Libertà clandestina, le feste proibite dell’Iran
Nota dell’autore: per proteggere le persone incontrate, nomi o qualsiasi riferimento che possa ricondurre ai personaggi di questo articolo sono stati cambiati.
“Tutto è possibile qui, se sai come farlo.”
Questa è la frase con cui i ragazzi iraniani affrontano la vita, il regime, le proibizioni e i divieti. Questa è la frase che vi sentirete ripetere ogni volta che chiederete di poter fare qualcosa di illecito qui.
Qui la gente sfida il governo ricercando quelle libertà che noi in Europa abbiamo e viviamo come un diritto, troppo spesso dimenticandone il valore.
La musica di qualsiasi genere, che non sia quella tradizionale o approvata dal governo, è proibita. Youtube, Google, Facebook, Twitter, feste, alcol, la possibilità di vestirsi come si vuole, prenotare una camera d’albergo tra fidanzati: impossibile!
Se non sai come fare…
L’appuntamento è alle 22.00, accedere o avere la possibilità di andare a una delle feste clandestine di Teheran è stato più facile del previsto.
Tramite “amici di amici” sono riuscito ad ottenere un invito, uno solo, per me, altri miei amici iraniani non sono stati ammessi: “non ci si può fidare di tutti” mi dicono.
Così io e Majid, il mio contatto, arriviamo in taxi in una zona residenziale e periferica di Teheran, la strada è buia e comincia a fare freddo, vediamo due ragazze avvicinarsi a una porta, indossano un cappottino lungo sotto il quale spuntano dei tacchi vertiginosi.
“Aspettiamo che arrivi ancora gente” mi dice Majid, “vieni, facciamo un giro.”
“Cosa succede esattamente lì dentro Majid? Come fai ad avere accesso a questa festa?” Gli chiedo.
“Teoricamente, amico mio, potrei essere sempre presente a qualsiasi festa, basta avere i contatti giusti, tutto è possibile in Iran se sai come farlo.
Anche alcol e droga sono distanti solo una telefonata, vedrai, forse nemmeno in Europa hai mai visto una festa così spinta, ragazze seminude e divertimento.”
“Ma non avete mai paura che vi arrestino?”
“E’ difficile da spiegare, nel senso, sì, siamo preoccupati ma non più di tanto.
Per l’Islam ciò che accade tra le tue quattro mura riguarda solo te, non possono fare irruzione in casa, a meno che non si disturbino i vicini, in quel caso possiamo avere problemi.
A volte capita che la polizia ci aspetti fuori per controllare se siamo ubriachi o no, per questo molti di noi preferiscono rimanere a dormire alle feste fino alla mattina successiva.”
“E se vi beccano fuori?”
“Beh, in quel caso ci portano in galera per un paio di giorni, dopo averci dato 80 frustate.
Io non sono mai stato beccato, ma a quanto pare se ti penti e chiedi scusa dicendo che non lo farai mai più, il numero di frustate si abbassa.”
Ci avviciniamo alla porta, Majid chiama qualcuno con il cellulare e dopo pochi secondi la porta si apre, è una palazzina ben tenuta, moderna, ed invece di salire verso gli appartamenti prendiamo le scale che ci portano allo scantinato, superiamo un’altra porta ed entriamo in una stanza grande circa 100 metri quadri.
Ci accoglie una ragazza in minigonna e vestito scollato salutandoci con un bacio (cosa che in pubblico è vietata) la musica si alterna tra house e rock e tutti vogliono conoscermi.
Sono l’unico straniero all’interno della festa, una sorta di ospite d’onore, e sono molto curioso di sapere cosa accade.
In ogni festa e in ogni casa dove si vuol bere, l’alcol viene comprato illegalmente o molto più spesso, come in questo caso, lo si prepara in casa.
Lo chiamano vodka, in realtà è un fortissimo distillato che ricorda la nostra grappa, i ragazzi lo mischiano con bevande gassate per ottenerne un cocktail e “il barista” della situazione ci tiene assolutamente a sapere il mio parere.”
“Ti piace ?” Mi dice, “sai bisogna preparare i drink con cura, se sbagli causi molti problemi, ogni anno in Iran abbiamo un numero altissimo di gente che perde la vista o si ammala gravemente per aver bevuto alcol puro o distillato male, a questo porta la proibizione, quando lo capiranno?”
La festa si scalda, le ragazze pochissimo vestite si scatenano in balli sempre più spinti, spogliandosi e scomparendo con dei ragazzi in angoli bui della stanza baciandosi e toccandosi, Majid è uno di loro.
Nella festa saremo in tutto una cinquantina di persone.
