Edward Snowden, quali le possibili alternative legali?
[Ripreso dal post di Gabriele Battaglia pubblicato su China Files.]
Quali sono le alternative che si pongono di fronte a Edward Snowden, l’ex funzionario della Cia che ha messo a nudo il sistema Prism, diffuso sistema di spionaggio elettronico degli Stati Uniti? Secondo il giornale che ha raccolto le sue ultime rivelazioni, vi sono due possibilità: o chiedere lo status di rifugiato all’Onu; oppure asilo politico a Hong Kong, specificando che se fosse consegnato agli Usa potrebbe essere torturato.
Entrambe le ipotesi non sono però così promettenti. Lo status di rifugiato per interposto Unhcr non sembra infatti garantire automaticamente ospitalità a Hong Kong, dove sarà la locale corte a decidere in ultima istanza. D’altra parte, l’asilo per scongiurare ritorsioni e violenze da parte del Paese che richiede l’estradizione è stato finora concesso in pochissimi casi. Il South China Morning Post, quotidiano della regione amministrativa speciale della Cina da cui Snowden ha deciso vuotare il sacco, riporta che il 29enne “sostiene fortemente l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati” (Unhcr), ma aggiunge che non è chiaro se è proprio lì che andrà a parare.
Se e quando gli Stati Uniti depositeranno la richiesta di arresto e conseguente estradizione al segretario alla Giustizia di Hong Kong, Snowden sarà portato davanti a un magistrato. Gli Usa dovranno in quella sede specificare le accuse contro di lui e mostrare le prove a carico. A questo punto, il chief executive di Hong Kong può decidere se accettare o meno la richiesta e, in tal caso, il governo locale si esprimerà sulla compatibilità della stessa con i propri interessi in materia di Difesa e Politica Estera.
Quindi, e siamo nell’ipotesi che le richieste Usa siano state accolte, Snowden potrà fare ricorso e in tal caso cercherà probabilmente di convincere la corte che le accuse contro di lui sono di natura strettamente politica. Se la corte accetterà la sua versione – dicono gli esperti – nessun governo (né Hong Kong, né la Cina), potrà intromettersi.
In caso contrario, l’ex funzionario Cia potrà comunque ricorrere ad altre tre istanze superiori. Alla fine di tutti i procedimenti, se il giudizio è stato sfavorevole a Snowden, la decisione tornerà nelle mani del chief executive, che può decidere se estradarlo. Ma in tal caso potrebbe ancora intervenire Pechino, qualora vedesse violati i propri interessi in termini di sicurezza interna. Non è tuttavia chiaro cosa potrebbe accadere a questo punto, visto che la mini-costituzione di Hong Kong garantisce indipendenza giuridica alla corte locale.
Snowden avrebbe comunque la possibilità di ricorrere ulteriormente, chiedendo una revisione e, in caso, la ripetizione del processo d’appello.
Va detto che anche il dipartimento di Giustizia Usa può fare ricorso in caso di giudizio che scagionasse l’ex dipendente dell’intelligence. Tutta la trafila può richiedere anche anni. Così diversi osservatori spiegano la scelta di Hong Kong da parte di Snowden che, ricordiamolo, vi si è trasferito appositamente dalle Hawai a fine maggio.
Qual è il posto – deve esserci chiesto – in cui posso avere le garanzie di uno Stato di diritto e dove, al tempo stesso, la Cia non può venire a prendermi? Deve esserselo chiesto soprattutto dopo aver preso nota della fine di Bradley Manning – il militare Usa, fonte di Wikileaks, incarcerato e fatto sparire dalle proprie democratiche istituzioni – e Julian Assange – che di Wikileaks è il fondatore e front man – attualmente rifugiato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, dato che la democratica Gran Bretagna rischia di spedirlo a Washington via democratica Svezia. Ecco dunque la scelta dell’ex colonia britannica, alias “un Paese due sistemi”: tradizione giuridica anglosassone ma, di fatto, territorio cinese.
C’è poi un’interpretazione più politica: Hong Kong ha una lunga tradizione di ospitalità nei confronti dei perseguitati politici, specialmente quelli continentali, che dall’ex colonia britannica continuano spesso a condurre le proprie battaglie pro-diritti in Cina (basti ricordare i rifugiati post-Tian’anmen). Può ora rifiutarsi di proteggere un transfuga dagli Usa? Può applicare una legge dei due pesi e due misure così oltraggiosa nei confronti di Pechino? Può permettersi di affrontare una probabile sollevazione della propria opinione pubblica interna?
A questo punto tutto sembrerebbe dipendere da Pechino, dove i media hanno dato ieri per la prima volta notizia di tutta la vicenda, ricordando che la Cina, contrariamente a quanto sostiene Washington, “è la maggiore vittima dello spionaggio informatico condotto da altri Paesi”. In Rete, i netizen cinesi si sono per lo più scandalizzati verso “l’ipocrisia Usa”, mentre le istituzioni mantengono il basso profilo. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha detto di “non avere notizie” sull’eventuale estradizione, mentre la televisione di Stato Cctv ha commentato che Snowden “ha rischiato la propria vita per esporre l’ipocrisia degli Stati Uniti”.
La sensazione è che, a parte la simpatia diffusa per il giovane ex funzionario Cia, sul piatto della bilancia ci siano considerazioni di tipo diverso.
Innanzitutto, pesa lo status specifico della regione amministrativa speciale: secondo un analista cinese anonimo, che ha parlato al South China Morning Post, Pechino non può dare ufficialmente istruzioni al governo di Hong Kong perché “sarebbe ritenuto inappropriato in base al principio di un Paese, due sistemi”.
Poi c’è il Risiko politico-diplomatico. Da un lato, la Cina non vuole perdere l’occasione per andare ulteriormente a fondo sulle rivelazioni circa le attività di spionaggio statunitense e, al tempo stesso, non può dare la sensazione di cedere a eventuali pressioni di Washington. D’altra parte, la realpolitik impone però di non rovinare i “rapporti cordiali” appena istituiti con gli Usa grazie alla visita di Xi Jinping in California. Se potesse, la leadership cinese si farebbe probabilmente togliere le castagne dal fuoco (e il “whistle-blower” da Hong Kong) da qualche Paese amico, magari la Russia di Putin.