La crisi ucraina e il “ritorno” degli armamenti nucleari

[Traduzione a cura di Manuela Beccati, dall’articolo originale di Nikolai Sokov pubblicato su openDemocracy]

La crisi in Ucraina ha riportato alla luce la questione delle armi nucleari. Negli ultimi anni, il disarmo nucleare non ha più visto grandi sostenitori. La riduzione unilaterale delle scorte di armi nucleari negli Stati Uniti sotto la presidenza di George W. Bush non è riuscita a richiamare seriamente l’attenzione. L’impatto del discorso di Barack Obama a Praga [nel 2009, NdT] nel quale prometteva maggiori sforzi per l’eliminazione delle armi nucleari è stato di breve durata (e comprendeva il monito che per i tempi richiesti il risultato non sarebbe stato ‘quello della [sua] vita’). Abbiamo capito ancora una volta, purtroppo, che c’è bisogno di una crisi per ottenere l’attenzione del pubblico e dei politici in tema di armi nucleari. Il problema è che le situazioni di crisi portano a considerare le armi nucleari ancora più attraenti e utili invece di spingere verso la loro eliminazione.

Nella crisi ucraina le armi nucleari assumono un ruolo importante sotto tre punti di vista.

In Ucraina

La prima dimensione è la crescente attenzione, all’interno del Paese, sul volontario abbandono di armi nucleari nel 1990, insieme alla ripresa di richieste per il riarmo nucleare. Questi temi sono presenti da anni nel dibattito politico ucraino, ma in precedenza queste richieste erano state rare e limitate a gruppi marginali. Ora provengono invece anche da partiti di centro. I nazionalisti, che sono stati la principale fonte di questo sentimento, sono diventati più influenti nella vita politica ucraina. Picchi di proposte per il riarmo nucleare possono essere chiaramente collegate ai periodi più acuti della crisi – il referendum in Crimea in primavera; e la lotta intensificata ad est, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Una nuova fase di escalation potrebbe portare ad ancora maggiori richieste di questo tipo, comprese proposte di legge in Parlamento per il riarmo nucleare.

Richieste per la riacquisizione di armi atomiche, e l’idea che un’Ucraina nucleare sarebbe più sicura nei confronti della Russia, non possono non attirare l’attenzione sia all’interno che all’esterno del Paese, ma gli ucraini rimangono in gran parte freddi rispetto al tema. Prima degli eventi recenti, solo i partiti con bassi indici di gradimento (5% o meno) hanno spinto la questione, forse per promuoversi e aumentare la propria popolarità, anche se questo non ha mai funzionato. La percezione di una grave minaccia esterna e una crescita del nazionalismo hanno contribuito ad accrescere il gradimento del riarmo, ma a quanto pare solo marginalmente. I politici possono utilizzare tutto ciò per aumentare la loro visibilità, ma un cammino per la riacquisizione delle armi nucleari non è realistico – la popolazione difficilmente sosterrà un impegno notevole di risorse a tale scopo. L’attenzione si concentra piuttosto sulla campagna militare nella parte orientale del paese e sulle questioni economiche, sociali, e politici tangibili.

Sembra che gli ucraini abbiano colto gli elementi essenziali di ciò che le armi atomiche possono e non possono fare, meglio di molti loro politici. Uno status nucleare difficilmente avrebbe aiutato l’Ucraina contro un’aggressione definita come ‘ibrida’, in cui la Russia ha usato poco anche solo le sue forze convenzionali. Vi è anche la convinzione diffusa che un tentativo di ‘usare il nucleare,’ pur teoricamente possibile, richiederebbe tempo e risorse, che l’Ucraina non ha, e sarebbe anche fortemente scoraggiato dall’Occidente, il cui sostegno è vitale per Kiev. Alla luce di tutte queste considerazioni, si può considerare improbabile che l’Ucraina persegua l’obiettivo di riarmo nucleare.

