Dimmi che passaporto hai e ti dirò quanto vale. La mobilità e tutto quello che implica – conoscenza, opportunità, affari, etc. etc. – è un privilegio. Non un diritto. Chi ha facilità a muoversi da un Paese o da un continente all’altro ha sicuramente chance migliori di quante ne abbia chi ha bisogno di un visto sul passaporto. Visto che non sempre, oltretutto, si riesce ad ottenere. In Africa è da tempo in atto una politica che, a livello regionale, mira a favorire gli spostamenti. Un esempio è l’ECOWAS passport, passaporto rilasciato da 10 dei 14 Paesi della Comunità economica dell’Africa Occidentale. Un passaporto che consente di attraversare le frontiere di questi territori senza bisogno di visto.
Qualcosa si muove anche dall’altra parte del continente. Il Ruanda ha limitato le restrizioni per l’ingresso di altri cittadini africani e così pure per il movimento delle merci, con evidenti implicazioni di crescita economica e commerciale.
Poi ci sono le “agevolazioni” per i turisti. Come la T12, il visto multiplo che oggi consente di visitare Uganda, Ruanda e Kenya con un unico visto. Ma questo, appunto, riguarda solo i turisti. Che provengono da Paesi che, al contrario, spesso non concedono il visto a chi proviene da uno di questi o da altri Stati africani… Il cui passaporto, appunto, ha meno potere.
In alcuni Paesi è persino difficile ottenere un passaporto, a volte addirittura capita che si rimanga senza i “libretti” perché non si riescono a pagare i fornitori, come è accaduto in Ghana. Figuriamoci quanto può essere più difficile ottenere poi un visto per andare altrove. E spesso quest’ultimo è legato alle relazioni tra gli Stati e ha dunque un valore geopolitico, non legato alla persona.
Il gap tra Paesi sviluppati e quelli cosiddetti in via di sviluppo, passa anche dalla libertà di movimento, dall’accesso a nuovi mercati o nuove prospettive e nessun programma di sviluppo può avere effetti considerevoli se i singoli cittadini sono privati di queste opportunità.
C’è ancora molto da fare dunque e un’infografica pubblicata su GOOD Magazine, che elenca i Paesi secondo la possibilità dei cittadini di ottenere visti nelle ambasciate o in ingresso alle frontiere, dà il senso di quanto “potere” abbiano alcune nazionalità e quanto sia limitata la libertà per altre. I Paesi più liberi, in questo senso, sono Finlandia, Svezia e Regno Unito che danno accesso a 173 Paesi. In basso nella lista ci sono l’Iraq (31 Paesi) e l’Afghanistan (28).
Per quel che riguarda l’Africa, in cima alla classifica ci sono due delle maggiori destinazioni turistiche: Seychelles – con accesso a 126 Paesi – e Mauritius – 123. Agli ultimi posti Paesi che invece sono sulle cronache a causa di confitti e cattiva governance: Congo, Libia, Sud Sudan, Sudan, Eritrea.
Ovvie le implicazioni che avrebbe la semplificazione delle procedure per l’ottenimento dei visti o la loro abolizione. Dagli scambi economici al piccolo commercio, alle opportunità di lavoro. E forse anche il commercio umano sulla rotta dei migranti che cercano di arrivare in Europa verrebbe limitato da una maggiore apertura degli Stati da cui queste persone cercano di fuggire.
Di fatto nel mondo ci sono milioni di cittadini “prigionieri” nel loro stesso Paese, cittadini che non avranno mai la possibilità di esprimere i loro desideri, di viaggiare (anche se avessero i soldi), di conoscere altro. L’infografica in questione non fa che visualizzare la privazione di una libertà fondamentale, quella del libero movimento stabilita chiaramente (art.13) anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese”. Non è scritto: ogni individuo benestante, di pelle bianca e nato o proveniente da un Paese occidentale.