Gli aiuti cinesi all’Africa: luci e ombre di un modello di sviluppo
[ Ripreso dal post originale di Nicola Cabria, tesista presso l’Università di Pisa, pubblicato su China-Files]
Fra i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), paesi emergenti che si stanno ritagliando ruoli sempre più importanti all’interno dello scacchiere politico ed economico mondiale, la Cina è quello che in veste di donatore di aiuto allo sviluppo risalta di più. Questo importante ruolo recitato dal Paese orientale è sotto gli occhi di tutti e una conseguenza diretta di questo protagonismo è osservabile nella rinnovata attenzione che il mondo accademico e politico rivolge al Paese asiatico.
Con questa ricerca si tenta di analizzare il Ciclo dello Sviluppo della Cooperazione della Cina in Africa e quindi evidenziare le caratteristiche peculiari dell’attore Cinese nella sua veste di donatore.
La mia attenzione è stata fin da subito rivolta alla ricerca e definizione delle peculiari caratteristiche progettuali e valutative del sistema Cinese. A questo proposito in questa tesi si dà particolare rilievo alle fasi di programmazione, progettazione, valutazione del Ciclo dello Sviluppo, mentre per quanto concerne la fase di gestione è analizzata solo nei suoi aspetti generali.
Molte delle pratiche adottate dalla Cina risultano essere differenti rispetto a quelle più studiate e conosciute degli attori aderenti al Development Assistance Committee (Dac) del Organization of Economic Cooperation and Development(Oecd). Speriamo che questo lavoro possa contribuire a comprendere se le osservazioni preoccupate in merito al rinnovato protagonismo cinese in terra africana, esternate da alcuni soggetti appartenenti al Dac, siano vere o meno, e quindi se la Cina sia davvero una minaccia per il sistema di Aiuto allo Sviluppo internazionale.
Per raccogliere le informazioni necessarie abbiamo consultato molto materiale in lingua inglese, in quanto la bibliografia esistente in merito in lingua italiana, risulta essere scarsa e comunque non specifica circa l’argomento trattato.
A fronte di questa relativa scarsità di informazioni ho ritenuto necessario intraprendere un viaggio in Sud Africa, paese che ospita alcune delle istituzioni di ricerca più competenti in materia di Aiuto allo Sviluppo Cinese in terra Africana. Questo viaggio mi ha portato nel Centre for Chinese Studies (CCS) della Stellenbosch University e nel South African Institute of International Affairs (Saiia) della Witwatersrand University di Johannesburg.
In queste sedi abbiamo potuto conoscere e lavorare a stretto contatto con alcuni esperti nello studio di questo settore, che ci hanno indicato materiali e documenti da analizzare e persone da intervistare. Di seguito, per far comprendere al lettore quali sono state le linee guida della ricerca, presentiamo le domande che ho sviluppato e sottoposto a tutti coloro che ho contattato nel corso dei mesi di ricerca:
– Quale è la metodologia che la Cina usa per la progettazione? Ad esempio, usa l’Approccio del Quadro Logico/ProjectCycle Management o altra metodologia?
– Quali linee-guida/manuali utilizza la Cina per la progettazione? Che lei sappia questi manuali sono accessibili al pubblico? Se si, lei sa indicarmi dove potrei procurarmene una copia?
– Con quali istituzioni internazionali o Organismi Non governativi collabora la Cina?
– Esiste presso il Ministero degli Affari esteri cinese un Nucleo o Unità di valutazione? Con quali funzioni?
– Quali linee-guida/manuali sono utilizzati dalla Cina per la valutazione. Se si, lei sa indicarmi dove potrei procurarmene copia?
– Sono venuto a conoscenza, attraverso la lettura del White paper on China-Africa economic and trade cooperation pubblicato nel 2010 dall’ufficio informazioni del Consiglio di Stato Cinese che esistono dei criteri per effettuare la valutazione. Lei saprebbe indicarmi un documento che illustri tali criteri?
– Le valutazioni sui progetti di sviluppo cinesi sono pubblicate? Se sì, lei sa dirmi come potrei avere acceso ai risultati?
– Quali pubblicazioni o documenti che illustrano le attività di progettazione, svolgimento di progetti cinesi potrei consultare secondo lei?
– Vi sono delle persone o enti che a suo avviso potrebbero fornirmi informazioni ulteriori riguardanti tali argomenti?
A fronte della specificità delle domande presentate ai miei interlocutori, si deve sin da subito informare il lettore che buona parte di esse sono rimaste inevase. Le possibili motivazioni che hanno portato a questa penuria di risposte dettagliate in merito sono due:
– l’effettiva assenza di materiale in lingua inglese prodotto da fonti ufficiali e non, riguardante le tematiche sopracitate; – l’effettiva novità della ricerca da me effettuata concernente un ambito specifico dell’Aiuto allo Sviluppo Cinese ancora non molto analizzato a livello accademico.
