[Nota: questo articolo è stato scritto da Sara Verderi, ricercatrice indipendente e traduttrice laureata in Lingua e Letteratura Araba all’Università di Bologna. Si legga anche questo suo precedente articolo scritto per Voci Globali.]
Due settimane fa mi sono recata al Cairo in occasione di un workshop dal titolo “Donne, Cultura e la Rivoluzione del 25 gennaio 2011” organizzato dall’Università di Manchester e dall’Università ‘Ayn alShams del Cairo. La prima sessione dello stesso workshop, a cui ho preso parte con un paper dal titolo “Donne scrivono la Rivoluzione in Siria”, si è tenuta a Manchester nel novembre 2012; la seconda, lo scorso marzo, ad ‘Ayn alShams, una delle università più conservatrici del Cairo che per la prima volta nella sua storia ha ospitato un simposio sulla Rivoluzione. Questo fatto ci fa capire il grado di apertura e democratizzazione delle istituzioni accademiche operato dall’ultima rivoluzione egiziana.
“Donne e attivismo politico in Egitto” il tema di questo workshop, nonché dei numerosi contributi di ricercatori, accademici e studenti, mentre a Manchester il dibattito si è concentrato sulle “Donne come artisti, scrittrici e la cultura delle resistenza”. Questa serie di incontri organizzati dalle due Università con il patrocinio del CBRL Research Support si sono concentrati sul ruolo delle donne nella Rivoluzione Egiziana, con lo scopo – afferma una delle organizzatrici, Dott.sa Dalia Mostafa – “di creare una teoria dal di dentro e non aspettare che venga da fuori”.
Arrivando al Cairo, in prossimità di Piazza Tahrir c’è una protesta ma senza canti né contenuti politici, qualcuno accende dei falò e dà fuoco alle tende stanziate in piazza, i passanti non prendono parte alla protesta e rimangono a osservare ai lati delle strade adiacenti. La Rivoluzione vissuta dal di dentro, come ben ho appreso nella mia esperienza in Siria o, in questo caso la post-rivoluzione, pur non essendo deprivata del suo aspetto glorioso e romantico assume tutte le fattezze di una realtà densa e angosciante, fatta di incertezze in una società tutta da ricostruire.
Siamo stati accolti all’Università da un team di studenti-receptionist che ci hanno assistito senza riposo con un ospitalità calorosa durante tutti i tre giorni rimanendo ai nostri occhi una presenza discreta e quasi invisibile. A volte la risposta agli interrogativi si trova sotto gli occhi e non si riesce a vedere. Dopo un intenso dibattito a cui hanno preso parte accademici e studenti da tutto il mondo nonché alcune giovani scrittrici egiziane come Mona Prince e Donia Kamal, il momento più importante è arrivato all’ultima ora della terza giornata. Quegli stessi studenti che ci avevano così gentilmente accompagnato da una stanza all’altra dell’Università, quasi presenze discrete e invisibili hanno preso il palcoscenico per dare vita a quella che è stata la loro Rivoluzione, la Rivoluzione dei giovani egiziani.
Le studentesse Gehad Minshawy e Mai Hassan Ali hanno emozionato il pubblico con una canzone dal titolo Yohka ‘Anna, ovvero “Si dice di noi” [cfr sopra] che parla del passato coloniale egiziano, palestinese e iracheno e del sentimento di riscatto storico dato dalla Rivoluzione. Poi è arrivato il video della studentessa Mina Wilson [riportato in fondo al post] che non ha bisogno di presentazioni ma che sicuramente riesce a testimoniare la coscienza di genere delle donne egiziane rivoluzionarie e della grandiosa esperienza che hanno vissuto da protagoniste nel gennaio 2011 e oltre.
Queste testimonianze valgono più di ogni dibattito accademico perchè ci insegnano e trasmettono il vero tesoro della rivoluzione egiziana, fatto di colori e gioia e che, nonostante il senso di incertezza, può offrire anche possibilità infinite per le nuove generazioni.