Lampedusa, un anno dopo: cosa è cambiato?

Traduzione a cura di Silvia Micali dall’articolo originale di Maria Giovanna Manieri, Elisabeth Schmidt-Hieber e Mikel Araguás, pubblicato su openDemocracy.]

Proteste a Palermo sull'onda della tragedia - ma la memoria si è sbiadita? Antonio Melita / Demotix. Tutti i diritti riservati

Esattamente un anno fa, circa 360 migranti sono morti in un naufragio al largo dell’isola di Lampedusa, nel Mediterraneo. Anche se è solo uno dei tanti casi simili che coinvolgono i migranti che cercano di raggiungere l’Europa, il gran numero di vittime ha portato ad una manifestazione di solidarietà senza precedenti, così come ad un gran numero di richieste di soluzioni politiche che meglio preservino le vite dei migranti.

Mentre ai deceduti è stata concessa la cittadinanza italiana prima della sepoltura, i sopravvissuti sono risultati passibili di accuse penali a causa dell’entrata irregolare in Italia, innescando un dibattito tardivo sulla criminalizzazione dei migranti che entrano in Europa privi di documenti. “Lampedusa” è diventata l’emblema delle carenze della politica migratoria e del diritto d’asilo a livello comunitario, innescando un dibattito tra responsabili politici, società civile e il pubblico più ampio.

Poco dopo il naufragio, la Commissione europea ha aperto una consultazione sulla giustizia e gli affari interni che lavorerà dal 2015 al 2020. Diverse organizzazioni della società civile hanno preso posizione contro le politiche di sicurezza, chiedendo canali più regolari per raggiungere l’Europa, il rispetto dei diritti umani alle frontiere e l’accesso alla giustizia dell’Unione europea se i diritti vengono violati.

Tuttavia, quando gli Stati membri si sono incontrati a Bruxelles a giugno di quest’anno, le linee guida eleborate hanno mantenuto l’accento sul controllo delle frontiere e sulla cooperazione con i paesi terzi. C’era solo un vago riferimento alle cause profonde della migrazione irregolare e nessuno alla Carta dei diritti fondamentali, che pone obblighi giuridicamente vincolanti per le istituzioni e gli organi dell’UE e per gli Stati membri che attuano la legislazione dell’Unione.

Più sorveglianza

Nel corso di quest’anno, i responsabili politici hanno presentato Mare Nostrum e l’Operazione Tritone (quest’ultima nominato Frontex che deriva dal nome dell’omonimo dio greco, messaggero del mare) come possibili soluzioni all’ingresso irregolare e alla tutela della vita. Queste nuove operazioni saranno davvero in grado di difendere i diritti fondamentali dei migranti?

Lanciato e finanziato dal governo italiano nel 2013, Mare Nostrum si serve delle navi della marina e della guardia costiera per le missioni di ricerca e salvataggio, nonché di aerei e droni Predator B per le attività di monitoraggio dei porti libici, ad un costo di 9 milioni di euro al mese. Anche se l’operazione ha salvato circa 45.000 migranti dal suo debutto nello scorso ottobre, essa non si occupa dell’inadeguatezza dei centri nei quali vengono accolti questi migranti. L’Italia sente che sta affrontando questa sfida da sola ed è per questo che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha invitato gli Stati membri dell’UE a condividerne la responsabilità.

Successivamente, la Commissione europea ha annunciato il lancio di Tritone, con un costo iniziale stimato in 20 milioni di euro. A differenza di Mare Nostrum, tuttavia, avrà inizialmente portata limitata e non potrà pattugliare le acque internazionali o l’area di ricerca e salvataggio di Malta.

Dalla sua realizzazione nel 2004, Frontex è stato accusato di violazioni dei diritti umani e di irresponsabilità nelle sue operazioni con gli Stati membri dell’UE. Nonostante l’adozione nel 2011 di una nuova strategia per l’applicazione dei diritti fondamentali (che comprende anche un responsabile dei diritti fondametali e un Forum consultivo che include la società civile, le organizzazioni intergovernative e le agenzie dell’UE per una migliore protezione dei diritti umani), Frontex è ancora fortemente criticato. Sia per presunti deficit riguardanti per esempio “meccanismo di reclami autentici” e un monitoraggio indipendente, sia riguardo alla sua responsabilità e alla condivisione della stessa con gli Stati membri.

Ricerca e salvataggio o controllo dell’immigrazione? Anche prima della tragedia di Lampedusa, un Rapporto dell’Agenzia dei diritti fondamentali ha attestato che le operazioni di soccorso alle frontiere meridionali dell’UE erano intrinsecamente legate al controllo dell’immigrazione, soprattutto riguardo allo sbarco degli immigrati sia che arrivino con mezzi privata sia che arrivino con imbarcazioni di linee statali.

