Tienanmen venticinque anni dopo, tra silenzi e nuove aspettative

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Jonathan Fenby pubblicato su OpenDemocracy]


Non sta aprendo a Pechino: il nuovo museo su Tienanmen a Hong Kong. Jayne Russell / Demotix. Tutti i diritti riservati.

Durante la sua visita a Hong Kong alla fine degli anni ’90, il presidente americano Bill Clinton aveva delineato uno scenario di successo per la Cina. Precedentemente aveva dichiarato all’allora presidente cinese Jiang Zemin che l’ultimo grande Stato governato da un partito comunista si trovava “dalla parte sbagliata della Storia”. In quel momento invece l’opinione di Clinton era più positiva: intendeva sostenere la crescita economica della Repubblica Popolare perché così si sarebbe creata una classe media, come aveva fatto notare durante una cena nella residenza dell’ex presidente della colonia inglese. Questo avrebbe spinto la Cina verso la democrazia, com’era accaduto nel Nord America e in Europa Occidentale grazie al ruolo della classe media. Il risultato finale sarebbe stato positivo, sia dal punto di vista economico che politico, perché avrebbe portato a un mondo in cui l’Occidente e l’Oriente avrebbero potuto collaborare per il progresso globale.

Clinton però si sbagliava: la classe media che ha prosperato in questo secolo ha dimostrato di non essere disposta a fare pressioni per la democrazia come aveva previsto l’ex presidente. Dal momento in cui il Partito ha dichiarato la fine della ‘lotta di classe’ nel 2002, ha operato sin troppo bene fuori dal sistema per voler diffondere i diritti politici alle centinaia di milioni di persone più povere o per smantellare un sistema che assegnava alti redditi, assistenza sanitaria ed educazione private, previdenza pensionistica e viaggi all’estero.

Questo è emblematico del modo in cui il Partito Comunista ha potuto sostenere l’implicito patto con i cittadini cinesi, quando la leadership, sotto il comando di Deng Xiaoping, decise venticinque anni fa di inviare i carri armati in Piazza Tianamen per reprimere le proteste. Dieci anni prima che gli studenti occupassero lo spazio aperto più simbolico del paese, Deng aveva introdotto una riforma economica portata avanti secondo i canoni del mercato libero, anche se lo Stato manteneva il controllo delle leve di comando.

Il risultato era stato sorprendente: i Cinesi erano liberi di crescere e le catene che avevano ostacolato il Paese sotto il regime di Mao Tse-tung erano state parzialmente rimosse. Le aziende locali prosperavano, un’ondata di operai a basso costo era entrata nel mercato del lavoro, il capitale aumentava grazie ai risparmi privati. I consumatori delle economie più sviluppate accoglievano la merce cinese a buon mercato e i governi accoglievano positivamente l’effetto deflazionistico delle esportazioni dal continente, senza preoccuparsi troppo del trasferimento del lavoro nella Repubblica Popolare.

La motivazione alla base delle scelte di Deng non era la promozione di una libertà economica in se stessa. Dopo due decenni e mezzo di avventurismo disastroso sotto il regime di Mao, Deng sapeva che il Paese si trovava in una situazione terribile e che la legittimità e la coesione del Partito Comunista erano indebolite – specialmente dopo i dieci anni della Rivoluzione Culturale terminati con la morte del Grande Timoniere (uno degli appellativi di Mao Tse-tung, NdT). Lo scopo di Deng era quello di utilizzare la crescita per rendere la Cina nuovamente una grande potenza e per garantire che il Partito fosse l’unico mezzo attraverso il quale avveniva questo arricchimento, così che esso potesse riaffermare la propria legittimità a governare.

Aspetti negativi della crescita

Gli aspetti negativi della crescita – specialmente le disparità di ricchezza e la corruzione – hanno corroso il messaggio politico e sono stati i motori principali delle proteste nella primavera del 1989. Il termine democrazia era diventato uno slogan ma il messaggio politico era confuso. Il movimento di protesta a Pechino e in altre città era principalmente contro il sistema politico piuttosto che a favore di un programma di cambiamento. Tuttavia è bastato questo a dare il via alla reazione repressiva del 4 giugno. Il potere del Partito era stato sfidato e doveva essere difeso da una leadership per cui il potere monopolistico del movimento a cui avevano dedicato la propria vita rimaneva un sine qua non per la Cina.

Le folle immense che si unirono alle manifestazioni aggiunsero una nuova sfida. Era il popolo intero che si stava rivoltando contro il regime? Dato il numero di persone che scesero sulle strade, incluso qualcuno al servizio del partito, era impossibile segnare una linea di demarcazione politica chiara contro un movimento capeggiato dagli studenti e appoggiato da milioni di persone che avevano sempre avuto il diritto di parola e di azione, secondo quanto affermava il regime. Il modo in cui i cittadini hanno bloccato l’esercito quando ha tentato di entrare a Tienanmen, sdraiandosi sulla strada di fronte ai carri armati e fraternizzando con i soldati che credevano di essere stati mandati a reprimere una rivolta sostenuta dall’estero, aveva aggiunto un colpo di scena sconvolgente.

