Protocollo di Maputo, per le donne diritti a metà
[Nota: traduzione a cura di Benedetta Monti dall’articolo originale di Moreen Majiwa su Pambazuka News – Pan-African Voices for Freedom and Justice]
“La velocità con cui il Protocollo è entrato in vigore il 25 novembre del 2005 stabilisce un primato, per l’intero continente, nella ratificazione degli standard dei diritti africani. Una lezione importante sta nel fatto che le sfide che si affrontano operando nei Paesi africani possono essere superate con la collaborazione tra Governi, la Commissione dell’Unione Africana e le associazioni che operano, sia a livello locale che in ambiti più vasti, in difesa delle donne”. H.E. Alpha Konare, presidente e cofondatrice della Commissione dell’Unione Africana (2000-2008), 2006, Addis Abeba, Etiopia.
L’appartenza di genere ha un ruolo significativo nella definizione e nella determinazione dell’accesso e il ruolo che le donne hanno nella gestione amministrativa, nello sviluppo economico e nella società. I ruoli tradizionali hanno confinato le donne nella sfera privata. La sollecitazione da parte degli attivisti per i diritti delle donne e la crescente dimostrazione della correlazione tra l’eguaglianza tra i sessi, lo sviluppo economico e le riforme democratiche, hanno determinato nuovi approcci verso una politica di uguaglianza tra i sessi a livello globale, del continente, delle singole regioni e territori. Il Protocollo della Carta Africana sui Diritti delle Donne (Il Protocollo per le donne africane) è una manifestazione di tali tentativi.
Fondato sulla convinzione che gli strumenti, i protocolli, le leggi e le politiche non sono in grado di cambiare la vita delle donne africane senza una sollecitazione pubblica organizzata per la loro attuazione ed applicazione, il Programma Pan Africa della Oxfam opera attraverso il suo Programma di sostegno alla parità tra i sessi con alcuni partner, incluso la ‘Solidarity for African Women’s Rights Coalition’, per istituire e mobilitare i cittadini in modo attivo al fine di sostenere la realizzazione dei diritti delle donne che sono contenuti nel Protocollo. Il Programma Pan Africa della Oxfam supporta anche una ratificazione accelerata, la nazionalizzazione e l’attuazione del Protocollo attraverso lo Stato dell’Unione, una coalizione di organizzazioni della società civile che segue la scia tracciata dall’adesione dei Partiti dell’Unione Africana su 14 politiche chiave e ordinamenti adottati dall’Unione, uno dei quali è proprio il Protocollo per le donne africane.
Tale Protocollo, adottato dall’Unione Africana nel luglio del 2003, è uno strumento legale rivoluzionario sui Diritti delle donne ed è il primo strumento internazionale che si relaziona in modo specifico ai diritti delle donne nel contesto africano. I Paesi che hanno ratificato questo Protocollo non solo concordano sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ma anche di porre fine a qualsiasi forma di violenza sulle donne, per abolire pratiche culturali dannose, inclusi i matrimoni di bambine e le mutilazioni genitali, al fine di proteggere il diritto alla salute riproduttiva, il diritto all’aborto in caso di stupro, incesto o per proteggere la vita delle donne. Il Protocollo vincola gli Stati che lo hanno sottoscritto ad assicurare alle donne la stessa partecipazione ai diritti politici ed economici rispetto agli uomini e la partecipazione paritaria delle donne a tutti i livelli decisionali, compreso il mantenimento della pace e della sicurezza, e ad agire con azioni positive in tale direzione.
Nei dieci anni trascorsi dalla sua adozione, 36 stati africani su 54 hanno ratificato il Protocollo per le Donne Africane e, in linea con questa ratifica, si sono registrati progressi significativi a livello nazionale per assicurare il riconoscimento legale dei diritti delle donne. Per esempio nel 2004, l’Etiopia ha passato la legge sull’aborto più progressista di tutta l’Africa, almeno 22 stati africani proibiscono la discriminazione basata sul genere, el Malawi e Sud Africa proibiscono la discriminazione non solo basata sul sesso ma anche sullo stato civile.
Nell’ultimo decennio l’Africa ha visto l’elezione di due donne capo di Stato (le presidentesse Joyce Banda e Ellen Johnson Sirleaf), il conferimento del Premio Nobel a tre donne (Wagari Maathai, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee), la nomina della prima donna capo dell’Unione Africana ( Dr. Dlamini Zuma) e quattro stati africani (il Ruanda, il Senegal, le Seychelles e il Sud Africa) comparire nella classifica dei dieci Stati con la più grande rappresentanza femminile in Parlamento.
Nonostante queste tendenze incoraggianti e il fatto che le condizioni odierne consentano diritti legislativi e politici alle donne, il divario tra i sessi esiste ancora in ogni settore – giustizia, salute, educazione, opportunità economiche e partecipazione politica. Le donne, nella maggior parte dell’Africa, continuano ad affrontare barriere culturali, sociali ed economiche a causa del diverso accesso che hanno all’educazione, alla salute, e alle opportunità politiche ed economiche. La diversità tra i sessi continua ad influenzare le decisioni della società e quelle individuali sull’educazione delle donne, sulla loro partecipazione politica ed economica e sulla fertilità.
Creare un consenso per l’integrazione del Protocollo per le Donne Africane a livello nazionale è stato difficile. Sebbene la maggioranza degli Stati africani abbia ratificato il Protocollo, alcuni di questi Paesi hanno posto delle riserve su articoli che sono considerati controversi. Tra questi il matrimonio, i diritti di proprietà, i diritti sessuali e riproduttivi. La decisione degli Stati firmatari di ratificare il Protocollo con riserva, particolarmente su tali questioni finisce per avere un impatto diretto sull’uguaglianza tra i sessi.
