Parole al femminile, no al pregiudizio stampato

Quanto pesano le parole nel far nascere, stimolare e accrescere un pregiudizio? Quanto pesano l’uso di una vocale – la “o” – al posto di un’altra – la “a” – ?

Fermiamoci, appunto, alla questione di genere, che già su questo c’è tanto da dire. Tanto da dire ma poco da scoprire visto che da anni linguisti, sociologi, massmediologi, persone impegnate (oggi si chiamano attivisti) discutono su come l’universo femminile è rappresentato. Nei libri – dai romanzi ai libri di testo – come sui giornali. Sulla tv come sui cartelloni pubblicitari. A riportare in questi giorni attenzione su un dibattito mai sopito è Michelle Bachelet, una delle candidate alla presidenza in Cile, che proprio nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista lamentando il “linguaggio sessista” della stampa.

There’s something sexist about saying that the candidates are two women. Has anyone ever remarked on it when the candidates are two men?

C’è qualcosa di sessista nel dire che i candidati sono due donne. Qualcuno ha mai sottolineato quando i due candidati erano uomini? – ha detto la Bachelet che il 17 novembre sfiderà la rappresentante dell’area di destra, Evelyn Matthei. E si tratterà delle prime elezioni nell’America Latina dove a contendersi la presidenza sono due donne.O meglio le due sono le candidate con maggiori possibilità di vittoria.

Un’uscita, quella della Bachelet, che ci porta ancora una volta a riflettere su quanto sia importante l’uso delle parole. Linguarama, specializzato da anni in corsi di lingua per professionisti  (e non stiamo facendo pubblicità ma lo prendiamo ad esempio) fa notare: Il sessimo è una questione politica. Esso riguarda il linguaggio che decidiamo di usare […] Quando Neil Armstrong mise piede sulla luna disse una frase memorabile: “questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo in avanti per l’umanità.” Se fosse atterrato sulla luna alla metà degli anni ’90 avrebbe usato senza dubbio una frase più “politically correct”: “Questo è un piccolo passo per una persona, ma un grande balzo in avanti per l’umanità.”  Un’espressione meno poetica ma certamente più letteralmente rappresentativa dell’intera razza umana!

Insomma il problema c’è e si vede. Tanto che una volta per tutte, bisognerebbe correre ai ripari. Forse bisognerebbe cominciare dalle cose semplici, come “imparare” a parlare e ad esprimersi evitando frasi che già in sè contengono pregiudizio o, addirittura, facendo degli esercizi di “depurazione” della lingua. Il neutro al posto del solito maschile o l’uso del femminile quando si tratta di una donna a rivestire un incarico o, al contrario, non sottolineare che si tratta di una donna quando viene fatto per un fine sessista. Troppo complicato o troppo “femminista”? Niente affatto, visto che anche una parola – vedi quelle usate da esponenti leghisti nei confronti del ministro (o ministra?) dell’Integrazione, Cécile Kyenge – può incoraggiare la discriminazione e  istigare all’odio e al razzismo.

Foto scattata agli inizi del Novecento nel Queensland, Australia. Credit: Wikipedia

Il linguaggio – e il suo uso – è infatti legato al rispetto per i diritti umani. In questo caso i diritti delle donne. Come sottolineava qualche anno fa la ricercatrice ucraina Alissa V. Tolstokorova, che sulla questione ha pubblicato una serie di studi.

La letteratura anglofona ha dedicato molto spazio al tema “Sessismo nei mass media“, compresa la questione di genere. E in Italia? L’Italia al dibattito ha fatto spesso seguire – a vari livelli – Codici di Autoregolamentazione per controllare o limitare i danni di certi “abusi”, perché di veri e propri abusi spesso si tratta. Il Codice Etico della Rai, il Codice della Pari Opportunità, il Codice di Regolamentazione della Pubblicità Commerciale e avanti così. Per non parlare del CEDAW, la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.

Ma cosa avviene nella realtà? Quello che accade è sotto i nostri occhi. Non saranno le norme a far cambiare le cose. O meglio, queste da sole non bastano se non sono le persone a cambiare. E questo avviene poco a poco. Ci vuole tempo e speranza.

Molto interessanti – per capire lo stato dell’arte – sono gli studi (e le sintesi) condotti da Graziella Priulla, riguardanti “Donne e mass media” e “Linguaggio sessuato“. Un itinerario didattico che varrebbe davvero la pena discutere e analizzare nelle scuole. Così come interessante e portatore di valore è il lavoro del Gruppo Le Voltapagina, undici donne impegnate a combattere pregiudizi, stereotipi, falsità. Anche, e soprattutto, attraverso l’uso della parola.

Il dibattito, e i cambiamenti dicevamo, sono lunghi ma sono in corso. Vediamo cosa verrà fuori dal Global Forum su Media e Genere in programma a Bangkok dal 2 al 4 dicembre 2013, voluto dall’Unesco per favorire una Alleanza Globale su azioni concrete e Piattaforme che già in passato, sulla carta, hanno stabilito la necessità di un percorso che miri all’abolizione delle disuguaglianze di genere. Sui media e nella vita reale. Nei fatti e nelle parole.

 

 

 

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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