I leader che si riunirono nella residenza di Deng capirono che sarebbe stato necessario un atto di forza estrema per mandare una scossa e trasmettere soggezione, non la polizia ma l’esercito – anche se la maggior parte degli studenti stava lasciando la piazza. La notte del 3 giugno il dado era tratto e, agendo sotto la copertura di una dichiarazione di legge marziale, i carri armati non si fermarono e uccisero il maggior numero di vittime di quella notte sparando negli edifici residenziali sul viale che portava a piazza Tienanmen.

La “repubblica dell’amnesia”

La versione ufficiale venne data immediatamente. Deng giudicava le proteste come un tentativo “di stabilire una repubblica borghese dipendente totalmente dall’Occidente” e gli imperialisti occidentali di tramare per portare le nazioni socialiste “sotto il monopolio del capitale internazionale e sulla strada del capitalismo”. Gli eventi della Primavera di Pechino (riprodotti in altre città) diventarono in Cina un argomento tabù – portando a quello che Louisa Lin, la giornalista e scrittrice americana, chiama “la Repubblica Popolare dell’Amnesia” nel suo nuovo libro. Quando ha mostrato a centinaia di studenti in quattro campus universitari di Pechino la famosa fotografia dell’uomo in camicia bianca e pantaloni neri faccia in giù davanti ai carri armati in Chang’an Avenue il 5 giugno del 1989, soltanto 15 studenti l’hanno riconosciuta. “Oh, mio Dio,” ha affermato un ragazzo. “Questo è un argomento sensibile. Questa fotografia potrebbe essere relativa a un incidente contro-rivoluzionario”. Centinaia di persone hanno marciato nel centro di Hong Kong il primo di giugno, ma nel continente nessuno ha parlato dell’anniversario – almeno non in pubblico.

In Cina la Storia ufficiale è sempre stata modellata per servire gli interessi di chi dominava. Le dinastie imperiali utilizzavano gli studiosi per scrivere resoconti sui propri predecessori al fine di mostrare perché attraverso i loro crimini avessero perso il Mandato del Cielo, e quindi giustificare il loro rovesciamento. La mostra principale nel Museo di Storia Nazionale che domina la grande piazza nel centro di Pechino è una dimostrazione del motivo per cui il Partito Comunista sia adatto a governare – perché soltanto il Partito è stato in grado di invertire il corso dell’intervento imperialista e del governo semi-feudale che aveva fatto cadere il potere della Cina dalla metà dell’800. Secondo questa versione, soltanto i Comunisti hanno combattuto contro i Giapponesi; il Grande Balzo in Avanti e la fame che ha ucciso più di 40 milioni di persone nel 1960 sono superati, mentre Mao è buono al 70% e cattivo al 30%. La Storia è pericolosa, quindi dev’essere posta sotto controllo e dev’essere conforme con la narrativa di chi governa.

Tutto questo si adatta alla continuazione della ricetta-base di Deng – la crescita economica e un miglioramento degli standard di vita in cambio dell’accettazione del governo di un solo partito. La liberalizzazione politica rimane eliminata dall’agenda: se si parla di riforma legale o politica significa rendere il sistema attuale più efficace. Sebbene nei decenni dopo il 4 giugno la disparità della ricchezza è aumentata e la corruzione è fiorita, il patto è rimasto in piedi, rafforzato dalla concentrazione nel garantire ‘stabilità’ come definito dallo stesso regime. Gli stanziamenti per le operazioni di sicurezza interna sono maggiori di quelli per le forze armate, e la suscettibilità verso gli avvenimenti del 4 giugno è dimostrata da alcuni avvenimenti come il bando di alcuni software i cui nomi, per combinazione, includono i numeri delle date del calendario della repressione.

La crescita della Cina è stato il maggiore evento globale dalla fine della guerra fredda. La nazione che ai tempi della morte di Mao, nel 1976, era in ginocchio è al primo posto delle classifiche mondiali per l’edilizia, la rete ferroviaria ad alta velocità, il settore automobilistico e il consumo di qualsiasi cosa, dalla carne di maiale alle sigarette. Detiene circa 4000 miliardi di dollari in riserve di valuta estera e la sua richiesta di materie prime influenza la salute delle nazioni fornitrici, dall’Australia all’Angola, dal Brasile allo Zimbabwe. Sostenuto dai programmi sull’Educazione Patriottica lanciati negli anni ’90, che ribadiscono il messaggio dato dalla mostra permanente ‘Road to Rejuvenation’ nel museo nazionale, l’orgoglio nazionale è grande e il leader attuale, Xi Jinping, è molto popolare.

