Quella che segue è l’esperienza di Elvira Simoncini. Esperta di radio e informatica, Elvira si dedica da anni all’attività di volontariato in Africa, svolgendo progetti a carattere sociale.
Sono stata in Togo lo scorso novembre Avevo preso questa decisione solo alcuni giorni prima parlandone e coinvolgendo, come sempre, anche la mia famiglia e spiegando perché desideravo andare proprio lì. In realtà c’ero già stata, nel 2001, a seguito della Caritas di Gorizia che appoggiava la decisione del vescovo Giuliano di installare nella sua parrocchia di Atakpamè, una radio privata. La “Virgo Potens” nacque non solo con l’obiettivo di comunicare con i fedeli ed esser loro vicino con la preghiera, ma come strumento educativo in grado di accompagnare la loro giornata e la loro vita familiare.
Da tempo pensavo di ritornarvi perché mi sembrava di aver lasciato qualcosa in sospeso, di aver visto e non aiutato abbastanza, di aver ricevuto tanto e dato poco. Il cuore mi chiamava verso quei luoghi dove avevo trovato un sistema di vita semplice e pieno di gioia di vivere, anche nella povertà. Ricordavo l’accoglienza ricevuta, le mani tese non per chiedere, ma solo per stringere la mia in un gesto di vera fratellanza.
Mi ero stupita del loro modo di sorridere, dall’allegria che traspariva dai loro occhi, nonostante non avessero granché. Dov’era il segreto di tanta gioia? Senza contare che nel 2005 c’era stata una sanguinosa guerra civile che aveva aggiunto povertà e lutti, costringendo la gente a fuggire da quella violenza rifugiandosi in Ghana e in Benin.
In quel Paese, dunque, sono tornata. Quando sono atterrata a Lomé era notte fonda. Ricordavo il piccolo aeroporto, quel caldo umido che ti investe e ti avvolge, quei profumi notturni e il silenzio: il nervosismo del viaggio, dovuto a questo passo verso una realtà che dovevo ancora finire di scoprire, è passato per incanto e da quel momento ho respirato solo pace.
Lomè, la capitale del Togo, è un immenso porto che si affaccia sul golfo di Guinea. La città è ospitale e la gente operosa vive una povertà estrema con dignità, cercando nel commercio una forma di guadagno che permetta di vivere alla giornata. Il reddito medio è di soli venti euro al mese, la prostituzione delle bambine e la tratta dei bambini sono alcuni dei mali che affliggono questa piccola Repubblica.
Il commercio è da sempre la principale fonte di guadagno, basti ricordare che nei secoli scorsi le donne togolesi si imbarcavano per l’Europa per comprare e ordinare i tessuti su disegni da loro proposti. Precorritrici inconsapevoli della imprenditorialità femminile…
A Lomè avevo in mente di visitare anche la scuola di Giorgio Lolli, un bolognese che vive in Africa da circa 36 anni. Ha una ditta d’installazioni di radio private FM a diffusione rurale, nella sua “scuola” insegna ai ragazzi, tra le altre cose, a capire come funziona e si ripara un trasmettitore e come si costruiscono e si ergono i tralicci per le antenne. Tutto questo senza l’aiuto di libri di testo, ma solo con la pratica quotidiana nel piccolo laboratorio che ha allestito a misura per i giovani.
Quando ci sono stata io, c’erano una decina di ragazzi provenienti da vari stati africani. A tutti Giorgio offre vitto e alloggio. Non chiede soldi, gli basta che i ragazzi mostrino interesse per il lavoro che stanno apprendendo e la voglia di crearsi una competenza che potrebbe, in futuro, aprirgli la strada nel mondo del lavoro.
Non è un corso vero e proprio, non è una scuola riconosciuta, non saprei come definirla direi che assomiglia di più a una “missione” o a “una famiglia”. Guardando quei ragazzi e la loro voglia di apprendere, guardando quelle larghe strade di sabbia piene dell’allegria dei bambini, mi chiedevo cosa si può fare per aiutare la crescita di quella comunità: fare senza restare vittima del solo fare. Non un gesto dettato da una risposta emotiva, ma di una condivisione costante e un impegno che duri nel tempo. Non beneficenza occasionale, ma un legame tra comunità. La progettazione ha bisogno di informazioni e di risposte, di studio e attenta analisi del territorio, di risorse umane ed economiche, di impegno serio e responsabile.
È sulla scorta di queste riflessioni che ho cominciato ad informarmi sui sistemi scolastici locali, pubblici e privati e, soprattutto, sulle iniziative del Governo per favorire la scolarizzazione delle bambine emarginate per motivi socio-culturali e religiosi.
Quante volte sono rimasta seduta sulla soglia di casa per vedere passare bambini in divisa scolastica color sabbia, ordinati e seri con i loro zainetti sulle spalle, che si recavano a scuola la mattina presto. Ma tanti restano per la strada e non frequentano la scuola. La grande povertà, la mancanza di continuità nei piccoli guadagni giornalieri è forse la prima causa che impedisce alle famiglie di mandare a scuola tutti i loro figli, solo i meno poveri sono i “privilegiati” e possono ricevere un’istruzione. Si tratta di cifre modeste per noi, del costo di un caffè quotidiano. Eppure non dovrebbe essere il costo ad invogliare alla partecipazione, ma la gioia di dare, di aprire il proprio cuore verso gli emarginati e i deboli, un incontro che deve essere non solo d’emozioni e sentimenti, ma vivo e tangibile perché chi si trova a vivere un disagio ha bisogno non di compassione, ma di risposte pronte e concrete.
Penso di tornare presto a Lomè per continuare il cammino intrapreso, sperando di coinvolgere altre persone che condividano i miei progetti e i miei obiettivi.