Storie di leoni, la continua ascesa del cinema africano
[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Thembi Mutch pubblicato su ThinkAfricaPress]
“Nessuno sarà mai liberato attraverso i miei film. È un comportamento egoista e una falsità il solo pensarlo” afferma il regista sudafricano Khalo Matabane, dopo la proiezione del suo documentario “Mandela, the Myth and Me“. Il film, un ritratto meraviglioso, delicato e severo del privilegio, dell’opportunismo, dei cicli di abusi, del perdono e della vendetta nel Sud Africa post-apartheid, ha fatto agitare alcune persone del pubblico, rimaste sconvolte da questo documentario che ha osato mettere in questione la saggezza di alcune scelte di Madiba e la sua eredità. Tuttavia Matabane respinge l’idea del film come veicolo per il cambiamento sociale.
“Quando ero più giovane, a vent’anni, e cominciavo a realizzare film, ero affascinato dal cinema – pensavo che avrebbe potuto cambiare il mondo” ricorda il regista. “[Ma] il sistema globale è così complesso che è impossibile cambiarlo. Non parli mai a nome delle persone sventurate della terra. Le persone vogliono divertirsi.”
“Se vuoi cambiare il mondo, devi diventare come Che Guevara, devi andare nel bush e fare la guerra” aggiunge il regista.
Matabane sminuisce in realtà eccesivamente la sua abilità nel produrre cambiamenti attraverso i propri film, e in un certo modo fa già parte di un movimento impegnato a modificare gradualmente il paesaggio globale.
Appartiene al numero sempre più alto di registi che realizzano opere sui problemi africani sfidando i preconcetti e ricevendo un’ottima accoglienza sia da parte del pubblico africano che da quello internazionale.
Anche la produttrice/regista americana Rachel Boynton si trova in questo gruppo di autori. Il suo ultimo documentario, Big Men, è stato girato in Nigeria e in Ghana, e esamina le azioni e i punti di vista di un petroliere texano, degli uomini d’affari ghanesi e del ‘Deadly Militant Underdogs’ – un gruppo di giovani ribelli emarginati, o forse solamente giovani senza un’educazione, entusiasti nel vedere i profitti realizzati attraverso il petrolio nel River State in Nigeria – mentre cercano di ricavare denaro dal boom del petrolio nell’Africa Occidentale. Data l’estrema vicinanza a questi gruppi che la Boynton è riuscita ad assicurarsi, Big Men riesce a mostrare in modo intelligente le ambiguità morali, la corruzione, l’ipocrisia ma anche l’umanità di questi personaggi.
“Non volevo fare un film politico o cercare di far crollare l’industria petrolifera” afferma la Boynton, “per prima cosa stavo cercando una buona storia. La situazione del petrolio è complicata, non c’è niente di semplice, di bianco o nero. Non si tratta di un governo benevolo e ingenuo e di una compagnia petrolifera malvagia, oppure viceversa. Ogni cosa è allo stesso tempo un po’ chiara e un po’ scura.”
“È un film moralmente grigio, come dovrebbe essere” continua la regista. “È semplice fare un film per mostrare quanto sia orribile una persona, ma se lo fai incoraggi il tuo pubblico a non provare empatia e a non vedere il sistema, le strutture, i fattori che limitano e dettano quello che le persone possono fare”.
Far provare empatia al pubblico è l’obiettivo fondamentale anche del film “Born this way”, secondo l’assistente alla regia Shaun Kadlec. Born This Way racconta le storie di Esther, Gertrude, Cedric e altri membri della comunità LGBT che vive in Camerun, mentre si avvicinano e diventano intimi. Il film segue storie perspicaci e umane sugli affetti ed esplora ciò che significa essere gay in un Paese dove l’omofobia è incitata da alcune chiese, dove l’omosessualità è illegale, facendo attenzione a non ricadere su vecchi espedienti, sottolineando la capacità reattiva delle persone alle avversità e la gioia di vivere dei propri soggetti.
“Sono stato ispirato da questo emozionante gruppo di persone, nuovo e ottimista, che, nonostante le situazioni difficili, continuavano a ridere creando una comunità di gay e lesbiche, trovando modi per amare”, afferma Kadlec.
