Lottare e condividere, questa la vittoria di Federica

Uno si potrebbe chiedere: a che serve vivere due anni in più se poi si muore? A che serve vivere due anni in più sottoponendosi a cure dolorose, a stress inimmaginabili, a paure, ansie, sconforto. Bisognerebbe chiederlo a chi è riuscito a strappare due anni in più alla sua vita. Bisognerre chiedere a questa persona quante gioie, forza, coraggio e soddisfazione ha succhiato in questi due anni. E bisognerebbe chiedere a tutti coloro che hanno potuto vivere questa esperienza insieme alla protagonista che cosa ne hanno tratto.

Chi ha “strappato” due anni in più alla sua vita è Federica Cardia, una donna cagliaritana morta ieri a 30 anni per un cancro al colon. Un cancro diagnosticato due anni fa come incurabile. La cosa più fantastica che a Federica è venuta in mente quando lo ha saputo è stata di non dimenticare chi era, di non dimenticare quello che sapeva fare, di non dimenticare quello che le piaceva fare. Le piaceva comunicare. E così ha “usato” la sua malattia e ha usato la Rete per condividere, raccontare, cercare notizie. Aveva studiato comunicazione e conseguito un dottorato di ricerca in questa materia e da qualche anno si era dedicata alla ricerca sulle nuove potenzialità della Rete nella comunicazione.

È per questo che in Rete ha cercato aiuti (una raccolta fondi per sottoporsi alle costosissime cure), notizie (chiedeva ad altri: fatemi sapere se esistono cure alternative, a chi altro posso rivolgermi), condivisione (storie comuni, link per saperne di più e per coinvolgere altri con lo stesso problema).

Screenshot della Pagina Twitter di Federica Cardia

Tanto vinco io“, questo era il suo grido di battaglia. E a chi dice che la battaglia l’ha persa noi insistiamo nel dire: bisognerebbe chiedere a lei quanto sia stato importante vivere due anni ancora, quanta soddisfazione e gioia abbia provato nel mettersi in contatto con altri e nel dare ad altri speranza e forza.  Non con le parole, ma con i fatti, le notizie, le informazioni.

Tanto vinco io era appunto la sua pagina Facebook. Aperta per dimostrare e mettere in pratica quello che pensava: sia le parole che le esperienze hanno senso quando sono condivise.

La mia iniziativa si inserisce in questo torrente di dati digitali e si configura come uno strumento all’incrocio tra il crowdsourcing (cerco informazioni sulla mia malattia e medici che possano aiutarmi) e crowdfunding (cerco anche un aiuto economico). Mantenendo sempre un mood positivo posso dire che ammalarsi alla mia età può avere un meraviglioso e importante “pro”: noi giovani multimediali, abili “surfers” nel mare di Internet, abbiamo la possibilità di sfruttare quello che di buono la tecnologia ci offre: il potere della condivisione e la possibilità di arrivare in ogni angolo del pianeta con pochi click.

Vi ringrazio per l’attenzione e spero che la mia storia e quella dei miei “compagni digitali” possa rappresentare un punto di partenza per migliorare il corso della storia dell’umanità.

Altro che sconfitta. Federica voleva cambiare il modo di approcciare la malattia, il modo di scoprire a che punto fosse la ricerca scientifica, il modo di trovare “utilità” in qualcosa di così terribile. Il modo di Federica era Internet, questo mondo virtuale che – in casi specifici – può per fortuna diventare così reale. Aveva aperto anche un blog, dove dava aggiornamenti.

Entrare in contatto, cercare contatti, mettere in contatto. Era il suo obiettivo, un lavoro quotidiano. Il suo ultimo post su Facebook è del 3 settembre. La cronaca di una malattia che non era solo catarsi e mascheramento della paura. Era offrire, appunto, il proprio percorso. Per aiutare ed essere aiutata.

Era entrata in contatto con tanti – malati e non – e aveva a sua volta messo in contatto creando fili di amicizia oltre che di conoscenza della malattia. Era una blogger e con le sue informazioni faceva giornalismo. Quello che serve, quello che è utile alle persone. Così segnalava link – come quello al forum Oltre il Cancro – Esperienze di Blogterapia; notizie che riguardavano gli studi sul tumore o il mutato “approccio culturale” nei confronti di questa malattia; ma anche articoli che parlavano di lei – in Italia e all’estero – e articoli da lei pubblicati. Attivismo per sè e per gli altri. I temi che prediligeva quando scriveva sull’Huffington Post erano i bambini, le questioni sociali.

Comunicare, comunicare. Anche dal letto d’ospedale mandando Tweet e foto con Instagram. Usare la Rete per mandare messaggi positivi. Messaggi di “forza estrema”. Perché, come la frase che aveva scelto per la cover del suo Facebook: We can be heroes just for one day! E due anni sono più di un giorno.

 

 

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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