“Sotto il cielo di Lampedusa”: oltre la tragedia arte e poesia
Io resto quaggiù/ nel fondo di una casa per noi tutti/ senza ragioni e ipocrisie/ una terra senza prigioni e un sogno sarà il mio respiro d’acqua/ un vaso di cristallo il cuore/ accoglier la nascita di mille cavallucci non più lamenti/ non più aprirsi e chiudersi di cancelli/ le nostre vite saranno astucci di perle. (Io sto in fondo al mare, di Fernanda Ferraresso)
L’antologia poetica “Sotto il cielo di Lampedusa (Rayuela, Milano 2014) con la prefazione di Erri de Luca , è una raccolta di poesie e testimonianze. Un’opera e un documento che riesce a rovesciare la visione di Lampedusa e le tragedie del Mediterraneo: da caos di disinformazione e lacrime di coccodrillo a un messaggio preciso e forte, senza spazio per pietismi o clamori. Nei numerosi incontri che hanno presentato l’antologia sono emersi altri progetti, artistici e documentaristici, a cui lavorano insieme italiani e africani . Ne esce l’emigrazione dall’Africa come esperienza eccezionale, di dolore e morte ma se riuscita, grazie alla solidarietà, anche di rinascita. Infatti l’Homo migrans– come lo chiama Pina Piccolo nella sua poesia, “Mediterraneo 2011: terzo capo d’accusa” è stato l’artefice della nostra civiltà, mentre oggi 16.000 dei suoi discendenti giacciono morti nel fondo del Mediterraneo.
Mi dissero “vai”. Io ci credevo ad un mondo fratello, alla vita… Mi [dissero “vai” questa sarà la tua battaglia, combattila anche per noi, tu andrai per mare, non [temere il mare di cui siamo figli anche se nati fra due sponde!
Ed io salpai: l’anima raccolta fra le mani, ed un sacchetto di semi [da germogliare nella terra che amorevolmente avrei vangato al di là del nostro mare. (Mi dissero vai! di Grazia Maria Pellecchia)
L’antologia nasce dal lavoro di ricerca e diffusione di poesie dall’Africa e Medio Oriente, iniziato dal gruppo di “1oomila poeti per il cambiamento di Bologna”(100 TPC) Il gruppo fa parte dell’omonimo 100 thousand poets for change, creato da Michael Rothenberg e Terri Carrion. Nel 2012 i due californiani rivolsero un appello a poeti di tutto il mondo: unitevi e componete versi su temi sempre più sommersi dalla scena mediatica come i diritti umani, la compassione, l’ambientalismo. Temi urgenti, che la poesia può far vibrare fino alle corde più sensibili della gente, per creare non solo poesie ma gruppi di attivisti. L’ associazione, in espansione anche in Italia, anima ogni anno in oltre cento nazioni diverse, un reading simultaneo intercontinentale che sarà ospitato a maggio anche a Bologna.
Il 3 ottobre 2013, a largo di Lampedusa annegarono trecento migranti, molti di origine eritrea. Una delle più gravi stragi marittime degli ultimi decenni. Da quel momento i 100TPC di Bologna si sono mobilitati per raccogliere poesie di eritrei, somali, europei, che volessero dire qualcosa su questa strage o sull’esperienza dell’ immigrazione. Ne venne fuori un ebook su Glob011: “Per i morti di Lampedusa, annegati da respingimento”. Un titolo che voleva denunciare le precise responsabilità politiche della strage, da parte dell’UE e dell’Italia, dovute ai decreti sul respingimento dei migranti.
