Mugabe, l’African Renaissance e il pregiudizio razziale

[ Antonella Sinopoli, coordinatrice editoriale di Voci Globali, risiede attualmente in Ghana, nella Regione del Volta, per una permanenza di alcuni mesi. Oltre che partecipare da lì alla vita della nostra redazione, contribuisce alla pagina con articoli e aggiornamenti sulla realtà del Paese in cui vive e sul continente africano.]

Ci sono parole che pronunciate da certe persone producono uno strano effetto.  Come African Renaissance, Rinascimento africano. Un concetto che ha a che fare con il futuro, con la bellezza, con la speranza, ma che suona male se a parlarne è Robert Mugabe. In un recente incontro dell’Unione Africana, Mugabe ha esortato – implorato – il continente e i suoi leader a darsi da fare in direzione dello sviluppo dell’Africa, per difenderne le risorse e respingere le interferenze dello straniero – “ex nemico” lo chiama – negli affari africani.

Mugabe non perde occasione per rivelare la sua antipatia per gli occidentali, per i bianchi, anche quando intervengono in aiuto della sua gente che ha fame, usa in maniera “politica” gli aiuti e si meraviglia se al mondo non appare normale che qualcuno possa adottare una dittatura di fatto, da ormai 34 anni. Primo ministro e poi presidente dello Zimbabwe dal 1980, oltre a lavorare ad opere di nazionalizzazioni fallite ed espropri forzati, ha arricchito la sua famiglia e il suo entourage. Di fatto impoverendo i più poveri e favorendo una crisi economica.

E anche nelle recenti elezioni non ha mancato di mandare in onda un copione che è già noto. Si potrebbe obiettare che si tratta di stampa occidentale. Ma già da tempo anche la società civile, la cultura africana e i suoi esponenti stanno riflettendo sul perché certi mali – reali e non legati a pregiudizi – continuano ad affliggere l’Africa.

E allora, tanto per cominciare, perché lo Zimbabwe, che pure ha ricevuto notevoli aiuti dall’estero, ha estese sacche di povertà? Perché c’è gente che non può permettersi un pasto al giorno? E perché non c’è alternanza di potere?

I principali motivi che dannano il continente africano sono corruzione e incompetenza. Il professore kenyota, Washington Aggrey Jalang’o Okumu, noto per il suo impegno come peacemaker, aggiunge la mancanza di democrazia e la presenza di “strong man” che sono forti solo nell’accaparrarsi il potere e mantenerlo a tutti i costi. Okumu ha dedicato un’approfondita ricerca al tema. Nel suo testo, The African Renaissance: History, Significance and Strategy affronta anche – appunto – il problema di leadership corrotte e colpevoli della povertà del continente, dedicando alcune pagine proprio al presidente dello Zimbabwe e al concetto del “Big Man” a cui Mugabe corrisponde perfettamente.

È il caso di ricordare allora, che la African Renaissance ha tra i suoi obiettivi la fine della violenza, della corruzione, dell’elitismo e della povertà… Tutte situazioni che vedono primeggiare l’Africa subsahariana.

Nel 2013, i 50 anni dalla fondazione dell’Unione Africana, i partecipanti al summit di Addis Abeba hanno tirato le somme e fatto progetti da qui al 2063, legando il concetto di African Renaissance a quello di Panafricanismo. Un concetto di unità, fratellanza, obiettivi comuni. Ma una cosa è appellarsi all’unità tra gli Stati africani, un’altra è pretendere di individuare un nemico comune e lontano. E affibbiargli tutte le cause dei fallimenti interni. Dell’affrancamento dal giogo coloniale (passato e presente) Mugabe ha fatto la sua bandiera (con un certo calcolo)  e per certi aspetti è giusto, ma l’Unione Africana è composta da 54 Stati, che ricevono aiuti dall’estero, stringono accordi commerciali e finanziari con l’Occidente e partecipano a summit oltreoceano.

Chi ha viaggiato, seppure in pochi angoli di questo continente, chi vive in uno dei suoi Paesi non fa fatica a incontrare ogni sorta di pregiudizio razziale. Quello dei neri nei confronti dei bianchi.

Un razzismo di solito celato dall’opportunismo – perché un amico che viene dall’Occidente fa sempre comodo. Ma se entri nel giro giusto e i discorsi si fanno seri allora viene fuori che colonizzazione, schiavitù, sfruttamento, arroganza, sono tutte colpe che, secondo molti, i bianchi non hanno mai pagato. E che bisogna riscattare, magari continuando a contare sugli aiuti occidentali.

Poi ti imbatti in trasmissioni radiofoniche in cui il conduttore dice che bisogna smetterla di considerare Gesù un bianco, perché questo è un falso. Che dice che bisogna smettere di parlare, anche in chiesa, la lingua del colonizzatore (anche se lui stesso la trasmissione la conduce in inglese!). E che dice che Dolce&Gabbana importano omosessualità (o istigazione all’omosessualità). Argomenti spesso sostenuti da politici di turno e di vecchia data che – si sfogano i miei interlocutori – “vengono in Europa in giacca e cravatta, siedono ai vostri tavoli, fanno accordi economici e chiedono aiuti e poi quando tornano nei loro Paesi fanno certi discorsi che sotto sotto incitano all’odio”. Questo è un aspetto che sfugge a chi transita rapido da questo continente, ma è un aspetto reale e che circola nel profondo.

Discorsi che fanno dimenticare che a garantire l’ingresso alle imprese estere (sfruttatori) e alle multinazionali sono proprio i governi locali, che fanno dimenticare come si vive in migliaia e migliaia di villaggi africani dove ancora non c’è accesso all’acqua potabile né alla corrente elettrica, che fanno dimenticare che non c’è democrazia se non c’è voto pulito, se non c’è lavoro, se non c’è educazione gratuita. Mugabe, nel suo discorso agli altri rappresentanti dell’Unione Africana, ha detto che quello che necessita al continente è una sicura leadership e liberarsi dalla dipendenza coloniale che oggi si mostra sotto altre forme. Chi non è d’accordo? (A parte chi ha interessi miliardari nel continente). Ma forse un po’ di equilibrio (e non di equilibrismo) non farebbe male.

C’è una pagina facebook molto interessante, Negro News, che oltre a diffondere notizie che non sempre circolano sulla stampa internazionale, è un buon indicatore di certi meccanismi mentali e del rancore che certuni nutrono. Chi per i bianchi, espressione del male e della più sfacciata arroganza, chi per i propri leader o persino per l’Unione Africana che in un commento qualcuno giudica un leone senza denti. A riprova che, al di là delle propagande, ci sono anche molti su cui non funziona la distrazione del male che sta, stava e forse sarà sempre altrove. Possibilmente in Occidente.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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