[Nota: traduzione a cura di Emanuela Ciaramella dall’articolo originale di Ulrich Beck. Immagine di copertina di Demotix/Nikolas Georgiou, Teatro politico a piazza Syntagma, Atene.]
La crisi europea è stata analizzata nel’ottica delle istituzioni politiche, dell’economia, delle élite, dei governi, del quadro legislativo, ma non dal punto di vista dei cittadini comuni. Che significato assume l’Europa per i suoi cittadini e quali principi si possono formulare sulla base di ciò per la definizione di un contratto sociale che promuova una nuova Europa dal basso?
Più libertà grazie a un’Europa cosmopolita
L’Europa non è una comunità nazionale e non può neppure diventarlo, perchè è composta da collettività nazionali democraticamente costituite. E in questa prospettiva nazionale non può definirsi neanche una società.
La “società” europea va piuttosto concepita come “società cosmopolita di comunità nazionali”. Il compito, dunque, è trovare una forma di Unione Europea che, attraverso i suoi punti di forza comuni, dia a ciascun soggetto, a livello di ogni società nazionale, protezione legale valorizzando e consolidando al tempo stesso la libertà di ogni cittadino, con l’unione di individui di lingua e cultura politica differente.
In ogni parte d’Europa, i giovani sono consapevoli che, sebbene la cultura del proprio Paese di provenienza sia importante e costitutiva della loro identità, non è tuttavia sufficiente per comprendere il mondo che li circonda. I giovani vogliono conoscere altre culture perché hanno chiaro che le questioni culturali, politiche ed economiche sono strettamente connesse alla globalizzazione.
In questo senso, i giovani vivono la società europea in termini di “doppia sovranità”, come la somma di opportunità di sviluppo nazionali ed europee. Inoltre, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, parlando della loro identità I giovani non la definiscono come uin’identità europea a sé stante. Nessuno si considera un Europeo e basta. I giovani si identificano prima di tutto con la loro nazionalità.
Ciò significa che il loro vissuto è quello di un’Europa cosmopolita in cui le differenze e gli antagonismi nazionali diventano sempre più sfumati; in definitiva, grazie a questo suo carattere cosmopolita, l’Europa genera maggiore libertà.
Perché allora, nel dibattito in atto sulla crisi dell’Euro e dell’Europa, il vissuto individuale è praticamente assente? Il motivo fondamentale è che l’integrazione europea è principalmente pensata, non solo in termini politici ma anche accademici, come orientata in una prospettiva monodimensionale istituzionale.
L’integrazione europea è vista come un processo verticale che – dall’alto verso il basso – coinvolge le istituzioni europee e gli Stati nazionali. In quest’analisi non trova posto il tema di come I singoli individui vivano l’Europa.
Europeizzazione coincide quindi, da un lato, con la formazione delle istituzioni sovranazionali (organi pubblici come la Commissione, l’Unione economica ecc.) e, dall’altro, le ripercussioni di questo processo di formazione istituzionale sugli Stati – per esempio, l’adeguamento delle istituzioni e delle norme nazionali alle linee guida europee. Vista così, l’europeizzazione verticale si limita ad essere un’integrazione a livello istituzionale che coinvolge soltanto gli Stati. In quest’ottica, “la casa d’Europa” non concepisce l’esistenza degli individui. Non è abitata da nessuno. E l’assurdità di questa visione è che non se ne accorge nessuno!
Meno incertezze grazie a un’Europa sociale.
Allo stesso tempo la società europea degli individui è plasmata dai rischi del capitalismo, il quale da una parte disgrega il tessuto morale, le forme di appartenenza e di sicurezza sociale, e dall’altra genera nuovi rischi.
I cittadini non dovrebbero percepire i rischi globali, soprattutto quelli legati alle banche e agli Stati minacciati dalla bancarotta, come pesi da portare sulle proprie spalle. In questi tempi incerti, affinchè ciò che rimane dell’Europa possa meritare il nome di “Comunità Europea”, serve una riforma della sicurezza sociale, sia in termini programmatici che di garanzie. Il concetto auspicabile di “Comunità Europea” rappresenterebbe non solo l’esperienza della libertà e della massimizzazione del rischio; non solo un’Europa epicurea, ma anche un’Europa sociale!
Qualunque contratto sociale mirato a coinvolgere gli individui nella causa europea deve porsi una domanda: come si fa a riconcettualizzare l’utopia realizzabile della sicurezza sociale senza finire, come sta invece accadendo, per imboccare uno di questi due vicoli ciechi: la nostalgia per il tradizionale welfare nazionale, o lo zelo riformatore neoliberista orientato al sacrificio? Come si quadra il cerchio fra una politica europa elevata al rango di transnazionale e la necessità di vincere le elezioni nazionali?
Più democrazia grazie a un’Europa del cittadino
La fondazione di un nuovo contratto sociale europeo non consiste, come sosteneva Rousseau, in una volontà generale che trascende gli interessi individuali e diventa pertanto assoluta.
Piuttosto, è il riconoscimento di come le vecchie istituzioni considerate eterne stiano invece collassando, e che non ci sono risposte pronte per indirizzare le questioni biografiche e politiche in un’Europa degli indvidui – e che questo non è un difetto ma consente invece un surplus di libertà.
