Trattato sul commercio delle armi, un completo successo?
Neanche una settimana di vita e il trattato multilaterale Onu che regola il commercio delle armi ha già una pagina dedicata su Wikipedia.
Il 2 aprile 2013, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a maggioranza (154 voti a favore, tre contrari e 23 astenuti) il testo che vieterà agli Stati la compravendita di armi convenzionali ai Paesi sottoposti a embargo e che violano i diritti umani, oppure, in cui ci siano rischi che vengano commessi crimini di guerra.
Dopo sei anni di negoziazioni diplomatiche e altri dieci di mobilitazione della società civile, scrive Oxfam France, “le Ong plaudono al risultato storico ottenuto in seguito all’accordo degli Stati membri”. Oxfam e Amnesty International, insieme ad altre organizzazioni non governative, avevano lanciato la campagna Control Arms nel 2003 – per l’Italia “ControllArmi” – e nel 2006 era stata fatta anche una petizione che spinse 153 Stati membri a iniziare a elaborare all’Onu un progetto di trattato. Anna MacDonald, responsabile Oxfam della campagna internazionale per il controllo delle armi, dichiara:
Per la prima volta, abbiamo un trattato internazionale che vincola giuridicamente e permette di regolare il commercio più letale al mondo, quello delle armi. L’adozione di un trattato sul commercio delle armi invia un messaggio chiaro ai mercanti d’armi, ai signori della guerra e ai dittatori, per i quali è suonata l’ora. Non potranno più operare e acquisire armi nell’impunità. Avranno gli occhi del mondo puntati su di loro e dovranno rispondere delle loro azioni.
Brian Wood, direttore del Programma Controllo delle armi e diritti umani di Amnesty International, dice:
Il mondo aspettava da tempo questo storico trattato. Dopo una campagna durata lunghi anni, la maggior parte degli Stati ha detto sì a un trattato che potrà impedire l’afflusso di armi verso paesi in cui saranno usate per commettere atrocità. Nonostante il tentativo, vergognosamente cinico, di Corea del Nord, Iran e Siria di affossare il trattato, una schiacciante maggioranza di paesi ha mostrato un rumoroso sostegno a un trattato che salverà vite umane e che pone al centro la protezione dei diritti umani.
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon evoca “un successo diplomatico storico” e auspica “dopo questo impulso positivo, altri sforzi di disarmo”.
Tra i promotori del documento ci sono i Paesi che più si sono impegnati nel Programma per il disarmo: Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. E in particolare, il voto favorevole degli Usa, di solito reticente a tutto ciò che può limitare il commercio delle armi, segnala la svolta che il presidente Barack Obama sta imprimendo anche nel mercato delle armi interno al Paese.
Ora però, il Trattato dovrà superare un altro passaggio importante, quello della ratifica da parte degli Stati, procedura che inizierà il 3 giugno prossimo. E qui, minimo, occorreranno due anni, dal momento che entrerà in vigore subito dopo la 50ma ratifica.
“E’ essenziale che tutti gli Stati che hanno sostenuto il Trattato – dichiara Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne e Cittadinanza Attiva di Oxfam Italia – incluso il nostro paese, procedano speditamente alla sua ratifica. Per questo chiediamo al Parlamento Italiano, sovrano su questi temi, di dare priorità alla ratifica del trattato e alla sua attuazione con i più alti standard possibili: solo così sarà possibile farlo entrare in vigore prima possibile.”
Ma non è sempre oro ciò che luccica.
Secondo il giornalista e attivista politico francese Thierry Meyssan, al di là delle “fiere dichiarazioni dei Paesi che speravano di convincere le rispettive opinioni pubbliche sul fatto che essi non agiscono mai contro la pace, mettendo in risalto il voto contrario dei loro avversari, i Paesi da sempre demonizzati: Corea del Nord, Iran e Siria”, ci sarebbe un’altra verità.
“Il Trattato sul commercio delle armi è la legge suprema del capitalismo” scrive in un articolo, e sottolinea che tre quarti del commercio mondiale di armi leggere sono controllati da sei Stati produttori”. In molti si chiedono, se in effetti i Paesi che sono produttori di armi, sottoscriveranno un trattato che di fatto ne limita il loro commercio.
“In definitiva” – conclude Meyssan,
questo progetto di trattato è nato morto, anche dopo esser stato ratificato, non sarà applicabile. La Cina e la Russia hanno rifiutato di aderire al cartello militare-industriale occidentale.
Secondo i dati che il Sipri ha pubblicato recentemente, il volume di transazioni del commercio di armi convenzionali nel mondo è stimato tra i 70-80 fino a 100 miliardi di dollari ogni anno. Con un aumento globale avvenuto negli ultimi 10 anni del 17%.
Nel Trattato appena approvato, però, sarebbero evidenti contraddizioni e limiti. E Philippe Leymarie, su Monde Diplomatique li enumera: il fatto che tra i Paesi che si sono astenuti, si trovano soprattutto quelli emergenti, tra cui esportatori (Russia e Cina) e importatori (Egitto, India e Indonesia). Tra le armi convenzionali non in elenco ci sono gli equipaggiamenti destinati alle forze dell’ordine, i mezzi di trasporto (e i blindati) dell’esercito, i droni e munizioni varie. Il testo non parla esplicitamente della consegna delle armi agli “attori-non statali” (come i ribelli ceceni o siriani). Francia e Regno Unito hanno sì votato a favore, ma il mese scorso avevano dichiarato di voler violare l’embargo imposto dall’Unione Europea per fornire armi ai ribelli siriani. Inoltre, il Trattato si concentra sul commercio illecito, piuttosto che limitare il commercio “legale”.
In Italia il commercio delle armi non conosce crisi, secondo una ricerca realizzata nel 2011 dalla Facoltà di Economia dell’Università degli studi di Urbino per conto dell’Associazione nazionale produttori Armi e munizioni. Nel belpaese ci sarebbero quattro categorie di imprese, ne fanno parte: 233 aziende produttrici di armi, munizioni e componenti munizioni (la maggior parte concentrate in provincia di Brescia), 179 fornitori specializzati di componenti per armi, 500 fornitori generici e altri servizi, 1.352 imprese dei settori ausiliari. Oltre tre miliardi di export due anni fa.
Ammesso che la crisi abbia inciso in qualche modo, il nostro Paese rimane nella top ten dei maggiori gruppi industriali militari.
Inoltre, la spesa militare italiana è imprecisata, per via degli spezzettamenti nei vari dipartimenti, scrive il Sipri. Per effetto delle manovre per ripianare il debito di Stato, le spese militari nel 2012 ammontavano a 23 miliardi. Tanti, ancora troppi per le associazioni dei pacifisti.
A fronte di tutto ciò alcuni opinionisti italiani prevedono che non ci saranno difficoltà nella ratifica del Trattato, ma che l’accordo non fermerà la vendita di armi perché si presta a clausole di varia interpretazione e punti aleatori.
La strada verso il disarmo è ancora tutta in salita.