Uzbekistan, un Paese ai confini della storia

[Questo breve reportage è stato scritto per Voci Globali da Nuccia Decio, giornalista, studiosa, viaggiatrice e ora impegnata in studi antropologici e emergenze nel mondo. Tra i Paesi visitati l’Africa sub-sahariana, l’India, il Bhutan, l’Iran e, naturalmente, l’Uzbekistan.
Sul suo blog altre riflessioni/approfondimenti].

Uzbekistan, uno dei cinque Paesi dell’Asia centrale. Potremmo definirlo surreale, 29 milioni di abitanti e così inaccessibile e semisconosciuto al mondo esterno, quasi come l’Antartide. Semi sconosciuto e inaccessibile, almeno fino a qualche anno fa, soprattutto a causa dell’isolamento dell’allora Unione Sovietica e della Cina comunista.

E ora, da poco più di dieci anni, meta di migliaia di turisti, attratti da viaggi che conducono a città come Samarcanda, un nome che per molti rimanda solo a una canzone, e che invece è legata alla Via della Seta, alle leggendarie gesta  di Tamerlano, alla sua tomba mausoleo e rimanda alle fantastiche città di  Bukara e Kiva. Ma questo nascente interesse per le bellezze del Paese finisce per distrarre dalla qualità della vita degli uzbeki e dalle questioni civili e dei diritti negati.

In Uzbekistan la fonte primaria di sopravvivenza è il cotone, non a caso definito “oro bianco”. La raccolta è fatta rigorosamente a mano dalle donne e dai bambini. Lavoro minorile, da considerarsi alla stregua di lavoro forzato statalizzato. Accettato e parte del sistema economico del Paese, con uno Stato che obbliga alla raccolta coatta dell'”oro bianco” i suoi cittadini, per non scontentare grandi aziende estere che hanno nell’Uzbekistan il loro maggiore fornitore.

L'autrice del reportage insieme ad alcune raccoglitrici di cotone e bambini costretti a lavorare.

Ma la coltivazione del cotone sta provocando anche molti danni. All’ambiente come alle persone. Nel 1960 il Lago d’Aral aveva una superficie di acqua salata di 67.000 Km quadrati. Ora ne ha circa 25.000, la profondità si è ridotta della metà causando la scomparsa dei pesci. E fra la popolazione che vive attorno al lago sono molteplici i casi di bambini nati con gravi malformazioni genetiche di cui non è chiara la causa, ma – si dice – potrebbe essere legata all’uso di pesticidi e fertilizzanti. Il cotone ha un enorme bisogno di acqua e così, per annaffiare “l’oro bianco”, tutti i corsi d’acqua della regione finiscono per essere svuotati. Per aumentare la produzione le piantagioni vengono trattate con fertilizzanti prima e con pesticidi poi. Chi lavora nel settore, in maniera ancora semi artigianale, ha pensato bene di diluire questi prodotti chimici nell’acqua con cui si irrigano i campi. Il risultato è stato devastante.

Con il passare del tempo fertilizzanti e pesticidi sono arrivati in profondità, raggiungendo le falde acquifere e avvelenando le sorgenti e i fiumi dell’intera regione.  L’abbassamento delle acque dell’Aral ha creato inoltre vaste superfici di terra ricoperte da uno strato di sale. Ad ogni colpo di vento il sale si solleva e si sparge per chilometri, avvelenando altre terre e causando gravi malattie respiratorie alla popolazione.

Durante la mia permanenza in questo Paese, ho incontrato molte donne raccoglitrici di cotone: non vi descrivo le condizioni delle loro mani e del loro viso esposti ad un sole cocente (+ 40 gradi). Ore e ore a raccogliere con la schiena china. La gioia e lo stupore (i turisti non si fermano mai con loro noi…)  che una donna si fosse fermata per loro è stata tale che si sono “concesse” di interrompere il lavoro e mi hanno accolta nelle loro case. Con fierezza mi hanno mostrato i meloni esposti ad essiccare e la conserva dei pomodori per i duri mesi invernali. Poco da offrire, molto da donare!

Donna che fila il cotone. L'oro bianco rappresenta la principale risorsa del Paese, ma alla raccolta si viene spesso obbligati dallo Stato. Vero e proprio "lavoro forzato". Foto di Nuccia Decio ©

Altro delicato argomento riguarda i diritti civili, in particolare la libertà di stampa e di culto. Molti sono i giornalisti dissidenti che periodicamente vengono incarcerati e trattati in modo duro, tanto che la loro condizione è monitorata anche da Amnesty International.
Mamadali Makhmudov, noto scrittore e insignito di numerosi premi, ha scontato 14 anni di carcere duro in condizioni crudeli e inumane per aver praticato “una chiesa non registrata”. Atto considerato un’offesa criminale.

Altro caso: Sergei Kozin, di fede battista, che nonostante appartenesse ad una Chiesa registrata, ha subito una condanna pari al pagamento di una multa di 80 volte il salario minimo. Secondo la polizia aveva ospitato appartenenti ad altre Chiese, quindi una cerimonia contraria alle leggi! Spesso vengono usati “falsi testimoni” soprattutto donne e ragazze, alle quali viene detto che altrimenti saranno costrette a lasciare gli studi.

Un sistema dittatoriale anomalo quello del presidente Islam Karimov, silenzioso e che resiste a forza di clientelismo, familismo e qualche buon rapporto con aree e politici occidentali influenti.
Il futuro del Paese e degli stessi uzbeki non si presenta con buone prospettive. La sua posizione geografica ne fa una pedina importante per lo scacchiere geopolitico nella lotta contro il terrorismo internazionale.

La politica antidemocratica di Karimov attira alcune critiche all’estero ma crea anche un terreno fertile da parte di integralisti islamici, appoggiati da una popolazione ormai esasperata dal clima repressivo e dall’arretratezza economica che attanaglia il Paese.

Anziani uzbeki. Foto di Nuccia Decio ©

Sensazioni, dichiarazioni esplicite o fra le righe, che ho raccolto dai vecchi barbuti che si riuniscono nei cortili delle madrase o delle moschee, più per chiacchierare che per pregare. O a Bukhara, seduta su un divan (panchine tipiche locali) sorseggiando una bevanda fresca, sotto una pianta del tè.

 

One thought on “Uzbekistan, un Paese ai confini della storia

  • Una leonessa che ruggisce, come lei sa fare, alla faccia di quei poveracci – di spirito – che non le (ci) vogliono bene.
    A presto.

    Risposta

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