I giochi non sono più giochi. Sono una porta aperta verso gli abusi. E sugli abusi. Sono espressioni di potere. Sono una forma di ingiustizia sociale portata a livelli estremi. Sono milioni e milioni di dollari. Sono lo sguardo della società civile sullo stato del rispetto dei diritti umani nei Paesi ospitanti. Uno sguardo e spesso nulla più. Uno sguardo sufficiente, comunque, a dare la misura di quanto i diritti umani rappresentino una cornice quasi anacronistica, uno sfondo a interessi “ben più importanti e remunerativi”
Il Brasile adesso, qualche mese fa la Russia e prima ancora il Sud Africa e la Cina con Beijin.
Grandi manifestazioni calcistiche e olimpiche che si svolgono col background di tragedie umane e ambientali. Miliardi spesi in nome della megalomania delle associazioni sportive e dei governi ospitanti. E mesi e giorni spesi a denunciare le violazioni dei diritti umani ai danni di lavoratori impegnati nella costruzione di mega-impianti, nei confronti degli sfrattati dalle proprie povere case per far posto a nuove e belle strutture o semplicemente per “ripulire” l’area, nei confronti di chi protesta contro tanta tracotanza. Poi, di nuovo il silenzio, fino ai prossimi “giochi”.
Per le Olimpiadi invernali di Sochi pare che alla fine sia stati spesi qualcosa come 50 miliardi di euro e nei costi erano compresi un’autostrada e un tratto ferroviario all’interno della riserva naturale del Sochi National Park, i magnifici resort per gli atleti, l’ospitalità a 40 capi di Stato.
Anche Beijin aveva detto la sua, presentando, nel 2008, un evento che nella mente degli organizzatori doveva restare a futura memoria. A futura memoria per chi li ha subiti sono restati anche abusi, incarcerazioni, soppressioni delle libertà. Lo stesso è avvenuto in Russia con le spregiudicate leggi antigay, solo per ricordare uno dei più discussi atti di Putin nei mesi precedenti alle Olimpiadi. Tali abusi, questo come quelli nei confronti dei lavoratori migranti e degli sfollati dalle proprie case, rimangono agli atti dei wacthdog dei diritti umani.
Ma le denunce, le proteste, lo scandalo, non spaventano. Siamo in Brasile ora, dove la coppa del mondo si sta trasformando – come qualcuno ha scritto – in un incubo. Un incubo davvero se i miliardi che si stanno spendendo significheranno, come è stato stimato, 900 milioni di dollari di tasse per i cittadini. “Il Brasile si può permettere la World Cup?” Questa è la domanda. E si può permettere di calpestare i diritti di esseri umani in nome di un evento calcistico? Può permettersi di sloggiare centinaia di persone per far posto a strutture di cui quei cittadini magari non usufruiranno mai? Può permettersi di usare la forza per placare sacrosante proteste o scioperi?
A quanto pare sì, può permetterselo, perché la comunità internazionale tifa per i giochi, la FIFA è una grande potenza, e l’occasione di essere sulla scena mondiale è troppo ghiotta.
Il Sud Africa sottolineava – come del resto fanno tutte le nazioni ospitanti mondiali o giochi olimpici – che l’evento avrebbe contribuito ad accrescere l’economia. Ma è stato proprio così? O i danni sono maggiori dei benefici?
Che assurde contraddizioni: Paesi coma la Russia, la Cina, il Brasile considerati emergenti, modelli del futuro, l’avanguardia del nuovo mercato globale. Un sistema senza pietà per chi prova ad ostacolarlo o almeno dire ad alta voce: non mi piace, tutto questo è immorale. La maggioranza delle proteste sono organizzate e guidate da giovani. E sono i “giovani contro” che hanno organizzato un Portale popolare della Coppa. Notizie alquanto dettagliate sui costi delle strutture, sui casi di violenze, i morti, le discriminazioni, le repressioni e “l’autoritarismo nei processi decisionali”. E ancora: video, dossier, immagini. E naturalmente informazioni sulle azioni di lotta in tutto il Paese. Sanno che nonostante lo slogan – there will be no world cup – i potenti vinceranno la partita. La coppa del mondo si giocherà e, nonostante l’indignazione e i fiumi di parole, milioni di persone staranno incollate ai televisori e si esalteranno per i goal.
Però, c’è un’altra domanda: possibile che nessuna squadra, nessun singolo giocatore provi vergogna o anche solo un po’ di amarezza? Vorremmo sentirlo.
Pingback: Coppa del mondo, il coraggio di dire che è immorale