Ascolta le onde alte nere onde sbattono sugli scogli di Lampedusa loro – i migranti ( 500 sono? ) schiacciati l’uno contro l’altro nella stiva colano a picco e annegano ascolta le loro voci Europa! (Ascolta, Europa! di Giovanna Gentilini)
Sulle rive di Lampedusa Sono sdraiati i resti delle nostre coscienze gonfie Le rive di Lampedusa Sono il viso sfigurato, gonfio e mutilato della nostra umanità Oggi! (Gassid Mohammed)
I respingimenti sono stati veri e propri crimini, per cui l’Italia è stata sanzionata dalla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo. Ma la strage è stata trattata come un incidente e ai funerali di Stato dei profughi morti, le cariche dello Stato italiano sedevano a fianco dei funzionari eritrei responsabili di quella e di altre carneficine di loro connazionali nel Mediterraneo e in patria. Erano stati invitati proprio i rappresentanti della dittatura sanguinaria di Isaias Afewerki, che ha reso l’Eritrea “una prigione a cielo aperto”, dove donne e uomini sono arruolati a partire dai dodici anni nell’esercito e spesso sono sottoposti a ogni sorta di torture. Quelli che riescono a fuggire vengono schedati, quindi se rimandati indietro (come è successo a quelli del CIE di Ponte Galeria nel 2013 che per protestare si sono cuciti la bocca), sono condannati a morte. Oltretutto, ci sono prove che l’Italia abbia fornito armi a questo regime. Non a caso il 10% degli incassi di “Sotto il Cielo di Lampedusa” sarà devoluto a EYSNS “Eritrean Youth Solidarity for National Salvation” – movimento internazionale di eritrei espatriati.
Cara mamma, sono partita contro il tuo volere/ ti ho lasciata in lacrime, senza riuscire ad asciugare le tue lacrime questa volta ti lascio per sempre. Ho intrapreso un cammino difficile e tortuoso/ Ho incontrato molteplici difficoltà. Aimè sono stata depredata, violentata e torturata. Alle cui urla strazianti ti hanno obbligata ad assistere e viverle con me via telefono/ affinché impotente/ desolata e distrutta vendessi tutti i tuoi averi elemosinassi anche per strada. Tutto per riscattare la mia vita perché possa essere liberata e successivamente rivenduta ad altri trafficanti della morte. (Lacrima sul tuo volto, Bietelihem Berhane, Eritrea)
La prima associazione di profughi in Italia: “Freedom and Justice”, è nata a Bologna da una situazione simile, e rappresenta un’altra delle realtà legate all’Antologia, in cui la solidarietà umana ha vinto sull’ignoranza e il razzismo. I giovani che la gestiscono sono scappati dalla guerra civile in Libia nel 2011.
… a casa ci voglio tornare, ma casa mia è la bocca di uno squalo/ casa mia è la canna di un fucile/ e a nessuno verrebbe di lasciare casa sua/ a meno che non sia stata lei a inseguirlo fino all’ultima sponda a meno che casa tua non ti abbia detto/ affretta il passo/ lasciati stare i tuoi stracci/ striscia nel deserto/ sguazza negli oceani/annega/ salvati/ fatti fame chiedi l’elemosina dimentica la tua dignità/ la tua sopravvivenza è più importante. (Casa Warsan Shire (Trad. di Pina Piccolo)
“Come il Titanic diario a fumetti di un affondamento”, Expris Comics (Il Girovago 2014 ), è un altro progetto artistico che nasce dall’incontro dei profughi con il tessuto sociale italiano. La Graphic Novel riporta le esperienze vissute nei “Cantieri Meticci”, laboratorio teatrale che coinvolge europei, migranti, richiedenti asilo e rifugiati politici, ospiti delle strutture di accoglienza. “Piccoli miracoli di integrazione sociale” dice Lorenzo Cimmino, coordinatore del progetto e editore della Graphic Novel. Miracoli possibili grazie allo sguardo che si adotta su quel palco: quello del viaggiatore che si svincola da pensieri imposti, perché attraversa confini e volti di stranieri, fa esperienza con i vivi, non i corpi dei morti ripresi o fotografati. Tra i diari dell’affondamento c’è la storia di Antar Mohamed Marincola, autore di una delle poesie dell’antologia, nonché del romanzo Timira (Einaudi 2012), con Wu Ming 2.