L’equazione di Deng stabilita alla fine degli anni ’70 e rinnovata dopo il 4 giugno ha funzionato. La repressione dei critici e degli attivisti per i diritti umani non ha destato proteste. Il dissenso è equiparato alla sovversione. La legge esiste per rafforzare il Partito. Liu Xiaobo, il Premio Nobel per la Pace del 2010, sta scontando una sentenza di 11 anni di prigione per aver fatto circolare una petizione che richiedeva la democrazia. Le persone che chiedono solamente l’applicazione della Costituzione sono denunciate da articoli che appaiono sui media ufficiali e vengono marchiate come agenti segreti stranieri che vogliono sovvertire il sistema.

Necessità di cambiamento

Allo stesso tempo, è evidente che esiste una necessità di cambiamento. La classe media, se non persegue la democrazia politica, richiede un’azione sui problemi della qualità di vita che sorgono dalla natura della crescita della nazione, specialmente dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del terreno. La grande campagna contro la corruzione lanciata da Xi Jinping mostra quanto sia diffusa questa pratica: ci sono rapporti secondo cui un clan attorno a un membro del partito ha accumulato 15 miliardi di dollari e un numero crescente di alti dirigenti delle aziende statali è stato giudicato colpevole di prendere mazzette. Xi ha firmato lo scorso novembre un documento che riconosce la necessità di una riforma economica – un procedimento a lungo termine complicato che coinvolgerà interessi legittimi e introdurrà un cambiamento strutturale, cercando di non sconvolgere le fondamenta del partito.

Xi insiste che soltanto i comunisti possono comandare in Cina e ha accumulato una serie di cariche da cui può esercitare la sua autorità: è Segretario generale del Partito Comunista e presidente dello Stato, presidente della Commissione Militare Centrale, del nuovo Comitato per la Sicurezza Nazionale, del nuovo Comitato per le Riforme, del Comitato per la Sicurezza Informatica e di un corpo istituito per supervisionare la modernizzazione militare. Secondo la tradizione, Deng accetta il bisogno di un cambiamento economico ma insiste nel governo del partito. In primo luogo vuole “fondere le forze dinamiche del mercato” con il dominio dello Stato, e pensa che Michail Gorbačëv e il suo esperimento di riforma sovietica sia l’esempio da evitare.

La questione, per il resto di questa decade (Xi sarà in carica fino al 2022), riguarda il fatto se questi obiettivi siano compatibili o meno. Il Partito deve portarli a termine per mantenere la sua pretesa di governare. Nonostante i ritratti di Marx e Lenin che osservano gli incontri di partito, lo stesso non è più ideologico. Così come il popolo cinese ha accettato il miglioramento materiale per l’assenso alla politica, allo stesso modo il partito stesso è cambiato. Ha indossato un’immagine manageriale mantenendo la sua parte nell’accordo con il popolo, ha garantito che non esiste nessun’altra alternativa politica e Xi ha intenzione di centralizzare l’autorità attraverso politiche designate a rafforzare il potere del Partito – fino alla re-invocazione della “linea di massa” maoista per garantire che tutti vadano a passo di marcia.

Questo potrà funzionare in una società che si sta evolvendo molto velocemente, in cui i social media hanno introdotto un nuovo modo di comunicare, in cui i cinesi fanno 80 milioni di viaggi all’estero ogni anno e la seconda generazione della classe media vuole di più rispetto al semplice miglioramento materiale? L’analisi di Clinton 15 anni fa era sbagliata perché era stata applicata alla Cina la Storia occidentale. La cultura della crescita cinese è stata l’accettazione senza logiche politiche – è questo ciò che mostra l’amnesia che circonda la data del 4 giugno.

Tuttavia il progresso materiale comporta cambiamenti al di là dell’aumento dei guadagni realizzati. E il partito si è impegnato a mantenere la crescita, anche se la variazione annuale del prodotto interno lordo sta diminuendo. La questione reale riguarda il fatto se uno Stato con un unico partito che domina può far fronte ai cambiamenti che apporta il progresso materiale insieme all’impatto della globalizzazione su un Paese che ha sempre tentato di fare di testa sua.

In retrospettiva, il periodo dal 1989 in poi potrebbe essere visto come un periodo semplice per il regime. Gli anni a venire porteranno altre prove, dato che aumentano gli interessi in ballo e la società evolve.

Benedetta Monti

Traduttrice freelance dal 2008 (dall'inglese e dal tedesco) soprattutto di testi legali, ama mettere a disposizione le sue competenze anche per fini umanitari e traduzioni volontarie.

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