Se anche la vita degli esseri umani e il loro benessere sembrano contare così poco, quale meraviglia può suscitare la totale mancanza di rispetto e protezione del mondo animale?
Il fenomeno del bracconaggio è cresciuto a tal punto che, ormai da tempo, non rappresenta più un aspetto privato che riguarda cacciatori e personaggi senza scrupoli che uccidono per far soldi o per diletto, ma è un problema che riguarda l’intero pianeta e la sua conservazione. E sta producendo – e produrrà – danni che non sono molto lontani dal manifestarsi. Che cosa ci aspetta nel 2014 per quanto riguarda le crisi globali di carattere ambientale, lo ha spiegato un recente Rapporto scientifico “A horizon scan of global conservation issues for 2014”. Tra le 15 maggiori minacce per il pianeta viene appunto citata la perdita di esemplari di elefanti (il 62% tra il 2002 e il 2011) e rinoceronti in Africa (soprattutto Africa centrale). E la massiccia richiesta di avorio, soprattutto dalla Cina, non fa che stimolare l’uccisione illegale di questi mammiferi e il commercio clandestino dell’avorio. Secondo l’International Union for Conservation of Nature all’inizio del 2013 in Africa c’erano 20.405 rinoceronti bianchi e 5.055 rinoceronti neri. A settembre 2013 almeno 613 rinoceronti erano già stati uccisi dai bracconieri e il dato riguarda solo il Sud Africa.
Le corna di rinoceronte fanno gola ai bracconieri: richiamano uno status sociale (vengono vendute a più di 60.000 dollari al kg) e per molti sarebbero dotate di qualità anti-tumorali. Falsa credenza difficile da sfatare. Ma che finisce però, inevitabilmente, per far lievitare la domanda.
Le opinioni sulla caccia, si sa, non prevedono chissà quante mezze misure. Di solito i fronti sono due: a favore o contro. E nel bracconaggio l’aspetto morale e lo sdegno sono assai più forti. Con il vantaggio dello strumento Internet negli ultimi anni si sono diffuse ricerche e campagne per tentare di sollecitare interventi dei governi e degli Stati per controllare il fenomeno. Ma anche per informare e aggiornare su un’attività illegale che arricchisce pochi e impoverisce tutti.
Il Rinho Resource Center è uno dei siti più ricchi di informazioni, un vero e proprio crocevia telematico di notizie e immagini che mira alla salvaguardia di un animale che nel giro di appena dieci anni rischia l’estinzione; Savingrhinos.org, on line dal 2007, è un altro importante punto di riferimento in Rete sul tema dell’uccisione illegale della specie; e ancora Endangered Wildlife Trust o Environmental Investigation Agency sono esempi di organizzazioni impegnate in prima linea.
Fra le campagne contro il bracconaggio spicca 96elephants, come i 96 elefanti che vengono uccisi ogni giorno in Africa, per un totale di 35.000 nel 2012. Se nel 1980 in Africa c’erano 1,2 milioni di elefanti, oggi non superano quota 500.000 (fonte AFP) e, quel che è peggio, ci potrebbe anche essere una contrazione del 20% nel loro numero nei prossimi 10 anni. Cifre che sembrano inverosimili… L’iniziativa di 96elephants segue le attività della Wildlife Conservation Society e oltre a coinvolgere singoli cittadini nella lotta al bracconaggio, presenta una storia interattiva in tre capitoli di grande impatto visivo ed emotivo.
Ma uno dei più interessanti lavori realizzati on line per “seguire le tracce” dei cacciatori di frodo, è quello del Oxpeckers Center for Investigative Environmental Journalism. Un progetto, tutto africano, di giornalismo di inchiesta su questioni ambientali che alle tradizionali tecniche di investigazione aggiunge l’analisi di dati e gli strumenti di geolocalizzazione. Altrettanto dinamico è Bloody Ivory, un sito che come 96elephants coniuga l’attivismo online (la possibilità di firmare petizioni per frenare il commercio d’avorio) con l’informazione. Non solo la mappa interattiva che indica numero di elefanti presenti su determinati territori, ma anche le attività di bracconaggio segnalate. E, ancora più specifico è l’aggiornamento con news da tutto il mondo che riguardano arresti di bracconieri, sanzioni, ultimi dati e cifre, summit sul tema.
Insomma, gli strumenti per seguire l’esempio del noto giornalista investigativo sudafricano Julian Rademeyer, che ha firmato il libro “Killing for profit“, non mancano affatto.
Dai leader africani di tanto in tanto arrivano dichiarazioni di intenti e proclami come quello dei rappresentanti di Botswana, Gabon, Chad e Tanzania che hanno espresso la loro azione comune – anche sotto forma di un documento ufficiale – per combattere il fenomeno e hanno proposto 10 anni di moratoria nella vendita dell’avorio.
Che si tratti di una vera e propria battaglia in corso, con azioni di guerriglia nei singoli Paesi, è confermato dagli stessi leader del Continente a più alto indice di bracconaggio. Il presidente del Gabon, Paese che sta pagando un prezzo altissimo per arricchire il mercato illegale dell’avorio, ha recentemente minacciato di cancellare i contratti in corso con la Cina, il maggiore trafficante e acquirente delle zanne di elefante. Ali Bongo Ondimba ha dichiarato che i bracconieri “non esitano a sparare ai ranger dei parchi protetti. Nella foresta è in corso una guerra intensa come ogni altro tipo di conflitto”. Intanto sono trascorsi 25 anni dal divieto del commercio di avorio, deciso dal CITES (Convenzione internazionale per la protezione di specie di flora e fauna in pericolo) nel 1989. Ma la situazione non sembra molto migliorata. E se non ci sarà una significativa inversione di marcia, quella che oggi si paventa come un'”estinzione di massa” sarà realtà.
Le armi puntate contro gli animali, si sa, non perdonano. E Greenpeace sembra aver fatto centro con il suo video-remake – riveduto e corretto, dall’olandese Studio Smack – de “Il re leone” della Disney che sta circolando in Rete, in cui tutte le specie scompaiono progressivamente, una ad una, insinuando, nell’aria solare del cartoon, tristi presagi.
Un docu-cartoon purtroppo non troppo lontano dal vero: basti pensare che, per esempio, le tigri rimaste in natura sarebbero appena 3200. E mentre la conta di animali-vittime in odore di estinzione continua, la lista delle specie presenti si assottiglia.
La tecnologia, da parte sua, viene in soccorso grazie ad un progetto a cui hanno lavorato tecnici del WWF, che prevede l’utilizzo di droni (finanziati da Google) che rendono possibile identificare dall’alto del cielo i bracconieri in azione.
Si tratta, in sostanza, di velivoli orfani di piloti che funzionano da vere e proprie “sentinelle” dei cacciatori di frodo.
Non aveva forse già illustrato, l’artista Robert Chews, robot con le sembianze di avvoltoi, intenti a pattugliare le aree protette e, se è il caso, disponibili all’intervento?
La fantasia incrocia la realtà e viceversa e nel frattempo sempre più di frequente animali africani e asiatici finiscono nella rete, virtuale e non.
[ Antonella Sinopoli, coordinatrice editoriale di Voci Globali, risiede attualmente in Ghana, nella Regione del Volta, per una permanenza di alcuni mesi. Oltre che partecipare da lì alla vita della nostra redazione, contribuisce alla pagina con articoli e aggiornamenti sulla realtà del Paese in cui vive e sul continente africano.]
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