[Nota: Traduzione di Manuela Beccati, dall’articolo originale di Omid Memarian, pubblicato su openDemocracy]
Nei prossimi giorni, le Nazioni Unite ospiteranno a New York Mahmoud Ahmadinejad per l’annuale visita in veste di presidente dell’Iran – l’ultima occasione, dal momento che dopo le elezioni di giugno 2013 sarà in carica il suo successore. Molta attenzione, ovviamente, sarà focalizzata sulle ambizioni nucleari e il pericolo di un attacco armato contro l’Iran. Ma è importante anche considerare la situazione attuale all’interno del Paese, incluso il livello di diritti umani, un problema che è stato via via omesso da quando sono dilagate le proteste contro la vittoria elettorale di Ahmadinejad nelle elezioni del giugno 2009.
I media ufficiali iraniani passano abitualmente notizie sulla scoperta, da parte dei servizi segreti di regime, di reti criminali internazionali e di complotti antigovernativi scellerati. I titoli mostrano che si tratta di una vittoria delle forze di polizia, qualcosa di cui tutti gli iraniani devono andare fieri; ma leggendo più avanti, sono difficili da trovare prove di comportamenti illeciti – chi viene arrestato è preso di mira a causa delle sue idee e identità e si tratta di intellettuali, laici, cristiani evangelici o membri della minoranza religiosa Bahá’í, gay, femministe o comunisti.
I funzionari governativi e i media sponsorizzati dallo Stato accusano abitualmente quei gruppi che non gradiscono, di commettere crimini e di essere una minaccia per la sicurezza. Nel corso degli anni, di rado è stato dimostrato che queste imputazioni fossero vere, ma gli iraniani hanno anche la tendenza a non contestare queste fandonie. Oggi un cambiamento culturale è visibile, dal momento che nelle discussioni all’interno della società civile sui diritti umani, vengono sempre più contestati i vecchi luoghi comuni.
Cambiano le opinioni
Un segnale degno di nota, ad esempio, è il marcato aumento nelle discussioni degli iraniani di argomenti che prima erano tabù come la fede bahai. La propaganda del governo contro i baha’i – il più grande gruppo religioso non musulmano nel Paese – descrive ogni legame a questa comunità come se fosse un “problema di sicurezza”, ma due episodi di rilievo hanno consentito un dibattito più aperto sui diritti umani.
Il primo si è verificato quando Shirin Ebadi, l’avvocato premio Nobel, ha assunto il caso dei sette dirigenti baha’i che erano stati arrestati nel 2008. Ciò ha sollevato un’ondata di attacchi contro Ebadi da parte dei media vicini al potere, ma ha gettato anche le basi per il dialogo sociale, soprattutto nel web. Il secondo episodio riguarda le attività degli studenti che sono stati espulsi dalle università. Questi giovani, ad alcuni dei quali era stata negata l’istruzione superiore a causa del loro attivismo politico e ad altri per le loro credenze religiose (come nel caso della Baha’i), si sono alleati per condurre una campagna per i loro diritti.
L’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema è stata così elevata che Mohammad Javad Larijani, il rappresentante governativo al Consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, ha pubblicamente negato che i baha’i siano discriminati in Iran e ha riferito al Consiglio che tutti loro hanno accesso all’educazione e ad altri diritti. Il fatto stesso che un funzionario governativo abbia nominato pubblicamente i baha’i è stata di per sé la rottura di un tabù radicato, e un riflesso di quanto il dibattito pubblico si sia spostato a loro favore. Il risultato è stato che sempre più giornalisti e analisti iraniani hanno iniziato a parlare pubblicamente dei diritti dei baha’i.
Un altro tema proibito di cui gli iraniani hanno iniziato a parlare è quello sui diritti dei gay, cosa del tutto inaudita fino a pochi anni fa. Rimane ancora un argomento non troppo dibattuto, ma è entrato lentamente nelle conversazioni della società civile iraniana. Ciò ha costretto il Governo a riconoscere l’esistenza di persone omosessuali nel Paese.
Il presidente Ahmadinejad dichiarò, nel discorso ufficiale, tristemente famoso, del 2007, che in Iran non c’erano omosessuali. Adesso, però, l’opinione sta cambiando, e l’Iran ha iniziato lentamente a riconoscere l’omosessualità – sebbene tipicamente in un contesto non favorevole ai diritti dei gay (per esempio, tra i criteri per l’arruolamento nei militari in Iran, un articolo prevede che vengano esclusi dal servizio gli omosessuali).
Una voce nuova
Negli ultimi vent’anni, dozzine di detenuti hanno scritto lettere di critica al leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei. Più recentemente, i prigionieri politici iraniani hanno scritto lettere aperte destinate ai loro connazionali e hanno reso pubbliche le lettere personali destinate alle loro consorti. Missive che sono state poi raccolte e trasmesse in tivù e sui network satellitari. L’attenzione del pubblico per queste lettere ha “umanizzato” i prigionieri, ha spinto al dibattito sull’attuale situazione politica e ha minato la versione ufficiale data dal regime sui diritti umani.
Gli attivisti, gli avvocati, i giornalisti e le famiglie dei detenuti hanno usato il potere di Internet – inclusi i blog, agenzie di stampa online e social network – per amplificare il dibattito pubblico sulle violazioni dei diritti umani e perciò diffondere consapevolezza e certezze. Gli effetti hanno provocato una sempre maggiore disponibilità a correre dei rischi e a sfidare le autorità nelle sedi internazionali. Inoltre, tutto ciò ha contribuito al fallimento della diplomazia iraniana sui diritti umani alle Nazioni Unite.
Per esempio, i cittadini iraniani che hanno subito violazioni dei loro diritti umani mentre vivevano in Iran si sono resi disponibili a testimoniare di fronte a Ahmed Shaheed, relatore speciale per le Nazioni Unite sui diritti umani in Iran, e questo è stato fondamentale per consentire di scrivere, pochi mesi fa, una relazione completa e affidabile sulla questione. Ciò è dovuto anche alla pressione sul Governo iraniano da parte degli organismi per i diritti umani dell’Onu, tra cui il Consiglio dei diritti umani dell’Alto commissariato per i Diritti Umani.
Queste tendenze sono emerse dopo l’ondata di repressione seguita alle controverse elezioni del 2009 e dimostrano un crescente spirito indipendentista nella società civile iraniana, e un intensificarsi della lotta contro lo Stato in materia di diritti umani. I cittadini iraniani stanno dando voce a chi la voce non ha, affrontando le questioni in precedenza considerate tabù, e soprattutto stanno facendo in modo che diventi sempre più difficile da parte del presidente Ahmadinejad ignorare impunemente la questione dei diritti umani.
Durante la sua visita a New York, la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, deve dimostrare la propria solidarietà verso i pionieri attivisti della società civile iraniana ritenendo il presidente responsabile del record negativo di persecuzioni di molti cittadini.