5 Novembre 2024

Essere donne in Ghana, tra tradizione, povertà, voglia di riscatto

 

Foto pubblicata su Flickr dall'utente mhelleberg con licenza CC BY 2.0

Essere donna è un privilegio, uno sguardo aperto sul mondo da una prospettiva unica. Ma essere donna ha “conseguenze” specifiche legate al luogo in cui si è nate, in cui si vive, in cui si impara… qualche volta a sopravvivere più che a vivere. Come in Africa.

Naturalmente essere donna in Africa non vuole dire solo lotta quotidiana, deprivazione e povertà, anzi esiste una classifica delle dieci donne più ricche e potenti del continente. Ma già guardando le loro storie, la loro provenienza (anche geografica) e le loro biografie si intuisce che non sono davvero loro a rappresentare l’Africa di milioni e milioni di altre donne.

Mi soffermo sul Ghana perché, di quel continente, è il Paese che conosco meglio. Un Paese che negli ultimi anni ha registrato ottime performance dal punto di visto della crescita del PIL, di interesse turistico e degli investimenti. Oro, petrolio, e cacao le principali esportazioni e poi, a giocare un ruolo certamente positivo, è la stabilità politica del Paese.

Ma qual è la condizione femminile? Parità di diritti sulla carta costituzionale, parità che sbiadisce sempre più man man che ci si avvicina alle zone più povere, alle aree lontane dalla capitale o dalle grandi città.

Spesso ore di cammino per prendere l’acqua dai ruscelli o dai pozzi, giornate intere in mercati rumorosi e insalubri o nei campi, bambini sulle spalle, mariti a volte troppo presi dalle loro privazioni per occuparsi anche di quelle della famiglia. Che qualche volta rimane elemento di coesione imposta da regole di comportamento che nessuno pensa o si sogna di eludere o di contraddire o, semplicemente, di cambiare con scelte diverse. Forse perché le scelte non sono possibili. Laddove sposarsi è una regola sociale fortissima e così pure fare dei figli. Più di quanti se ne possa mantenere. Nella speranza che saranno poi loro a mantenere te.

In Ghana ogni donna partorisce una media di 4.12 bambini e l’età media per dare alla luce il primo figlio è circa 21 anni, ma non è raro incontrare adolescenti incinta o già con un bimbo sulle spalle e un altro nella pancia. Donne che lasciano gli studi – spesso proseguiti fin lì a fatica a causa delle difficoltà economiche – e che rischiano la vita. Il Ghana è al 41esimo posto della lista mondiale riguardante la mortalità materna: in termini reali 350 donne muoiono ogni 100.000 nascite. Difficile parlare di controllo delle nascite: l’uso di metodi anticoncezionali è pari solo al 24% circa contro – per fare un esempio – alla media del 62.7% dell’Italia (questi e altri dati su The World Factbook).

Di violenza sulle donne si discute anche in Ghana, anche se in Paesi come questi vanno analizzati due tipi di questioni: la violenza costante e silenziosa legata alla mancanza di opportunità per bambine, ragazze e poi donne e, appunto, la violenza fisica. Esiste dal 2007 una legge – la Domestic Violence Act – che definisce i vari tipi di violenza sulle donne: fisica, sessuale, psicologica ed economica. Una legge che – due anni prima che in Italia – introduce il reato di stalking. Ma stanno aumentando i casi di molestie sessuali (o solo le denunce?): nel 2010 erano 986 i casi registrati; 1,176 nel 2011 e altri tipi di violenze. E tra il gennaio 2010 e il luglio 2012 si sono registrati 53 omicidi all’interno della coppia.

Ma esistono altri casi di violenze ancora più drammatiche, violenze legate ad usi tradizionali: la servitù rituale e le mutilazioni genitali.

La prima viene praticata dagli Ewe, abitanti del Togo, del Benin e, in Ghana, della Regione del Volta. Consiste, in pratica nell'”affidare” ragazze vergini molto giovani a templi locali – shrine – dove diventano letteralmente schiave dei preti, anziani o custodi del tempio.
La pratica – abolita nel 1998 e punibile con la detenzione di un minimo di 3 anni è ancora in uso. Si chiamano trokosi, e vuol dire schiava degli dei. Ma gli dei, nel trattamento riservato a queste ragazze c’entrano ben poco.

Le ragazze diventato in pratica schiave solo per ripagare i “peccati” o veri e propri reati commessi dai maschi della famiglia, violenze (anche sessuale), furti, o semplicemente per allontanare la sfortuna e garantirsi il favore degli dei.  Così può capitare che una bambina, generata dalla violenza sessuale di uno zio nei confronti della nipote, diventi una trokosi. E questo viene considerato normale ed è difficile capire che sia qalcosa di inaccettabile. Si sta cominciando dall’educazione, dalle scuole per diffondere la cultura dei diritti di queste donne a non essere (o a non diventare) schiave.

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Si calcola che nell’Africa occidentale ce ne siano ancora più di 10.000 in questo stato di schiavitù, 5.000 solo in Ghana.

Altra assurda forma di violenza è la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Secondo una recente indagine ancora una media nazionale del 4% di donne tra i 15 e i 49 anni subisce questa pratica, con un’incidenza del 16% nelle ragazze tra i 15 e i 19 anni nell’Upper West Region (contro la media del 60% delle donne tra i 45 e i 49 anni che hanno subito la mutilazione negli anni scorsi a dimostrazione di un notevole cambiamento di rotta). In Ghana esiste dal ’94 una legge contro questa pratica e un successivo emendamento del 2007.

Con queste “armi” alla mano organizzazioni locali si battono per cancellare del tutto quest'”abitudine” legata a norme e tradizioni patriarcali e spesso mortali per le donne. Una strada che vede protagoniste principali le donne stesse.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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