La società europea, concepita in questo modo, è un laboratorio di idee sociali e politiche, di cui non esiste al mondo forma analoga. Ciò che conta in un contesto di politiche su vasta scala come nella vite individuali, è svelare futuri alternativi e quindi, con spirito di curiosità e sperimentazione, superare la paura del passato e rispondere efficacemente ai rischi del presente.
Il progetto europeo – fare dei nemici dei vicini di casa – rischia di fallire. Molti europei si sentono come Helmut Kohl, che dell’attuale cancelliera tedesca ha affermato: “Quella ragazza sta distruggendo la mia Europa”, e non sopportano l’egemonia culturale degli euroscettici, reclamando: smettete di lamentarvi!
In questo momento decisivo, Helmut Schmidt, Jürgen Habermas, Herta Müller, Senta Berger, Jacques Delors, Richard von Weizsäcker, Imre Kertész e molti altri stanno facendo appello alla necessità di mettere da parte l’Europa delle empty pieties, l’Europa senza gli europei, a favore della costruzione di un’Europa con i piedi per terra, un’Europa dei cittadini, un’Europa dal basso non solo in parole ma nei fatti , “facendo l’Europa”.
Loro pensano a un anno di volontariato europeo per consentire a tutti, non solo alle generazioni più giovani e alle élite scolarizzate, ma anche ai pensionati, ai lavoratori dipendenti e ai disoccupati, di costruire l’Europa anche un po’ dal basso, in un altro Paese e in un’altra regione linguistica (cfr Manifesto ‘Noi siamo l’Europa!‘). Non si tratta di attività destinata ad assicurare i fondamentali dell’esistenza, ma di una modalità d’azione mirata alla partecipazione politica e alla formazione che possano creare unione e coesione nell’Europa dei cittadini.
Una primavera europea?
In sintesi: il malessere è radicato nel fatto che abbiamo un Europa senza europei. Ciò che manca, l’Europa dei cittadini, può svilupparsi solo dal basso.
Come possiamo risvegliare l’Europa e la sua coscienza sociale e ambientale e trasformarla in un’Europa ampia, anzi, in un movimento globale di protesta che unisca gli arrabbiati greci, i disoccupati spagnoli e le classi medie che stanno sprofondando nell’abisso – dando così forma all’entità politica necessaria per l’attuazione di un contratto sociale?
Chi potrebbe dar vita a una primavera europea? Coloro che formano le nuovi classi a rischio, come chi non può permettersi l’assicurazione sanitaria, o le cui prestazioni pensionistiche sono state tagliate, o coloro che devono ricorrere a prestiti per poter studiare. Non gli inutili, né gli esclusi, né le classi più deboli, ma i singoli cittadini dalla classe media europea che protestano nelle piazze d’Europa, come già stanno facendo ad Atene, Madrid, Roma e Francoforte.
Quale potrebbe essere la forza di tale movimento europeo? La crisi dell’euro ha spogliato l’Europa neoliberale della sua legittimità. Il risultato è un’ asimmetria tra potere e legittimità. C’è un eccessivo potere e una carenza di legittimità sul lato del capitale e degli Stati, e un’opposta carenza di potere insieme una forte legittimità sul lato dei contestatori.
Questo è uno squilibrio che il movimento potrebbe usare per riuscire a conquistare le istanze fondamentali – ad esempio, una tassa globale sulle transazioni finanziarie – in un illuminato interesse proprio degli Stati nazionali e contro la loro stessa chiusura mentale, e per l’Europa. Un’esemplare, legittima e potente alleanza tra i movimenti di protesta e l’avanguardia degli architetti nazionali dell’Europa potrebbero attuare insieme questa “Robin Hood tax”; un’alleanza che sia in grado di effettuare un balzo politico in un sistema nel quale gli attori statali avrebbero la possibilità di agire a livello transnazionale, sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali.
L’intuizione che segue può essere utile contro ogni tentativo di respingere questa idea come priva di speranza: gli avversari principali del settore finanziario globale non sono coloro che stanno protestando nelle piazze e davanti alle cattedrali della finanza, per quanto importanti e indispensabili possano essere. L’avversario più convincente e tenace del settore finanziario globale è – il settore finanziario globale stesso.
Un ringraziamento a Davide Galati per il cortese lavoro di supervisione
“L’Europa di Kubrick”
Machiavelli e Pessoa per dislocare l’utopia
Il perché la “casa d’Europa” non concepisca l’esistenza degli individui può trovare qualche risposta in questo articolo di Barbara Spinelli.
Come si legge in calce, l’articolo riproduce parte di una lezione tenuta di recente dalla giornalista e scrittrice all’Università di Padova.
Segnalo
Giovedì 9 maggio ore 21 – Società Umanitaria – Milano
Elido Fazi e Gianni Pittella a Milano per
“Breve storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa”
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=JXstHJj90rk
intervengono
Piero Amos Nannini – Presidente della Società Umanitaria
Franco D’Alfonso – Assessore al Comune di Milano
Dario Di Vico – Editorialista Corriere della Sera
Moderatore Dario Carella – Vice direttore Tg Regionali Rai