In Russia

La Russia è stata tutt’altro che modesta nell’ostentare il suo status nucleare, ma i suoi segnali sono stati indirizzati solo all’Occidente, non all’Ucraina. Questa rappresenta la seconda dimensione dell'”aspetto nucleare” della crisi in corso. E’ stata ricordata molte volte la capacità nucleare della Russia a tutti i livelli, sia ufficiali che non ufficiali, con il chiaro intento di far riflettere l’Occidente due volte (o più) sui rischi di escalation. Questo per frenare efficacemente il conflitto interno in Ucraina, e per mettere in guardia circa l’indesiderabilità di un confronto lungo tra la Russia e l’Occidente. Le dichiarazioni russe sono state accompagnate da molteplici lanci di missili e invio di pattuglie aeree di velivoli con capacità nucleare in zone adiacenti ai Paesi della NATO.

In realtà, la propensione verso il nucleare del Cremlino è sempre stata più di circostanza che di sostanza. Ci sono poche ragioni per credere che la NATO avrebbe potuto decidere di interferire direttamente in Ucraina, con o senza le avvertenze russe sulle proprie armi nucleari, per cui si può giudicare scarso l’effetto sulla politica occidentale.

Fino a un certo punto, questa retorica bellicosa è destinata al consumo interno; i russi amano le loro armi nucleari e lo status di una delle due principali potenze atomiche. Queste armi sono considerate sia come un simbolo sia come una garanzia di sicurezza e indipendenza. L’opinione pubblica sostiene il mantenimento di un gran numero di armi nucleari, ed è a favore di programmi di modernizzazione. Il disarmo nucleare non è dunque visto di buon occhio. Mentre il controllo (check) delle armi può essere ‘venduto’ al pubblico come misura di ottimizzazione, l’eliminazione delle stesse è destinata a fare fiasco. La crisi in corso nei rapporti con l’Occidente ha solo rafforzato questi atteggiamenti, che esistono da lungo tempo e sono aumentati negli ultimi dieci anni (all’incirca dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003).

L’aspetto “finanziario” del brandire armi nucleari sulla scena mondiale, tuttavia, per i russi è rimasto “al risparmio”. Tutti i programmi di sviluppo e di implementazione sono stati avviati anni fa e sono proseguiti con lentezza, forse anche un po’ in ritardo sia per motivi finanziari che tecnici. Il numero di lanci di missili si è sempre tenuto costante negli ultimi anni, e tutti si dividono in due consuete categorie – test dei nuovi sistemi in fase di sviluppo, o la conferma che i vecchi sistemi, di fabbricazione sovietica, funzionano ancora. L’unica attività che ha mostrato un aumento è il volo di aerei a capacità nucleare – l’unico tipo di attività che può essere incrementato senza troppi costi.

In Europa

Infine, la “terza dimensione” relativa all’aspetto nucleare della crisi ucraina è la fine apparente del dibattito sulla presenza delle armi nucleari tattiche in Europa. Nonostante la Deterrence and Defense Posture Review [Rassegna delle postazioni di deterrenza e di difesa] e l’adozione di un nuovo Concetto Strategico, nel 2010, l’opposizione al mantenimento di queste armi in Europa era rimasta finora molto forte, e incerto il finanziamento per la futura sostituzione di aerei a doppia capacità. Ma dopo l’annessione della Crimea e l’aperto conflitto apertosi in Ucraina orientale, approcci contrari alla conservazione dell’attuale capacità nucleare della NATO sono diventati politicamente insostenibili. Mentre il ritiro delle armi tattiche è formalmente sulla carta, in pratica non lo è. Invece, le richieste per spostare armi nucleari verso est, sui territori dei nuovi membri, si sono fatte sentire al recente vertice Nato in Galles.

In realtà, il ruolo delle armi nucleari tattiche nella politica di sicurezza della NATO è un po’ cambiato, se non del tutto, da quando è iniziata la crisi Ucraina. Senza una missione militare definita, in primo luogo, restano un “pilastro” destinato a fornire sostegno psicologico. Il loro valore di deterrenza è però minimo e può influenzare solo in minima parte i calcoli russi: nonostante le recenti dimostrazioni di avventurismo, difficilmente ci si può aspettare che il Cremlino consideri realmente la pianificazione di un attacco militare contro la NATO. Nonostante lo spostamento a est, il ruolo militare occidentale difficilmente aumenterà, alimentando più che altro lo sforzo propagandistico nazionale russo al fine di presentare la NATO come una minaccia militare diretta.

