In scena le traversate del Mediterraneo, la storia si fa teatro

Il racconto di storie di migrazione su grande schermo è molto frequentato. Non sono pochi i documentari che in questi ultimi anni hanno affrontato – secondo diverse e spesso interessanti prospettive – il tema del tragico approdo sulle nostre coste da parte di quanti scappano da situazioni di guerra e povertà, scommettendo su un destino diverso.

Il linguaggio teatrale, rispetto al tema della migrazione, pur avendo spesso altrettanto coraggio, ha invece parlato ad un pubblico molto più ristretto.

Ma il tentativo c’è stato, da Nord a sud, da Milano a Palermo.

È il caso del laboratorio teatrale Mascherenere, operativo dal 1991 con l’obiettivo di mettere a punto un teatro di contaminazione che nel 2000 ha lanciato l’interessante spunto di portare avanti il “Teatro delle Migrazioni”, coinvolgendo nel progetto artisti immigrati e non.

Oppure è il caso de il “Teatro delle differenze”, sostenuto dall’assessorato alla Cultura del Comune di Palermo.

Fra gli ultimissimi capitoli del racconto della migrazioni, spicca “Black Reality – Rassegna di arti performative sulle migrazioni”, vero e proprio esperimento di rete fra realtà associative che hanno puntato lo sguardo sulle nuove cittadinanze, e dove anche il teatro ha avuto certamente uno spazio non di secondo piano, debuttando nel capitolino Teatro Vascello nel maggio scorso.

Diritti negati e arte – più che come risarcimento simbolico -, come “provocazione”, stimolo, sfida agli stereotipi: la scrittura drammaturgica iscrive, grazie al teatro, storie di vita vissuta (di cui i protagonisti stessi si fanno spesso portavoce) in un discorso narrativo efficace che risulta non frammentario, restituendo compattezza e profondità a un dramma tutto contemporaneo molto spesso ostaggio della cronaca.

Il lavoro di paziente raccolta di testimonianze sul tema della migrazione va avanti da tempo grazie ad iniziative serie come quella portata avanti dal portale “Storie migranti– una storia delle migrazioni attraverso i racconti dei migranti”.

Ma il teatro vi aggiunge in più l’espressività dei corpi, delle voci e della musica, nel tentativo di operare una sintesi drammaturgica fra culture diverse: è con questo spirito che i Giardini della Filarmonica di Roma hanno ospitato lo spettacolo “Galghi”  (“Barca”, nella lingua Wolof dell’Africa occidentale) da un’idea del griot senegalese Badarà Seck per la regia di Ferdinando Vaselli. Frutto della collaborazione fra Associazione Salotto Africano e Associazione culturale 20Chiavi.

"Galghi", foto tratte dal comunicato stampa della Filarmonica Romana
"Galghi", foto tratte dal comunicato stampa della Filarmonica Romana

La scenografia di Galghi porta già dentro il viaggio – interno ed esterno – del migrante: un’imbarcazione di legno dieci metri per tre, a motore, che occupa tutta la scena e che ospiterà la traversata degli attori-migranti alle prese con la propria coraggiosa sfida al cambiamento.

Il palcoscenico è il Mediterraneo stesso, una ferita che sanguina ma che non smette di essere il teatro della vita di altri uomini e di altre donne, disposti a mettere in gioco le loro storie e i loro sogni.

Il peschereccio di Galghi raduna – in una sorta di “liturgia musicale” – dieci rifugiati africani (vestiti con gli abiti tradizionali) che nella Capitale hanno trovato il loro approdo, ma che non hanno certo dimenticato la pena della loro traversata.

Una voce narrante li scorta in questo doloroso itinerario rinnovato e ora offerto allo sguardo dello spettatore, dove cinque musicisti africani – “armati” di strumenti come la kòra (arpa tradizionale senegalese), il ballophone, le tastiere elettroniche e le percussioni – regalano al viaggio sfumature emotive molto particolari. Che – a seconda dei casi, delle situazioni – enfatizzano o stemperano il clima creato fra i viaggiatori, fra ansie, speranze e chiacchiere di andata e di ritorno. Mentre l’italiano si mescola all’inglese e al francese.

Il mare minaccia freddo e sete. Ma tenersi per mano è anche questo: entrare in scena l’uno a fianco dell’altro, confrontarsi e  – se è caso – anche scontrarsi, quando il vento picchia duro e le onde non danno tregua.

“Cos’è l’Europa quando sei in mezzo al blu aspettando una striscia di costa? I talismani che porti con te, la Bibbia o il Corano, le foto, i cellulari, le collane o i bracciali: tutto diventa memoria, frammento di ricordo e racconto”.

Che cosa è il mare, chi è lo scafista, cosa ti sta succedendo mentre rischi la vita: dialoghi, danza, musica e canto, tutto collabora alla riuscita di uno spettacolo riuscito, che da settembre dovrebbe fare il suo felice approdo anche nelle scuole.

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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