I limiti del “grande balzo in avanti” delle donne cinesi

[ Ripreso, non integralmente, dal post originale di Enrica Bovetti pubblicato su China Files: riteniamo interessante questo excursus storico sulla condizione femminile in Cina a trent’anni dalla fine del maoismo. Con riferimento all’attualità più recente, sul tema si legga anche questo post sulla nuova first lady Peng Liyuan.]

Nell’analizzare il percorso della nazione cinese verso la trasformazione in un paese moderno forte e “nuovo”, è impossibile trascurare l’evoluzione della figura della donna e, soprattutto, del suo ruolo nella società.

Le discussioni riguardo ai diritti delle donne furono, alla loro nascita, profondamente legati alla situazione economica e politica della Cina. L’oppressione delle potenze straniere, la guerra contro il Giappone del 1895 e la repressione della Rivolta dei Boxer nel 1900, portarono alla nascita di esigenze riformiste in seno al governo della dinastia Qing. Il termine nüquan, “diritti della donna”, emerse proprio in tale ambito, insieme alla promozione dei “diritti naturali” (tianfu renquan) e dei “diritti civili”(minquan). I movimenti femministi formatisi in questo periodo, si fecero portavoce di tali diritti e del concetto di “uguaglianza tra uomo e donna” (nannü pingdeng).

Nei primi decenni del Novecento il diritto all’educazione, all’indipendenza economica e alla partecipazione politica per le donne, si presentava come obiettivo comune sia delle attiviste legate ai gruppi femministi, sia di molti intellettuali e riformisti. Perché la Cina potesse superare la crisi politica causata dal dominio delle potenze colonialiste e dal crollo dell’impero (1911), si doveva trarre ispirazione dall’esempio occidentale e progredire verso la tanto agognata modernità, che il modello confuciano non poteva garantire.

La figura della “donna nuova” (xin nüxing) nacque in tale ambito, come emblema di una nuova Cina opposta alla vecchia Cina confuciana, considerata inadeguata a rappresentare un paese competitivo a livello internazionale. Questo genere di idee fu portato avanti dal Movimento di Nuova Cultura (1915-1924) e dal Movimento del Quattro Maggio scoppiato nel 1919, da cui emersero molti intellettuali che nel periodo successivo divennero attivi nel Partito Comunista Cinese (Pcc), nato nel 1921.

I leader comunisti inizialmente mostrarono un genuino interesse verso le istanze femministe. Molte donne aderirono con entusiasmo al nuovo partito, che sosteneva l’uguaglianza tra i sessi e l’importanza della partecipazione delle donne nella politica e nell’economia.

La conversione al marxismo alla fine degli anni Venti, portò la leadership del partito a leggere in chiave socialista i dibattiti sul ruolo della donna nella società, e a identificare l’emancipazione del sesso femminile come parte integrante della lotta di classe. Le attiviste che si opponevano alla convergenza degli interessi delle donne con quelli del partito venivano, nella maggior parte dei casi, accusate di tendenze “borghesi” (zichan jieji). Si venne ben presto a tracciare una forte linea di demarcazione tra il “movimento borghese femminista” (zichan jieji nüquan yundong) e il “movimento proletario di emancipazione femminile” (wuchan jieji funü jiefang yundong).

Secondo il Pcc, dunque, la rivoluzione proletaria costituiva il presupposto essenziale per raggiungere la vera liberazione della donna: nessuna idea in contrasto con queste condizioni poteva essere accettabile. Da quel momento le politiche che il Pcc portò avanti riguardo alla questione femminile si concentrarono sul raggiungimento dell’uguaglianza tra uomo e donna.
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Nel 1958 il Pcc lanciò il Grande Balzo in Avanti (1958-1961), con l’obiettivo di trasformare la Cina in una forte potenza industriale socialista e superare, nel giro di pochi anni, la produzione delle più avanzate nazioni occidentali. Per raggiungere tale obiettivo l’intera popolazione cinese fu mobilitata in particolare nelle campagne, dove si concentrava la maggior parte della manodopera e dove un aumento massiccio della produzione agricola doveva fornire il surplus fondamentale per lo sviluppo industriale del paese.

