal Bagladesh e dal Pakistan ?

Noi occidentali ci viviamo bene, è una terra di cui ci si innamora perdutamente e non la si lascia più, si sia scalatori, viaggiatori o persone che ci lavorano come noi. Per loro però è dura, la povertà è dura, ma forse lo è meno che per noi qui in Italia. I nepalesi sono un tutt’uno con la loro terra, ne emerge una manifestazione dell’insieme, dell’unione, la tradizione che vive nonostante la modernità, la certezza di essere parte del tutto. Alcuni anni fa vidi una donna scesa da una montagna, seduta in un centro Internet a parlare via Skype con il figlio residente in Australia. Per lei era normale, come era normale tornare sulla sua montagna e non vedere più anima viva per mesi e mesi. ‘’è un’accettazione in questo popolo, una conoscenza profonda, intrinseca nelle loro vite e anime che non può essere capita, non fa notizia, non crea curiosità, non si manifesta come straordinaria, ma è proprio questa la loro forza.

[Il Centro Studi Platone sta raccogliendo fondi da inviare in Nepal. Sul sito della Onlus le modalità di versamento]


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