Mentre i paesi Dac sono dotati di strutture istituzionali specifiche adibite all’Aiuto per lo Sviluppo (Aps), che si sono consolidate nel corso dei decenni, da un’analisi approfondita dei documenti ufficiali provenienti dal governo cinese in materia di Foreign Aid (così la Cina è solita riferirsi in lingua inglese agli interventi di Aps) si direbbe che il paese asiatico si trovi ancora in una fase di elaborazione e definizione della struttura istituzionale migliore e delle regole più valide per il corretto funzionamento del proprio apparato di Foreign Aid .
Nessun paese si può sviluppare solo grazie all’Aps che gli viene elargito dai paesi donatori, infatti l’Aps può essere un incentivo, una spinta propulsiva, ma il vero sviluppo deve essere endogeno, e basarsi sulle forze interne allo Stato beneficiario, gli interventi di aiuto in questo senso possono risvegliare energie sopite, migliorare sistemi inefficienti o addirittura costruire le condizioni per lo sviluppo. Quindi l’obiettivo dello sviluppo è in primis rendere i paesi beneficiari liberi dalla necessità di essere aiutati, e quindi autosufficienti e in grado di percorrere il proprio sentiero di sviluppo secondo le scelte delle proprie popolazioni.
Almeno nei documenti ufficiali, sembra che uno degli obiettivi della Cina sia proprio questo, il principio della self-reliance, sostenuto dal donatore cinese,è teso alla costruzione di quelle capacità endogene del paese beneficiario affinché esse risultino protagoniste della crescita. La Cina, in un’ottica definibile del do ut des, elargendo Foreign Aid coltiva i propri specifici interessi nazionali, basando così il proprio sistema di Aiuto allo Sviluppo sul principio della win-win cooperation.
E’ evidente che il sistema di Foreign Aid cinese sia dotato di proprie peculiari caratteristiche che lo differenziano dai sistemi degli attori aderenti al Dac/Oecd. La Cina in effetti è al contempo un Paese beneficiario e un Paese donatore. Questo doppio ruolo ricoperto dall’attore asiatico è alla base del suo approccio. La Cina rivendica l’appartenenza alla categoria dei Paesi in Via di Sviluppo, inscrivendo così il proprio Aiuto nei confronti dei paesi Africani nella categoria della South-South Cooperation.
Le caratteristiche che rendono il sistema cinese così fascinoso agli occhi dei Paesi africani risultano essere le stesse che alcuni donatori tradizionali percepiscono come minacce. I Paesi Dac/Oecd lamentano che molti dei loro sforzi nel campo dei diritti umani, della buona governance e della sostenibilità ambientale, vengono messi a rischio dall’atteggiamento cinese. Questa posizione è comprensibile poiché la Cina non pone condizioni specifiche di intervento per salvaguardare o tutelare gli sforzi fatti e i miglioramenti conseguiti dall’Aiuto Dac/Oecd in merito a queste tematiche.
L’attore asiatico, per giustificare le proprie scelte sembra nascondersi dietro ai principi di eguaglianza fra Stati sovrani, di non interferenza negli affari interni di un altro Stato, di libertà nella scelta del sentiero di sviluppo più appropriato. Non si vuole giustificare la Cina, però ritengo doveroso ricordare che buona parte degli Stati che oggi sono pronti a puntare il dito contro i sistemi adottati dal Paese asiatico nel continente africano, sono gli stessi che abbandonavano le proprie colonie non più tardi di cinquanta anni fa, credo quindi sia opportuno mantenere un certo equilibrio quando si affronta questo argomento. A questo proposito non nego che ci siano degli aspetti deplorevoli per quanto concerne l’attività di aiuto implementata dalla Cina in Africa, quali:
-l’utilizzo dei propri progetti di Aiuto quali avamposti per la penetrazione commerciale delle proprie compagnie nei Paesi africani;
– l’utilizzo di manodopera cinese per effettuare progetti di Aiuto in Paesi africani con tassi di disoccupazione molto elevati;
– l’acquisto di ingenti porzioni di territorio africano (landgrabbing) per la coltivazione di alimenti per soddisfare le crescenti domande provenienti dal mercato interno cinese,
– la carente osservanza dei diritti dei lavoratori all’interno dei propri progetti di sviluppo.
A fronte di questo elenco non esaustivo, riteniamo opportuno evidenziare come alcune delle accuse rivolte alla Cina siano esagerate, molte volte frutto di una carenza di informazioni precise e dettagliate che crea e alimenta situazioni di allarmismo, che sfociano in grandi campagne pubbliche prive di reale fondamento. Questa carenza di informazioni è strutturale, frutto del sistema cinese stesso, che è molto chiuso e poco trasparente. In effetti la Cina in qualità di donatore non condivide dati certi e resiste allo sforzo armonizzatore, che sta coinvolgendo tutti i maggiori donatori internazionali.