Gli sforzi per garantire i diritti delle donne e l’uguaglianza tra i sessi attraverso il Protocollo per i Diritti delle Donne sono encomiabili, anche se devono ancora determinare una reale trasformazione nei rapporti tra i sessi e assicurare la parità di diritti. Questo perché le riforme sui diritti delle donne e la parità tra i sessi sono state frammentarie e tradizionalmente hanno coinvolto un’ “aggiunta” alla legislazione per l’uguaglianza tra i sessi, o per i diritti per le donne, in istituzioni, strutture e leggi esistenti che sono patriarcali e dunque già viziate in origine. Inoltre un’interpretazione ristretta dell’uguaglianza tra i sessi, con la semplice aggiunta delle donne, ha portato all’applicazione di alcune iniziative per la riforma che non trattano le cause alla radice di queste diseguaglianze nella società e, in qualche caso, le rafforzano.
Per poter assicurare l’uguaglianza e una trasformazione dei rapporti tra i sessi, cioè “un cambiamento totale che modifica radicalmente lo status quo delle relazioni”, si ha bisogno di qualcosa di più di riforme frammentarie e ad hoc che uniscono il concetto di genere a strutture legislative già esistenti. Un’analisi dell’uguaglianza tra i sessi nell’intero continente e un quadro giuridico sui diritti delle donne può fornire lo strumento per questa trasformazione attraverso:
- l’esame dei diritti delle donne/uguaglianza tra i sessi nei quadri giuridici e meccanismi esistenti, sia a livello dell’intero continente che delle singole nazioni
- l’esame del motivo per cui i modelli e le procedure esistenti per i diritti delle donne/l’uguaglianza tra i sessi non riescono a colmare il divario esistente
- la messa in discussione dei modelli che permettono a chi li attua di prestare un’attenzione puramente formale all’uguaglianza e ai diritti delle donne
- la responsabilizzazione dell’Unione Africana e degli Stati membri riguardo al quadro delle normative e le politiche che hanno approvato
Il Protocollo per i diritti delle donne africane e l’architettura legislativa sul tema dell’Unione Africana (Articolo 4L dell’Atto Costitutivo dell’Unione Africana, I Diritti delle Donne Africane, la Dichiarazione per l’Uguaglianza dei Diritti dell’Unione Africana, la Politica per le Pari Opportunità dell’Unione Africana e il Decennio per le Donne dell’Unione Africana), hanno fornito opportunità significative per la creazione di standard per l’uguaglianza dei sessi e per i diritti della donne. Una mappatura delle politiche e delle leggi che riguardano o influenzano la parità tra i sessi e le donne a livello nazionale è essenziale per assicurare l’appoggio politico che sarebbe mirato alle istituzioni nazionali e dell’intero continente.
L’Unione Africana supervisiona le procedure, per esempio la Commissione Africana per i Diritti Umani e dei Popoli fornisce i mezzi sia per la realizzazione e sia per la creazione di standard per l’attuazione del Protocollo attraverso i commenti dedotti dalla Commissione Africana. Lo sviluppo di capacità mirate a istituzioni a livello nazionale, cioè assemblee nazionali, magistrature, ministeri rilevanti e forze dell’ordine, è importante per la nazionalizzazione e l’attuazione del Protocollo.
Il progresso nell’uguaglianza tra i sessi e gli sforzi delle organizzazioni per le donne, le attiviste e gli accademici che si adoperano per il miglioramento dei diritti delle donne all’interno del continente, non può essere dato per scontato. I modelli legislativi e politici esistenti a livello continentale, nazionale e regionale sono un fondamento cruciale e forniscono un punto di partenza per quello che riguarda le norme sui diritti umani e la trasformazione delle relazioni tra i sessi. Esempi riguardo all’incapacità dei modelli correnti a realizzare una trasformazione dei rapporti tra i sessi sono forniti dai Paesi in cui è avvenuta la nazionalizzazione, l’attuazione e l’applicazione del Protocollo. Il Protocollo fornisce un punto di accesso per le organizzazioni della società civile e per quelle che nello specifico si occupano dei diritti delle donne, impegnarsi con il mondo politico per spingere verso l’adozione di un programma di trasformazione per la nazionalizzazione e l’attuazione del Protocollo.
Questo Protocollo è bellissimo e sancisce dei diritti a cui aderiamo tutti. Purtroppo, non comporta niente che sia già sancito dalle costituzioni nazionali. Tutte le costituzioni africane proclamano uno stato laico, parità tra i cittadini e riconoscono la Carta dei diritti fondamentali dell’uomo delle Nazioni unite. Per molti dei capi di stato africani, questa è pura teoria, nella pratica quotidiana non fanno molto per realizzarli.
Nello stesso Senegal, uno dei paesi più avanzati per i diritti delle donne, soltanto a metà settembre scorso il Presidente Macky Sall ha promulgato la legge sulla parità in materia di trasmissione della cittadinanza. Prima, solo il padre poteva trasmettere la cittadinanza ai propri figli.
Le mutilazioni genitali femminili e l’obbligo del velo in alcuni paesi del nord Africa, sono delle forme di violazioni dei diritti umani da non sottovalutare. Nonostante l’impegno politico sempre più forte, queste pratiche continuano.