Celebrare la pace pensando (e facendo) la guerra. È l’ostinato paradosso dei nostri tempi. Dove le parole vanno in una direzione e i fatti nell’altra. Il 21 settembre è la giornata dedicata alla pace, l’International Peace Day, evento istituito dalla Nazioni Unite nel 1981. L’obiettivo: diffondere un’idea e una cultura di pace, tra gli Stati così come tra i singoli individui. Questo quanto dichiara la risoluzione dell’ONU che ha stabilito la giornata della pace.
Peace Day should be devoted to commemorating and strengthening the ideals of peace both within and among all nations and peoples…This day will serve as a reminder to all peoples that our organization, with all its limitations, is a living instrument in the service of peace and should serve all of us here within the organization as a constantly pealing bell reminding us that our permanent commitment, above all interests or differences of any kind, is to peace.
Il Giorno della Pace ha lo scopo di commemorare e rafforzare gli ideali di pace tra le Nazioni e i popoli… Questo giorno servirà a ricordare a tutti che la nostra organizzazione, pur con tutti i suoi limiti è lo strumento – oggi a nostra disposizione – al servizio della pace. Questa giornata dovrebbe servire a tutti noi che operiamo all’interno di questa organizzazione come un continuo richiamo per ricordarci che il nostro impegno costante, al di sopra di interessi o differenze di ogni sorta, è rivolto alla pace.
Eppure quanti conflitti, quanti stermini l’Onu non è riuscito ad evitare. La Bosnia e il massacro di Srebrenica; la guerra in Somalia e l’inutilità della missione Restore Hope; il genocidio in Rwanda nel ’94 sotto gli occhi dell’UNAMIR. E ora la Siria. Missioni fallite a causa delle particolari regole di ingaggio dei peacekeeping e la reiterata questione: “possono i caschi blu usare la forza?“; a causa del potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: USA, Cina, Regno Unito, Francia, Russia; a causa di equilibri e alleanze che incidono sulle scelte dei Grandi e sul destino delle persone.
È per questo che tante missioni di pace si sono rivelate un disastro. Ed è per questo che ricordare la pace in un giorno speciale dell’anno potrebbe apparire come la commemorazione di un defunto. Decine sono i conflitti in corso nel mondo, conflitti che coinvolgono 59 Stati e 360 tra milizie-guerriglieri, gruppi separatisti e gruppi anarchici. Un impatto devastante sulle vite umane, ma anche sull’ambiente, gli animali, le risorse naturali. Del resto, perché si dovrebbe fare la pace se produrre e vendere armi è così redditizio? “Il commercio internazionale degli armamenti è valutato annualmente oltre i 350 miliardi di dollari e causa, con le sole armi leggere, più di 300.000 morti all’anno“.
Ma nonostante questo e le numerose campagne organizzate a favore del disarmo, si è concluso con un nulla di fatto la Conferenza delle Nazioni Unite per il Trattato sul commercio di armi. Le spese militari, secondo le analisi del SIPRI, ammontano a 1.630 miliardi all’anno, contro i 44 miliardi impegnati per i Paesi nelle aree in via di sviluppo, i 2.7 miliardi spesi dall’ONU per la pace, la sicurezza, lo sviluppo, questioni umanitarie, diritti umani e il rispetto delle leggi internazionali e soltanto 0.67 miliardi per il disarmo e la non proliferazione. E mentre scriviamo, parliamo, ci indignamo, la cifra della spesa militare aumenta di secondo in secondo.
Per fortuna ogni realtà contiene in sé tremila aspetti, e anche la speranza. Nonostante gli “insuccessi” e le forti contraddizioni dell’ONU, non va comunque sottovalutato il valore di missioni ancora in corso, non deleterie come quelle ricordate sopra. O almeno ancora da valutare nel loro complesso. Ma soprattutto non va sottovalutato l’altro messaggio lanciato in occasione dell’International Peace of Day. “Questa – si legge nella nota di presentazione – è anche la giornata del Cessate il Fuoco. Un cessate il fuoco personale e politico“.
Un invito a fare la pace all’interno delle proprie relazioni quotidiane e a riflettere sul valore della pace e su cosa questa significherebbe non solo il 21 di settembre e non solo nella nostra vita, ma nei giorni dell’umanità. Tutti i giorni. Un’utopia che non può stancarci.