Raccontare la storia del leone
Questi recenti documentari rappresentano una crescente tendenza di film che trattano i soggetti con attenzione e in modo sensibile, lontani anni luce dalle rappresentazioni semplicistiche dell’Africa che hanno dominato per lungo tempo. Si potrebbe affermare che la necessità costante di ricorrere a produttori occidentali o a sostegno per i film continua a indebolire la capacità dell’Africa di raccontare le proprie storie, ma Bill Simbo, un attivista LGBT camerunese, direttore esecutivo della NGO CAMFED (Campaign for Female Education) non è d’accordo.
“Si tratta di una situazione complessa, ma quando i benefattori americani oppure la Commissione Europea commentano argomenti come i diritti dei gay e delle lesbiche, allora l’Africa generalmente pensa: ‘Ecco di nuovo l’Occidentale, l’Europeo, che tenta di promuovere l’omosessualità, che va contro natura…’, ma non è rilevante. I film come Born This Way sono importanti. Mostrano il lato umano, il lato vero, di fronte a questioni complicate. Ci vogliono molto coraggio, tempo e fondi per realizzare questo tipo di film. Gli Africani neri possiedono la volontà, al contrario di noi… la visibilità, il potere economico, l’estensione, le piattaforme, la fiducia in se stessi per fare film come questi.”
Kadlec concorda. Suggerisce che essere un outsider significa affrontare ostacoli, ma la sfida è quella di essere consapevole della propria posizione e di essere sensibile davanti agli argomenti delle storie.
“Devo pensare a come sto lavorando, giorno dopo giorno, a livello base, ma anche all’eredità che sto apportando: la mia storia, la storia dell’America, sono un uomo gay cresciuto in una comunità pentecostale e conservatrice in una zona isolata del Midwest. Ho cercato delle similitudini con le persone che stavo riprendendo, e ho cercato d fare del mio meglio per ascoltare, per stare in allerta, attento.”
Nollywood, Gollywood e Hillywood
Mentre la maggior parte dei film più visti sui problemi africani sono ancora prodotti con il sostegno occidentale, e sebbene le opportunità per i registi africani siano ancora molto limitate, pare che qualcosa stia cambiando, lentamente. E molti di questi lavori sono assai interessanti.
In particolare, l’industria cinematografica nigeriana, ‘Nollywood’, produce più film in un anno di qualsiasi altro Paese, esclusa l’India, molti dei quali sono politici e affrontano coraggiosamente tematiche che vanno dalla corruzione all’occulto. Come sottolinea Carmela Garritano, i film più popolari di Nollywood, come Zinabu (1987), Living in Bondage (1993) e Billionaires Club (2005) rappresentano una chiara critica all’imperialismo occidentale ed enfatizzano i pericoli dell’avarizia, del materialismo e dell’abbandono dei valori tradizionali.
Di recente, anche Gollywood, in Ghana, si è gettata nella mischia, con stime da parte della Film Producers Association of Ghana (FIPAG) che suggeriscono come ci siano circa 8.000 persone che negli ultimi anni lavorano nell’industria dei film soltanto nella Regione del Nord. Anche Hillywood in Ruanda ha fatto passi da giganti negli anni recenti con film come Grey Matter (2011) e Chora Chora (2012) – due film locali altamente politicizzati – che si appellano al pubblico locale e internazionale. Il Kwetu Film Institute di Kigali, nel frattempo, ha formato più di cento studenti.
Sembra che questi film locali siano diventati famosi tra molti spettatori africani. Clara, una manager dei programmi di una ONG a Dar es Salaam, in Tanzania, spiega perché crede che hanno riscosso successo con lei e i suoi amici.
“Sono film incredibilmente ingegnosi, le trame hanno un buon ritmo e sono ricche di azione” afferma. “Possiamo metterci in relazione con i personaggi, sono un po’ ridicoli, più esagerati che nella vita vera e inappropriati. È come se guardassi me stessa: la suocera gelosa e possessiva, l’ex fidanzata pazza, il figlio ladruncolo materialista, il padre infedele con i pensieri su una donna più giovane, la matrigna cattiva. È come Dallas, ma con persone africane.”
In tutta l’Africa orientale, gli amanti dei film come Clara possono guardare i film di Nollywood, Gollywood e Hillywood nelle baracche e a un prezzo conveniente. Di solito si siedono su panche dure di legno e, durante la stagione delle piogge, il pubblico deve scansare le gocce che cadono dai tetti di lamiera. Le proiezioni vengono riprodotte da DVD piratati e hanno la tendenza a diventare eventi sociali chiassosi.