[…]  Con l’inizio del Grande Balzo in Avanti, circa il 90 percento delle donne cinesi fu coinvolto in attività e lavori fuori dalle mura domestiche, andando a ricoprire ruoli in precedenza di competenza esclusivamente maschile. Secondo la propaganda diffusa dal Pcc tra il 1958 e il 1960, l’entrata di massa delle donne nel settore industriale e in particolare in quello agricolo, poteva garantire loro indipendenza economica e, dunque, una vera emancipazione.
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Nonostante il forte appello al lavoro, però, i discorsi ufficiali del Pcc continuarono a sostenere l’importanza del ruolo tradizionale di mogli e madri, ponendo la maternità e la protezione della salute procreativa della donna al centro della costruzione socialista. Seguendo una tradizione consolidata nella cultura cinese, il partito promosse la pubblicizzazione di modelli che, a seconda del messaggio politico che si voleva trasmettere, dovevano fungere da esempio per la popolazione intera o per un determinato gruppo sociale.
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Il sogno di prosperità e ricchezza delineato dal Pcc durante il Grande Balzo in Avanti, però, andò a scontrarsi con la realtà. Sebbene l’entrata nel comunismo auspicata da Mao Zedong con la costruzione delle comuni avrebbe dovuto garantire cibo in abbondanza, il Grande Balzo in Avanti fu la causa di una delle più terribili carestie della storia dell’umanità. […]

Le lunghissime ore trascorse nei campi, le scarse attenzioni dedicate alla tutela della salute delle lavoratrici e l’inadeguatezza dei servizi collettivi che avrebbero dovuto garantire alle donne la liberazione dai lavori domestici, si posero in netto contrasto con i messaggi lanciati dal Pcc […]. La fede cieca nel pensiero di Mao e nelle politiche del Grande Balzo in Avanti, poi, contribuì alla formazione di episodi di radicalismo politico tra diverse attiviste a capo di squadre di produzione. Il superamento dei propri limiti, il raggiungimento ad ogni costo dei target di produzione imposti dal governo centrale e il disinteresse per la tutela del corpo femminile, erano alla base di questo tipo di idee, che portarono patimenti e sofferenza a moltissime donne.
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Nell’approfondire i meccanismi di partecipazione nella costruzione socialista, le fonti su cui si basa la ricerca hanno permesso di dedicare maggiore attenzione alle condizioni di vita nelle aree rurali. Gli studi principali condotti in Occidente sul Grande Balzo in Avanti dagli anni Settanta, infatti, si concentrano soprattutto sulla situazione della popolazione contadina. Prima di tutto, la maggior parte dei cinesi risiedeva nelle aree rurali ed era dedita alle attività agricole e contadine, da sempre una risorsa fondamentale della nazione.

In secondo luogo, nelle campagne cinesi le innovazioni e i terribili effetti del Grande Balzo in Avanti furono vissuti con maggiore intensità. Le interviste condotte da Gail Hershatter e Kimberley Ens Manning, ad esempio, aiutano a comprendere la situazione delle donne residenti nei villaggi rurali durante il periodo maoista. […]

La carestia e i gravi effetti del Grande Balzo in Avanti, in precedenza argomento tabù nella Cina continentale, hanno cominciato a diventare dunque oggetto di discussione da parte degli studiosi e dei giornalisti cinesi. La possibilità di accedere a documenti prima impossibili da consultare, ha permesso, inoltre, di analizzare gli anni del Grande Balzo in Avanti da diversi punti di vista. In “The Great Famine in China”, pubblicato nel giugno del 2012, Xun Zhou rende disponibili in traduzione inglese documenti provenienti da numerosi archivi locali, relativi al periodo compreso tra il 1957 e il 1961. Si tratta, per lo più, di rapporti compilati da quadri di partito locali sulle condizioni di profonda sofferenza vissute dalla popolazione rurale durante la carestia. Fonti come queste ci danno l’opportunità di commentare con maggiore precisione le profonde contraddizioni esistenti tra propaganda e realtà e di individuare i limiti evidenti della “liberazione” della donna cinese promessa dal Pcc.

*Enrica Bovetti  è nata a Mondovì, in provincia di Cuneo nel 1988. Si è laureata in Lingue e Culture dell’Asia Orientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nel 2013, con una valutazione di 110 e lode. Il materiale per la stesura della sua tesi magistrale “Il Grande Balzo in Avanti delle Donne Cinesi” è stato in larga parte raccolto durante un periodo di studio a Parigi tra il 2011 e il 2012. E’ interessata in particolare alla storia contemporanea e al cinema della Repubblica Popolare Cinese.

[La foto di copertina è di Federica Festagallo.]

 

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