Quando sul Maghreb soffiava il vento della primavera
Il 17 dicembre del 2010 un giovane venditore ambulante tunisino si dà fuoco dopo che la sua merce viene sequestrata dalla polizia.
L’episodio avviene in una delle zone più povere della Tunisia, causando una protesta popolare che, nei primi mesi del 2011, si estende nelle nazioni più vicine: Egitto, Algeria, Libia, Marocco. Comincia così la “Primavera Araba”, una miscela fra speranza e realtà ancora in divenire.
I primi movimenti si sono manifestati a partire dal 2009 e poi nel corso del 2010 e 2011, ma alla domanda che spesso mi viene rivolta, se muovendomi fra questi Paesi negli anni precedenti era percepibile una rivolta popolare tale da sconvolgere assetti politici cementati, mi trovo in seria difficoltà. Stiano tranquilli politologi ed esperti opinionisti. La mia vuol essere una testimonianza di chi ha una conoscenza del Maghreb per averlo vissuto e amato da molti anni, nonostante le sue grandi contraddizioni.
Dall’inizio degli anni Novanta al 2008, attraversando questi Paesi venivi ammaliato dalle bellezze delle culture passate e dal paesaggio così diverso ma unico. Ci si intratteneva negli eleganti hotel delle città, come in quelli più modesti ma vivaci dei piccoli paesi. Tutto appariva tranquillo anche se un continuo ammodernamento caratterizzava le capitali e le “medine”- il cuore delle città – che pur conservavano la loro peculiarità, si adattavano alle esigenze dei turisti esponendo accattivanti mercanzie.
Ma il momento migliore, più vero, quello che avresti voluto fermare, era la sera quando le piazze, sia delle città che dei centri rurali, si riempivano di giovani e famiglie. Da loro ascoltavi racconti qualche volta gioiosi, qualche altra inquietanti della quotidianità, tanto che quella tranquillità percepita il mattino poi cedeva il passo al fermento. Inquietudine e incertezza, dovute alla situazione nella quale viveva la maggior parte delle persone, si percepivano dai loro discorsi. Discorsi che divenivano sempre più rivendicatori e che si sentivano spesso poiché questi Paesi erano accomunati dagli stessi problemi politici e socio economici: longevità dei regimi, autoritarismo, scarsa democrazia, forti restrizioni alla libertà individuale, forte pressione demografica e dilagante corruzione.
La popolazione giovanile era – e in molti casi rimane – altissima, con un’elevata disoccupazione anche fra coloro che hanno avuto accesso ad un buon livello di scolarità. La povertà è diffusa. Un grande problema era anche quello di genere e se da un lato, c’erano donne che occupavano i massimi livelli nelle università, dall’altro la maggior parte di esse non aveva accesso al mondo del lavoro e godeva di limitati diritti sociali, diritti limitati dal retaggio religioso. Nonostante i tentativi di laicizzare lo Stato, pesava su di loro la presenza di movimenti cresciuti all’ombra delle moschee che guardavano con sospetto al pericolo della modernità. Questo era quanto un semplice turista non poteva percepire.
Con le TV satellitari negli anni Novanta i maghrebini avevano scoperto che si può vivere in modo differente, che si può studiare, viaggiare, innamorarsi e lasciarsi per un altro amore. È stata una scoperta clamorosa nell’universo dei matrimoni combinati. Se la televisione mostrava un mondo più ampio di quello del villaggio, del clan, della famiglia, ci ha pensato poi Internet ad offrirlo, a renderlo “facilmente accessibile”. Nascono così movimenti di ribellione all’interno dei Paesi.
Nascono in Marocco da parte di chi è stanco di servire costosi cocktail dai fastosi bar che si affacciano nelle strade più eleganti di Marrakesh, per poche lire. Nascono in Egitto fra coloro che avendo accesso al quartiere Zamalek (sede di ambasciate e abitato da diplomatici e dalla grande e media borghesia) del Cairo osservavano dagli alti e opulenti grattacieli una metropoli divisa a spicchi, quasi tutti caratterizzati da costruzioni fatiscenti, trasformati in improbabili abitazioni, con tetti di lamiera. Famiglie numerose che vivono in miseria. Spietate diseguaglianze sociali. In Libia dove più tangibile fra i giovani è la restrizione a livello di diritti civili. Giovani che da Leptis Magna o Sabrata chiedono di poter parlare in lingua inglese o francese, chiedono conferma se quanto vedono attraverso Al Jazeera e Al Arabiya corrisponde al vero. L’assenza di diritti per il mondo femminile è profonda, radicata a condizionamenti che si perdono nel tempo. In Algeria le proteste anche se minori non sono state del tutto assenti, questo quale conseguenza dei ricordi di massacri che hanno devastato il Paese in passato.
Potevano tutti questi essere possibili indicatori di uno sconvolgimento politico repentino? Nessuno, credo, avrebbe mai pensato che in breve tempo la Tunisia potesse “dimettere”il presidente Zine el-Abine Ben Ali al potere da un ventennio, che in Egitto avrebbero costretto alla fuga Hosni Mubarak alla guida del Paese dal 1981. Ad una guerra civile in Libia e all’uccisione di Mu’ammar Gheddafi dopo una dittatura durata 41 anni.
Si può pensare ad una regia araba dietro i movimenti sovversivi che hanno generato delle vere e proprie rivolte popolari? Forse il tempo darà una risposta. Nel frattempo c’è da augurarsi che tanto sangue sparso venga presto ripulito. Anche se lascerà ferite insanabili.