Felix, il fratello di Clara, spiega il fascino che questi film hanno su di lui e sui suoi amici: “È un’occasione per uscire di casa. Sappiamo che [i film di Nollywood] sono stupidi, ma hanno anche ambientazioni riconoscibili; le città sono come le nostre, e c’è quella lotta, o conflitto, tra la stregoneria e la vita moderna, o tra gli argomenti delle famiglie tradizionali e le idee nuove. Toccano anche argomenti importanti come l’HIV o le malattie, con cui è difficile confrontarci o parlarne. Ci offrono una valvola di sfogo per questi problemi.”
iFilms
Insieme all’aumento di queste industrie cinematografiche africane, esiste anche un’esplosione di registi che girano film con budget incredibilmente bassi, spesso attraverso i loro smartphone e mentre sono sui trasporti locali (sui tro-tro in Ghana, dala dala in Tanzania e matatus in Uganda).
All’inizio di quest’anno, per esempio, il regista sudafricano Errol Schwartz ha scritto, diretto e recitato il protagonista di The Magic Bullet, un thiller girato interamente tramite un iPhone, che ha vinto il primo premio dell’iPhone Film Festival. Mentre Nick Asgill, della Sierra Leone, si è aggiudicato un premio nella categoria Miglior Trailer per il suo film Routes to My Rootz, anche questo girato con il suo iPhone.
Il regista e produttore keniano Kwame Nyong’o è specializzato in filmati animati brevi e tramite iPhone. Nyong’o supporta le proprie realizzazioni cinematografiche attraverso annunci aziendali e mantenendo il suo budget a livelli bassi. Nyong’o afferma che il maggiore ostacolo per un piccolo produttore indipendente è trovare un distributore.
“Ho cercato di distribuire i miei filmati utilizzando i DVD ma è un compito difficoltoso. Stampare i DVD è molto costoso e non possono essere venduti ad un prezzo pù alto” afferma. La sua soluzione è stata quella di rendere i suoi film disponibili attraverso un canale commerciale con larghezza di banda ridotta, Buni Films, con base a Nairobi, uno spostamento che gli dà anche la libertà di scegliere temi, formati e idee politiche propri.
Convergenza di vedute
Queste nuove forme di cinema e opportunità stanno non solo creando nuove modalità di intrattenimento per gli africani, ma contribuiscono anche ad esaminare anche le comunità, raccontando storie che sono importanti per loro. Insieme allo sviluppo dell’industria cinematografica nazionale e alla loro controparte innovativa con un budget minore, questo tentativo è stato anche aiutato dalla prosperità dei festival cinematografici, degli eventi culturali, e dei forum. Per esempio l’Uganda ospita molti festival cinematografici e culturali annuali come il Baymba International Festival delle Arti che si tiene a settembre, e il Manya Human Rights International Film Festival a dicembre, mentre la Tanzania ospita il Mwalimu Nyerere Intellectual Festival ad aprile nell’Università di Dar es Salam, per nominarne soltanto alcuni.
Questi eventi danno ai registi e al pubblico la possibilità di vedere quello che sta facendo il resto del mondo, di imparare gli uni dagli altri, e di costruire collaborazioni. Coloro che provengono dallo Zimbabwe possono confrontare i propri appunti con i Siriani, gli Afghani con i Sudafricani.
Riportando le parole di Garnet Oluoch-Olunya, ex professore di letteratura all’Università di Kenyatta, questi eventi “infondono nuova vita nelle politiche passate che abbiamo avuto nel continente dall’introduzione delle riforme neo-liberali.” Mentre Muthoni Garland, la fondatrice del Storymoja Hay Festival di Nairobi, indica come questi siano spazi vitali per il nutrimento delle società che rispecchiano. “Secondo la mia opinione, non possiamo continuare a nutrire una cultura basata sull’intolleranza, ma dobbiamo avere un coinvolgimento di menti piuttosto che di machete” afferma.
Nonostante il successo di Mandela, The Mith and Me, Matabane può continuare a credere che nessuno verrà “liberato” dai suoi film. Tuttavia non può negare che insieme a una schiera di registi attenti sostenuti a livello internazionale, ad alcune industrie cinematografiche nazionali in boccio e a una moltitudine di individui creativi coraggiosi, l’Africa dei film è in crescita e sta cercando nuovi modi di intrattenere, informare e ispirare sia il pubblico del continente che quello di tutto il mondo.