Alicudi è l’isola dove il regista Alberto Bougleux ha scelto di girare “L’ultimo giorno“, un documentario prodotto dal Museo del Cinema di Stromboli (presentato in anteprima nazionale il 19 dicembre scorso) che racconta la scuola più piccola d’Italia e d’Europa.
Nel plesso scolastico di Alicudi, che dipende dall’Istituto Lipari 1, rispondono all’appello soltanto Mirko, Valentino e Gabriele, gli unici alunni dell’insegnante Teresa. Che, colpita dalla “malattia dello scoglio”, da Milano si è traferita quasi vent’anni fa nell’isola, per mettersi alla prova in una “scuola di frontiera”, ai margini, sempre a rischio di chiusura.
Un film girato in tre anni – dal 2011 al 2013 – che documenta il diritto dei bambini alla serenità e ad una buona formazione anche in un contesto arcaico e povero di stimoli culturali come l’isola più selvaggia delle Eolie.
Alberto, qual è oggi la situazione della scuola di Alicudi?
La novità di quest’anno è che la scuola di Alicudi, che a giugno sembrava destinata a chiudere per mancanza di alunni, a settembre ha riaperto con due nuove iscrizioni in prima elementare e con l’arrivo di una nuova insegnante. È un ottimo segnale della sensibilità della direzione scolastica rispetto all’unicità e al valore dell’esperienza della scuola di Alicudi, e anche il segno del successo dei tanti sforzi di Teresa Perre e delle colleghe e dei colleghi che negli anni l’hanno affiancata affinché la piccola scuola dell’ultima isola non fosse un episodio effimero ed isolato.
“L’ultimo giorno” racconta la quotidianità di tre ragazzi in una scuola molto speciale. Come veniva percepita la sua presenza di filmmaker all’interno del contesto scolastico?
Prima del documentario Mirko, Valentino e Gabriele erano stati miei alunni nel corso di un laboratorio video che svolsi per la scuola di Alicudi nel marzo del 2008. In quell’occasione i ragazzi e i loro compagni dell’epoca si cimentarono con un interessante esperimento di narrazione in video del proprio territorio: ne nacquero le “Nuove cartoline di Lapa TV”, alcuni frammenti delle quali sono ora entrati a far parte del documentario. Quando tornai ad Alicudi nel 2011 con l’idea di filmare la quotidianità della scuola di fatto fu come riprendere il nostro antico discorso sul cinema, e invitarli questa volta fare l’esperimento di stare davanti, e non dietro, la telecamera. L’ultimo giorno nasce quindi come un vero e proprio prolungamento di un’esperienza di laboratorio video in un territorio al margine, e ne conserva, credo, quella speciale atmosfera di intimità e fiducia reciproca che nasce dal fare le cose davvero insieme.
In questo documentario si parla anche di genitori assenti, poco sensibili alle problematiche dei figli. Ha avuto un feedback dai genitori dei protagonisti del film?
Si tratta senz’altro di uno degli aspetti più delicati di tutto il lavoro. I genitori sono infatti pienamente consapevoli delle difficoltà del fare scuola sull’isola. Come emerge in molti momenti della narrazione, uno dei fronti più importanti del lavoro di Teresa è proprio quello della costante comunicazione con le famiglie. Il ritratto che ne emerge, pur senza puntare il dito contro nessuno, accenna almeno a grandi linee alle difficoltà ambientali vissute dai ragazzi, e soprattutto alla grande difficoltà di tenere in piedi il progetto scolastico senza una condivisione di metodi e obiettivi con le famiglie, cosa vera sull’isola così come in una qualsiasi scuola di città. D’altra parte, durante la fase delle riprese i genitori si sono mostrati molto disponibili e aperti a quello che poteva emergere dal racconto schietto dell’esperienza scolastica dei loro figli, che hanno autorizzato senza timori anche sulla base del rapporto di fiducia nato con il precedente laboratorio. Per il momento, proprio perché la cosa non sia viziata dalle ambiguità della comunicazione a distanza, non è ancora stato possibile un confronto diretto con le famiglie sul film, ma la cosa è naturalmente rimandata alla prima occasione di presentazione del documentario sull’isola.
La gran parte del girato è stato realizzato in aula nel corso di lunghe sessioni di osservazione della quotidianità della scuola di Alicudi….