Un uomo corpulento si avvicina per parlarmi, è vestito alla moda con una camicia aperta ed un paio di grandi occhiali alla Elton John, in un perfetto inglese mi chiede:
“Hai visto che festa? Ho vissuto in Inghilterra per anni ma feste come quelle di Teheran non le ho mai viste da nessuna parte, questa è bella anche se piuttosto tranquilla, in alcune gira anche la cocaina o altre droghe ed allora si trasformano in veri e propri rave party.
“Sai è incredibile, in Europa tutti hanno immagini di Iraniani che bruciano bandiere americane, vestono in chador e poi? Guarda qui”, gli rispondo.
“Sì lo so, ci vedete come 75 milioni di Ahmadinejad, quello stupido ed ignorante fantoccio, ma lui non c’entra niente, è solo un pupazzo, sono i leader religiosi o chissà chi altro dietro di lui a condurre il gioco.
In che Paese potresti vietare la musica rock?” mi dice mimando un assolo di chitarra mentre in sottofondo c’è un pezzo dei Nirvana.
La festa raggiunge il suo culmine alle 2 di notte, le pareti sono piene di cartoni di uova che insonorizzano parzialmente i muri, tutti hanno trovato un compagno o una compagna, tutti ridono e dimenticano per una notte i divieti, il regime.
Un uomo sembra nervoso e si rivolge a me dicendomi: “tu vivi il mio sogno in Europa, sei libero di viaggiare, di venire qui ed andartene quando vuoi, il mio Governo non mi fa nemmeno fare domanda per il visto, ma chi se ne frega no? Va bene così, non mi importa.” Subito dopo mi chiede scusa per essere così ubriaco.
Passiamo la notte nello scantinato, la padrona di casa ci offre delle coperte e ci mostra alcune brandine e dei materassi sopra il tappeto sul pavimento.
Il mattino, dopo il risveglio e un thè caldo, usciamo a coppie o uno alla volta, le ragazze si riannodano i veli sulla testa, cambiano le scarpe e rimettono le lunghe mantelline.
Il barista mi chiede ancora alcuni pareri su come poter fare il vino o altri liquori dicendomi che proverà alcuni dei miglioramenti che gli ho consigliato.
L’uomo con cui avevo parlato la sera prima ci invita a colazione per un Kale pache (cioè la testa della pecora di cui vengon mangiati occhi e collo) e mi dice: “mi raccomando, per tutto quello che ti ho detto ieri notte, non fare assolutamente mai il mio nome, è molto pericoloso per noi.
Non possiamo fidarci nemmeno degli amici perché chiunque qui può denunciarci per aver parlato male dei leader o aver trasgredito, ci riesce molto meglio parlare con voi stranieri. La paura peggiore che il governo potesse diffondere è questa, aver paura di poter parlare con i tuoi amici, con i tuoi cari.”
Ho parlato con quasi tutti i ragazzi e le ragazze alla festa e, a parte poche eccezioni, quasi tutti sognano di andare via, cosa non facile qui.
Se non si può dimostrare al regime di avere qualcosa per cui tornare o forti mezzi economici è molto difficile ottenere un visto anche turistico.
Sono stato in altre feste e concerti clandestini durante questo periodo, in tutti si respira quella splendida voglia di evasione di questi ragazzi che per una sera immaginano di essere in un altro luogo dove tutto è possibile.
Le nuove generazioni usano software pirata per aggirare i filtri governativi su Internet, trovano scantinati per suonare o ascoltare la propria musica o semplicemente incontrarsi per un bacio vietato in pubblico.
A differenza di quello che l’Occidente crede, l’Iran è un paese davvero tranquillo (se non si trasgrediscono in pubblico le regole del regime), accogliente con quasi completa assenza di microcriminalità. L’Iran ha uno dei tassi più alti di istruzione e vanta i migliori professionisti al mondo in chirurgia ed ingegneria ma questo Paese, dopo la rivoluzione (1979), si trova a vivere in una realtà che non gli appartiene e che soprattutto il resto del mondo non gli riconosce.
Durante le molte interviste in Iran ho sempre chiesto a tutti: “se ci fosse la possibilità, quale sarebbe il primo cambiamento che vorresti vedere? Il passo da cui cominciare per una nuova nazione?”
Che il luogo dell’intervista fosse una metropoli o un piccolo villaggio tradizionalmente religioso, tutti mi hanno dato la stessa risposta: “la possibilità di dire quello che pensiamo senza aver paura di essere denunciati, arrestati, uccisi, esprimere la nostra opinione!”
Dichiarate queste cose, ognuno di loro si raccomandava di non fare il proprio nome, terminava lo sfogo e tornava ad indossare il velo di proibizionismo che maschera la voglia di libertà.
Splendido. E interessante, come sempre. Non c’è che da sperare che, dall’alto o dal basso, si trovi una via per liberarsi da veli e maschere imposte, per scegliere liberamente quali veli contano e si vogliono conservare. E quali far cadere.