Nonostante la mancanza di un nuovo approccio nelle linee guida e la continua attenzione dell’Europa sulla sorveglianza e il controllo delle frontiere, il dibattito pubblico che seguì Lampedusa fu comunque promettente, in quanto diede forza al movimento per i diritti dei migranti in tutto il continente, soprattutto ai confini meridionali dell’UE. Il movimento per i diritti dei migranti aveva già ottenuto la creazione di canali più regolari per l’entrata dei migranti in Europa, sottolineando l’assenza di prove che attestino che l’aumentato controllo della frontiera e della sicurezza potrebbero attualmente contrastare l’immigrazione.

Alternative

Alcuni attivisti hanno proposto un meccanismo di salvataggio alternativo. Il Watch the Med Alarm Phone è un numero verde gestito da un team multilingue di entrambe le coste del Mediterraneo che sostiene i migranti in situazioni di pericolo in mare. Questo progetto sarà lanciato questo mese e sarà disponibile 24/7 per le chiamate di soccorso, che verranno poi trasferite alla guardia costiera.

Le proposte sono state presentate ai resposabili in materia dell’UE. Diversi membri spagnoli della rete Migreurop hanno pubblicato un manifesto congiunto, “Por Una solución europaea al dramma en las fronteras de Ceuta y Melilla: 4 medidas urgentes  y realizables” [“Per una soluzione europea alla tragedia delle frontiere di Ceuta e Melilla: quattro misure urgenti e attuabili, NdT”], in risposta alla esternalizzazione e alla messa in sicurezza delle frontiere che non sono riuscite a evitare tragedie e morti nel corso degli ultimi 20 anni. Il progetto, sostenuto da più di 2.500 persone, è stato presentato nel corso di un dibattito al Parlamento Europeo nel mese di settembre.

Il manifesto chiede una migliore applicazione della legislazione europea e spagnola, di garantire il ricongiungimento familiare e il corretto accesso ai visti. Il Marocco, un Paese di transito per gli immigrati sub-sahariani che tentano di raggiungere l’UE, dovrebbe rendere più accessibili ai migranti privi di documenti i criteri del suo attuale programma di regolarizzazione. È stata proposta anche una tavola rotonda internazionale, riconoscendo il divario socio-economico tra Nord e Sud, puntando sul dialogo incentrato sulle cause della migrazione irregolare e sulla ricerca di soluzioni su tutti i confini dell’UE.

Allo stesso modo, la Carta di Lampedusa (un patto sviluppato da organizzazioni di lavoratori, associazioni e singoli individui che si sono incontrati a Lampedusa all’inizio di quest’anno) prevede una revisione globale delle politiche migratorie europee e del diritto di asilo, sostenendo la libertà di movimento e la libertà di restare.

Mettendo in evidenza le conseguenze negative della politica migratoria dell’UE in Grecia, un gruppo di organizzazioni della società civile greca ha pubblicato una serie di raccomandazioni per l’Europa. L’obiettivo di queste organizzazioni è sfidare le persistenti violazioni dei diritti dei migranti, garantire la conformità con le norme giuridiche comunitarie e promuovere il lavoro regolare dei  migranti in Europa.

La via da percorrere

L’Unione Europea deve riconoscere che la migrazione è una realtà e non un’attività criminale e che tutti i migranti sono detentori di diritti. Chiamandoli “illegali” o con altri termini negativi, si legittimano i controlli repressivi alle frontiere e nelle nostre comunità. Si normalizza l’uso della detenzione, la privazione della libertà e di altri inutili atti di forza.

Infatti, diverse istituzioni importanti a livello mondiale ed europeo hanno riconosciuto l’impatto della terminologia negativa e hanno adottato i termini “senza documenti” e “irregolari” per parlare degli immigrati. Anche alcuni dei più importanti media stanno cominciando ad interrogarsi sull’accuratezza del linguaggio che viene usato in materia di migrazione.

Il bilancio delle vittime nel Mediterraneo diminuirà solo se l’UE aprirà percorsi più sicuri e regolari in Europa e garantirà una maggiore possibilità di ricongiungimento familiare e altri visti speciali, come ha ribadito Amnesty International nel suo ultimo rapporto sulla questione.

Oggi, non solo commemoriamo questo tragico anniversario ma ricordiamo anche i 2.500 migranti che hanno perso la vita dall’inizio di quest’anno. Dobbiamo anche riconoscere che, mentre il naufragio del 3 ottobre 2013 ha attivato nuovi dibattiti e reazioni da parte della società civile, l’impegno dei politici finora non ha portato né a un approccio efficace basato sul rispetto dei diritti né ad azioni sufficienti a tutelare i diritti fondamentali dei migranti alle frontiere dell’Europa.

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