Vengo da lontano, ma non so dove sto andando. Vengo da lontano senza sapere dove sto andando. Vengo da lontano e ho attraversato il mio paese crivellato. Vengo da lontano senza avere chiara una meta! Partii da una capitale in fiamme, che ha perduto lo Stato. Vengo da lontano senza meta e senza dove. Mio padre si è perduto in una guerra che ha tanta fame e tanta sete. Mia madre si è ritrovata sola in mezzo a tanti lamenti di infanti. Un giorno di tanti anni fa, fuggii dalla mia terra che beve sangue invece che acqua. Ho dimorato galere di tante città diverse, tutte sporche e abitate da pidocchi. Ho camminato nella sabbia rovente dei deserti, pensavo alla morte ma la vita mi voleva con sé. Vengo da lontano per trovarmi al mare senza saper nuotare, vengo da lontano, nonostante la barca ballasse tra le onde, i corpi gonfi hanno fatto la mia salvezza. (Il Druido di Dublino* Antar Mohamed Marincola)
Sotto il cielo di Lampedusa c’è passato anche Alfredo Bini, fotogiornalista che per due volte si è unito alle migliaia di africani che dall’Ovest dell’Africa partono alla volta della Libia per trovare lavoro o per tentare di raggiungere l’Europa. Con il suo reportage “Trasmigrazioni”, ha realizzato un ritratto dell’epopea moderna della migrazione, che sostituisce l’immaginario del tentativo disperato che abbiamo tutti in mente da questa parte dello stretto di Suez. Vediamo invece nuovi eroi, stipati in camion sgangherati, con i volti coperti per ripararsi della sabbia, che hanno assicurato i loro bagagli penzolanti legandoseli alla vita con corde di spago.
Quando salgono in uno di questi camion lasciano dietro tutto, come i solchi che tracciano le ruote avanzando nel deserto. Nel deserto non sanno se moriranno di sete e se, per esempio, troveranno lavoro in Burkina Faso, nelle piantagioni di canna da zucchero, per 60 centesimi a giornata. I migranti dell’Africa occidentale, che di solito partono dal Burkina Faso o dal Mali, rimangono spesso intrappolati a lavorare in Niger, Chad e Libia.
Tra quelli che riusciranno a sbarcare nella promessa Europa invece, molti finiranno per poco più a raccogliere pomodori nelle piantagioni del Sud Italia, altra nicchia di business per italiani che si nutre dell’immigrazione succhiando ogni risorsa disponibile a queste persone.
Gli africani sanno che il viaggio attraverserà anche Stati governati da piccoli tiranni che sopravvivono grazie ai loro combattenti. Uno dei volti del reportage è Camera, uomo di 33 anni laureato, rapito da una banda in Chad (al confine con la Libia, dove nel frattempo era arrivato). Con questi uomini Camera ha vissuto in stato di vera e propria schiavitù. Procurava l’acqua, curava l’orto, si occupava della cucina e del bucato. Ed è stato costretto a fare lo stesso, per mesi, per i militari nigerini.
Nemmeno le armi son da evocare: ne avete già viste troppe nei vostri paesi, spedite a casse dai nostri produttori di Stato. Sì uno Stato smemorato e baro che si spazza le suole insanguinate con il ripudio della guerra e, nel nome nostro anche di noi che siamo qui, esporta morte a buon mercato. E poi la patria: quale? Cos’è? È solo un mare di dune di sabbia senza confine prima di un altro mare di dune d’acqua senza approdi. (Quel maledetto metro d’acqua di Bartolomeo Bellanova)
Situazioni africane che nonostante anni di lampi mediatici su Lampedusa nessuno ha mai raccontato. Alfredo Bini dice che questi viaggi hanno un valore che gli verrà dato dalla storia, come successe per i flussi migratori nell’’800 e nel ‘900. Tutte queste persone ora parlano all’Italia di migrazione in modo diverso. Con l’impegno dell’arte e della poesia.
Eppure ogni notte/ prima di ogni partenza/ il buio s’accendeva di mille lune/ accoglieva il calore di sogni/ che fiorivano/ prima che le tenebre portassero nuove paure/ prima che/ altre navi/ annegassero altro futuro/ prima che/ i trafficanti/ portassero altra morte. (Fantasmi di mare, di Anna Albertano)
[Foto in copertina di Valentina Elmiger.]
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