Tutti e tre gli ambiti, quello russo, ucraino, e quello NATO mostrano le stesse caratteristiche: una retorica dai toni aspri che non corrisponde a sviluppi sostanziali, i quali finora sono rimasti senza conseguenze. Se non altro, questo dimostra ancora una volta che le armi nucleari non hanno un ruolo tangibile nella politica internazionale – sia ai fini di uso effettivo della forza o per rafforzare la deterrenza.

In ogni caso non c’è motivo di sentirsi rassicurati. Le armi nucleari stanno assumendo una posizione sempre più in evidenza nel dibattito politico di alcuni Paesi, e c’è sempre il pericolo che dalle parole si passi all’attuazione della politiche sbandierate. Stranamente, la traiettoria di questi dibattiti è legata solo in parte ai futuri sviluppi dentro e sui confini dell’Ucraina. Indipendentemente dal fatto che la crisi possa continuare e s’intensifichi, possa risolversi in un modo o l’altro, o rimanga congelata per un lungo periodo di tempo, i dibattiti sul possibile nuovo ruolo per le armi nucleari continueranno. L’impulso a questo dibattito è già stato fornito, e ora può assumere una vita propria.

La prospettiva statunitense

Questa sfida è aggravata ulteriormente dai dibattiti sul bilancio negli Stati Uniti – sono richiesti finanziamenti aggiuntivi per mantenere l’arsenale nucleare esistente e il complesso di armi che può contenere. Ci sono anche richieste per l’avvio di ricerca e sviluppo di nuovi veicoli e piattaforme per il trasporto di armamenti nucleari. La crisi in Ucraina e l’accresciuto profilo delle armi atomiche nella politica di sicurezza della Russia possono aiutare a mantenere un clima favorevole per i sostenitori di queste richieste. Possiamo quindi aspettarci che il grado di attenzione rispetto agli aspetti nucleari della crisi ucraina continuerà, e forse potrebbe aumentare nel tempo.

Di fatto nella crisi ucraina la situazione è che, quando le prese di posizione pubbliche e la politica interna promuovono il ruolo delle armi nucleari a un livello ben superiore a quello effettivo, ci troviamo di fronte a una dinamica completamente illogica. Questo non fa ben sperare per ciò che riguarda le prospettive di riduzione del ricorso alle armi nucleari o per una profonda riduzione degli arsenali nucleari, né per il futuro del regime di non proliferazione nucleare. Le possibilità di invertire questa dinamica sembrano purtroppo scarse.

L’impulso al disarmo nucleare, che ha dominato l’agenda della sicurezza globale dopo il discorso del Presidente Obama tenuto a Praga nel 2009, si è esaurito. Questo non può essere imputato interamente all’amministrazione Obama: è stato soprattutto il risultato degli sforzi combinati della Russia, che, nella primavera del 2014 ha cambiato il nome del servizio competente del ministero degli Esteri da “disarmo” a “controllo degli armamenti”, e dei Repubblicani negli Stati Uniti. Le altre parti del programma – la sicurezza nucleare (vertici di sicurezza nucleare sono stati i più evidenti, ma lungi dall’essere l’unica parte) e la non proliferazione nucleare (i tentativi di avviare una conferenza sulla zona denuclearizzata mediorientale così come i negoziati con l’Iran) sono rimaste ancora al centro dell’attenzione.

Sarebbe un errore essere ottimisti sulla possibilità che questa situazione possa cambiare. Lo squilibrio che ne risulta è pericoloso: senza seri sforzi per ridurre il ruolo delle armi atomiche e, drasticamente, gli arsenali nucleari, è difficile rafforzare il processo di non proliferazione; la probabilità di un’inversione negli sforzi verso il disarmo pare destinata a rimanere elevata nei prossimi anni. L’ostacolo principale nell’agenda del disarmo, a quanto pare, è la politica interna: in Russia, il sostegno dello status nucleare; negli Stati Uniti, i repubblicani tendono ad opporsi a qualsiasi concessione, in particolare sulla difesa missilistica (in netto contrasto con il ruolo tradizionale repubblicano durante la guerra fredda). Finché questi due attori si rafforzano a vicenda, le armi nucleari non solo persisteranno, ma è probabile che acquisiranno un ruolo maggiore nella politica internazionale e, di conseguenza, richiederanno maggiori finanziamenti.

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