Il girato rappresenta un calco molto fedele dello scorrere del tempo nella piccola scuola. Al momento di tradurre questo lavoro in montaggio, l’operazione principale è stata quella di cercare di conservare la temporalità distesa dell’osservazione, ma al tempo stesso di isolarne un limitato numero di momenti paradigmatici. Momenti che rappresentano un succedersi ininterrotto di quiete, dove la scuola di tre alunni sembra essere il miraggio di ogni insegnante e di ogni bambino, e momenti dove invece in aula si scatena la più feroce tempesta, e dove ogni sforzo per far sembrare quell’aula una scuola sembra destinato a fallire.
L’idea non era quella di ricostruire una descrizione letterale dell’isola, ma anzi di renderla uno sfondo temporale quanto più possibile fedele ma astratto, per poter concentrare tutta l’attenzione sulla vicenda dei ragazzi alle prese con il dilemma del crescere fra le quattro pareti di una scuola tanto speciale.
Centrale risulta il rapporto fra i ragazzi e la maestra Teresa…
Con la maestra Teresa, i ragazzi dimostrano pian piano di saper tirare fuori un lato nascosto di sé, ancora capace di tenerezza, curiosità e poesia. Il documentario in fondo si riduce a questo: da una parte il muro uniforme di un presente immobile, dall’altra sguardi fugaci e guizzanti che sembrano intravedere nonostante tutto un varco quasi invisibile ma che rende forse possibile un cambiamento.
Quanto è costato il film?
Credo in tutta onestà che “L’ultimo giorno” sia uno dei documentari con il budget più basso (fra quelli che ancora ne hanno uno) della storia del cinema recente…La lavorazione del film è iniziata nel 2011 a budget zero, forte esclusivamente di alcuni rimborsi di viaggio che provenivano da “Lapa TV”, progetto di formazione ai mestieri del cinema per le scuole delle isole Eolie che svolgo dal 2004 e che nel 2008 mi aveva portato a conoscere la realtà della scuola di Alicudi. Nonostante l’interesse crescente sui media per la storia più della “scuola più piccola d’Italia” e alcuni pronunciamenti di facciata, il progetto è rimasto scoperto di qualsiasi reale copertura produttiva per oltre tre anni, durante i quali le riprese sono andate avanti sempre e soltanto grazie al ripetersi a cadenza annuale del progetto di formazione, che per fortuna nel frattempo è entrato a far parte del piano formativo dell’Istituto Lipari 1, da cui dipende anche il plesso scolastico di Alicudi. Soltanto nella primavera del 2014 ho finalmente lanciato una campagna di crowdfunding a sostegno del progetto, con l’obiettivo di coprire i costi, altrimenti non sostenibili, di montaggio e postproduzione del documentario. La campagna ha raccolto 6.500 euro, che fra costi di gestione e ricompense per i sostenitori si riducono operativamente a non più di 4.500. Se sommiamo i rimborsi di viaggio che hanno reso possibile le riprese credo che il budget generale del film sfiori appena i 5.000 euro.
Il documentario – in forma diaristica – è puntellato da un dialogo costante fra interni ed esterni…
Il lavoro fotografico (e audio) si concentra interamente sulla polarizzazione fra gli spazi angusti dell’aula e la profondità di sguardo dell’orizzonte marino, fra il rimbombo delle pareti nude e la quiete raccolta della casa della maestra, fra l’urto dei banchi e delle seggiole di metallo e la profondità attutita e fuori campo di certe albe e di certi tramonti fra la vegetazione e il mare. Ho cercato di far giocare in coppia audio e fotografia per creare questo continuo contrasto di ambienti, alcuni ravvicinati fino alla distorsione e fino a generare quasi fastidio e istinto di fuga. Altri dominati dall’eco lontana dell’anfiteatro marino di un’isola quasi verticale. Altri ancora ricondotti alla dimensione tutta interiore della vicenda filtrata dalle parole della maestra. Inoltre mi sono a lungo soffermato sul mutare dei colori e delle stagioni sulla sagoma della vicina Filicudi, orologio cromatico di un tempo immutabile che per i tre piccoli protagonisti sembra non passare mai.
La maestra Teresa è ora in pensione…
Di Teresa posso dire soltanto che si tratta di una delle persone più aperte e allo stesso tempo riservate che abbia mai conosciuto. E anche una di quelle non amano affatto farsi ritrarre in fotografia. Per rendere l’idea, il titolo della primo cortometraggio realizzato nel corso dei laboratori di Lapa TV ad Alicudi nel 2008 è “Cartolina alla maestra che non c’è”: nel corto i ragazzi fingono che la maestra sia partita per Milano e le scrivono una video cartolina per parlarle di come si sentono in sua assenza. Dico “fingono” perché in realtà Teresa era ovviamente sull’isola e presentissima durante tutto il laboratorio: i ragazzi avevano liberamente scelto di fare un corto su di lei, ma davanti al suo rifiuto di comparire nelle immagini avevamo dovuto rovesciare la storia e giocare d’astuzia con la sua finta partenza… A film fatto, posso dire con tutto l’affetto che fin dai quegli antichi laboratori Teresa è stata fino a oggi il mio personaggio più difficile.