Questa carenza di informazioni è direttamente connessa all’assenza di un sistema di valutazione organico al sistema di Foreign Aid, l’assenza di una istituzione unica che produca valutazioni e monitoraggi standardizzati affievolisce l’impatto sociale ed economico della stessa assistenza cinese. La mancanza di un sistema di valutazione diviene un peso sia per il Paese donatore sia per i Paesi beneficiari, poiché senza la pratica valutativa viene a mancare il processo di apprendimento, gli errori commessi continuano a perpetuarsi e i fattori di miglioramento non vengono organicamente integrati nel sistema.
E’ altresì inefficace valutare l’azione dell’Aiuto allo Sviluppo Cinese attraverso i criteri di valutazione occidentali, in quanto risulta chiaro che l’efficacia di un progetto di sviluppo dipenda molto da quale sia l’obiettivo del progetto, se l’obiettivo specifico di un progetto cinese è di migliorare le relazioni di amicizia fra due Stati, la soddisfazione delle esigenze del Paese beneficiario in questo senso sarà la priorità, e quindi anche la costruzione di uno stadio in un Paese in cui non ci sono nemmeno le fognature, potrebbe avere un suo senso.
La certezza è che i Paesi africani vedono nella Cina una nuova via, una nuova opportunità, estranea a quella fornita dai Paesi e istituzioni Dac/Oecd. La Cina diviene un’alternativa che non impone condizioni politiche ed economiche e che apparentemente lascia nelle mani dei Paesi africani la scelta circa il sentiero di sviluppo da adottare.
Questo tipo di ragionamento focalizza l’attenzione sui governi e sulle società civili dei Paesi africani, sono loro che devono diventare protagonisti del proprio sviluppo, e quindi imporre alla Cina degli spazi definiti entro cui muoversi. Troppe volte il Paese asiatico sfrutta la carenza di norme dei Paesi beneficiari per trarre vantaggi per le proprie compagnie e per i propri lavoratori.
I rapporti sino-africani, come abbiamo visto, sono sviluppati a livello governativo, di conseguenza le società civili africane restano totalmente estranee alle scelte, che anzi subiscono passivamente.
Per l’Africa dovrebbe essere una buona cosa che nuovi attori (Brics) si affaccino sul suo territorio per cercare di creare sviluppo ove questo è assente. Non crediamo che l’aiuto allo sviluppo cinese sia completamente sbagliato. La non interferenza negli affari interni degli altri Stati se legata a dei principi etici di salvaguardia dei diritti umani, delle minoranze e dell’ambiente, potrebbe essere un insegnamento anche per i Paesi donatori Dac/Oedc. Anche la rinnovata attenzione cinese nei confronti di progetti infrastrutturali è un campo in cui i paesi Dac/Oedc dovrebbero riprendere a elargire aiuti e implementare programmi.
Purtroppo troppe informazioni circa le metodologie di progettazione e valutazione usate dalla Cina rimangono oscure, è quindi necessario comprendere di più circa il nuovo protagonismo di questo attore che come abbiamo visto nuovo non è. Vi è la necessità di una maggiore trasparenzada parte del donatore cinese proprio per inserirlo all’interno di quel percorso di armonizzazione dei sistemi di aiuto che vede gli attori Dac/Oecd impegnarsi molto. E’ importante che anche il sistema cinese si doti di un sistema di valutazione che permetta, e all’apparato di Foreign Aid stesso,e ai Paesi beneficiari, di comprendere se e dove siano stati commessi degli errori e quindi permettere di rimediare e imparare dagli sbagli commessi.
Credo altresì, che siano gli Stati africani a dover diventare protagonisti del proprio sviluppo e che debbano essere loro a mettere un freno alle pratiche cinesi che considerano nocive per i propri Paesi. Il rinnovato protagonismo africano potrà e dovrà mettere la Cina nelle condizioni di doversi dotare di sistemi progettuali e valutativi più trasparenti. L’agenda politica deve tornare nelle mani dei Paesi africani che in alcuni casi rimangono schiavi della volontà di attirare investimenti e interventi di sviluppo a tutti i costi. A questo proposito gli Stati africani dovrebbero utilizzare gli strumenti di cui si sono già dotati quali l’Unione Africana e il Nepad, quali organi in cui discutere e trovare una linea politica comune da adottare, e da far valere nei rapporti bilaterali che contraddistinguono le relazioni sino-africane.
La Cina ha sin qui dimostrato di sapere chiaramente che cosa vuole dall’Africa ma siamo sicuri che gli Stati africani sappiano davvero che cosa vogliono dalla Cina?
* Nicola Cabria nicoola.cabria[@]libero.it ha ottenuto un diploma di maturità scientifica, laurea triennale in Cooperazione e Sviluppo Internazionale presso l’Università di Bologna, Laurea Specialistica in Scienze per la Pace: Cooperazione allo Sviluppo, Mediazione e Trasformazione dei Conflitti presso l’Università di Pisa, voto finale 110/110 Cum Laude.
** Questa tesi è stata discussa presso l’Università di Pisa: relatore prof. Rossi Massimo, correlatore prof.ssa Maria Donata Rinaldi