“Parlare civile”, progetto per l’uso corretto delle parole

La parola, la madre del pensiero, sentenziava Karl Kraus. Già. Ma quanto è facile oggi “parlare civilmente”? Se la comunicazione è fatta di un arcipelago di vocaboli ambigui e spesso ancorati a significati non corrispondenti a realtà, quanto si riesce a fare corretta informazione, specie su temi sensibili che hanno a che fare con i diritti sociali?

È possibile, insomma, comunicare senza discriminare?

Il progetto “Parlare civile”, realizzato da Redattore Sociale  e Associazione Parsec – che si compone di un sito web (http://www.parlarecivile.it) più un libro edito da Bruno Mondadori – punta a fornire gli attrezzi del mestiere a comunicatori o semplici cittadini per evitare di restare incagliati in frasi fatte o espressioni stereotipate che inquinano la correttezza della comunicazione. “Non esistono parole sbagliate – si legge nel sito – Esiste un uso sbagliato delle parole”.

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In homepage tanti ballon colorati circoscrivono vocaboli su cui è bene argomentare, gettando luce sul significato più autentico della locuzione in questione e sulla galassia semantica che gli ruota intorno: “romeno”, “migrante irregolare”, “nomade”, “vu cumprà”, “barbone” ecc.

Attraverso l’uso esatto delle parole si mettono ovviamente in discussione abitudini mentali dettate da un uso scorretto quando non distorto della lingua, che i media – con titolazioni spesso approssimative quando non veritiere – contribuiscono a irrobustire.

“Parlare civile” scandaglia dunque linguisticamente diverse vocaboli-chiave legati a temi come “disabilità”, “genere e orientamento sessuale”, “immigrazione”, “povertà ed emarginazione”, “prostituzione e tratta”, “religioni”, “rom e sinti”, “salute mentale”.

In Italia – è un fatto – mediamente non si parla né tantomeno si scrive bene.

Un prontuario ad uso giornalistico è dunque non solo utile a porsi correttamente domande su quello che c’è dietro le parole, ma per capire anche come si è arrivati al loro abuso o uso distorto.

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Ci sono parole come “vu cumprà”, per esempio, che sono chiaramente discriminatorie: la definizione riporta che “dalla metà degli anni Ottanta vengono chiamati così gli ambulanti di origine africana”.

La lingua – si sa – è in continua evoluzione, ma è legittimo chiedersi se questa espressione faccia o meno parte della lingua italiana ufficiale oppure no. Certo è che è difficile imbattersi in “Vu cumprà” sfogliando un dizionario: si tratta infatti di una espressione nata dalla stampa (presumibilmente nel 1996) ad indicare quegli immigrati venditori ambulanti che avevano difficoltà a maneggiare correttamente la lingua italiana. Il linguista Federico Faloppa illustra l’uso del termine: dagli anni Ottanta in poi vennero “presentati come icone dell’immigrazione tout court: quasi sempre ‘neri’ appunto, spesso ‘clandestini’, di solito marginali […] E che – a leggere i quotidiani – avevano invaso, o stavano per invadere, l’intera penisola. A cominciare dalle coste romagnole, toscane, laziali, liguri”.

Quante volte – ancora oggi – si usa questo termine stereotipato, che nell’immaginario collettivo fa riferimento per lo più ad un individuo “africano, nero, povero, venditore ambulante irregolare”.

Fuori dall’uso più frusto dei termini, c’è sempre un altro modo per raccontare la realtà e “parlare civile”.

Con la consulenza scientifica di Francesco Carchedi, Giovanni Mottura, Enrico Pugliese e il coordinamento di Stefano Trasatti e Antonio D’Alessandro, il progetto ragiona a tutto campo su un glossario ricco di locuzioni, di cui viene offerta la contestualizzazione storica e le tensioni e reazioni che il suo utilizzo ha suscitato.

Fra gli stereotipi più diffusi? Quello di credere che i migranti africani siano in gran parte irregolari.

Alcuni dati del 21° Dossier Statistico Immigrazione curato dalla Fondazione Migrantes e la Caritas italiana aiutano a smentire questo pregiudizio. Pochi sanno che ad esempio la migrazione di giovani dal Camerun avviene prevalentemente per motivi di studio e in modo regolare.

Definizione, Uso del termine, Dati, Esempi e casi giornalistici, Parole correlate: queste le voci messe in campo dal progetto “Parlare civile” che legittimamente si pone in un’ottica formativa e di servizio.

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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