Per quanto riguarda il suo rapporto con i ragazzi, la chiave dell’approccio di Teresa è l’ascolto. Riesce a stabilire una comunicazione con loro perché prima di tutto crede in loro e dà valore e legittimità a quanto i ragazzi sanno portare in aula. Teresa con l’ascolto riesce a calmare i ragazzi, abituati invece alla violenza come unica forma di comunicazione a senso unico. E nella fragile quiete che riesce a stabilire insegna ai suoi ragazzi a pensare, ad associare e ordinare le loro piccole “mappe delle immagini mentali” per poter ricondurre il loro energico mondo interiore alla riflessività e al controllo della scrittura. La chiave del suo modo di fare scuola, e del suo rapporto con i ragazzi, è forse tutta lì: ascoltare anche quando sembra inutile e impossibile, e aiutare a riformulare affinché l’ascolto, e con l’ascolto la convivenza, sia ogni volta più fertile, possibile o semplicemente desiderabile.
Gli insegnanti che affiancano Teresa nel film non sembrano troppo indulgenti rispetto alle problematiche e alle fragilità dei ragazzi. Cosa ha pensato mentre filmava il consiglio di classe che si svolgeva in cucina?
Credo che nel consiglio di classe che si svolge nella cucina della casa eoliana che ospita la scuola si confrontino due modi molto lontani di intendere e fare didattica: da una parte c’è la scuola dei risultati, dei voti, degli esami finali. La scuola che nel bene e nel male cerca di misurare tutti gli alunni con lo stesso metro, in funzione del curriculum svolto e degli obiettivi raggiunti. Si tratta della scuola convenzionale e maggioritaria, quella che prima o dopo abbiamo conosciuto tutti, ma che con i figli di un ambiente chiuso e impervio come quello dell’isola rischia semplicemente di fallire la propria missione. Dall’altra parte ci sono gli ideali di una scuola davvero moderna, libera e anticurriculare, capace di cominciare davvero dai bambini e dalle loro necessità primarie. Una scuola il cui scopo non è quello che i propri alunni sappiano “dire qualcosa” agli esami, ma quello di offrire loro una chance per quanto minima di cambiamento e di uscita da dinamiche sociali che rischiano di privarli del loro futuro. Una scuola che prima di insegnare “materie” cerca di insegnare la convivenza e il diritto di ogni bambino alla serenità.
Mi può parlare del progetto relativo al Museo Audiovisivo della Memoria di Alicudi?
Il progetto del Museo dell’Isola è un’idea della stessa Teresa Perre. L’obiettivo è raccogliere e conservare nei locali della scuola la memoria della narrazione e dell’identità dell’isola, che fino a oggi è stata completamente orale e che con il rapido invecchiamento della popolazione rischia di perdersi. Come per molte altre isole minori, quella di Alicudi è la storia di un angolo del Mediterraneo che negli ultimi 50 anni ha vissuto una trasformazione drastica, dal mondo arcaico che andava a remi, senz’acqua e senza luce, al turismo di massa, che insieme a un discreto benessere ha portato alla rapida erosione di un’identità e una cultura millenarie. La scuola in questo senso è per l’isola l’unico luogo dove l’identità dell’isola non è solo memoria, ma presente vivo. Il progetto di Teresa è in fondo proprio questo: mantenere intatto il legame fra la scuola e l’identità del luogo, anche quando la scuola non ci sarà più. In modo analogo è nato in tempi recenti anche il Museo del Cinema di Stromboli, di cui sono il curatore e che oggi produce L’ultimo giorno, e che raccoglie un repertorio unico della memoria audiovisiva, passata e presente, di tutte le Isole Eolie. Anche in questo caso si tratta di un progetto reso possibile dall’intensa collaborazione con l’Istituto Lipari 1 e allestito ancora una volta al’’interno locali di una scuola, appunto quella della vicina isola di Stromboli.
[Di seguito il trailer del documentario. Il ricavato della visione sarà impiegato per allestire il Museo audiovisivo della memoria di Alicudi nei locali della scuola dell’isola]