Bolivia: la nuova autostrada, controversia tra potenze mondiali

[Nota: Traduzione di Chiara Orsini dall’articolo originale di Arun G. Mukhopadhyay pubblicato su openDemocracy]

Un progetto autostradale controverso, che percorrerà il Territorio Indigeno e Parco Nazionale “Isiboro-Secure” (in spagnolo, El Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Secure – TIPNIS), una zona unica per la sua biodiversità, estesa per 10.910 chilometri quadrati nel cuore della Bolivia, ha scatenato proteste nel Paese e la questione è tornata nuovamente alla ribalta nella politica nazionale da metà dello scorso anno. Una questione che riguarda un segmento di un’arteria stradale che coinvolge diversi Paesi, collegando le coste del Pacifico e dell’Atlantico attraverso il suolo boliviano. La Banca di sviluppo brasiliana (BNDES), il principale finanziatore dello sviluppo del Brasile dal 1952, ha accettato di concedere al governo boliviano un prestito pari all’80% dei 415 milioni di dollari necessari per costruire la strada nel TIPNIS al fine ultimo di estendere la propria influenza regionale.

Nel luglio del 2011, i titolari di diritti reali sul terreno collettivo del TIPNIS avevano manifestato preoccupazione per la mancata consultazione con le popolazioni indigene e gli effetti negativi del progetto per le comunità locali. Queste avevano organizzato una marcia verso la capitale boliviana, La Paz, chiedendo che il progetto fosse abbandonato. A sostenere la marcia vi erano esponenti di due importanti organizzazioni indigene: la Confederazione dei Popoli Indigeni della Bolivia (CIDOB) e il Consiglio di Ayllus e Markas del Qullasuyu (CONAMAQ). La marcia aveva poi raggiunto La Paz nel mese di ottobre ed era riuscita ad ottenere che il Parlamento e il Governo boliviano revocassero la legge che avallava la costruzione della strada.

Nel mese di dicembre, tuttavia, il Consiglio Indigeno del Sud (CONISUR) – formato da comunità indigene che vivono sulle pianure tra il TIPNIS e il “Poligono Sette”, una piccola area nella parte meridionale del Territorio Indigeno – aveva indetto una contromarcia. Questi gruppi sostengono fortemente la costruzione della strada, considerandola essenziale per ottenere l’accesso all’istruzione e ai servizi di salute pubblica, nonché per raggiungere mercati dove poter vendere i propri prodotti. La marcia pro-stradale del CONISUR era arrivata a La Paz lo scorso febbraio e il governo aveva proposto una nuova legge, con l’appoggio dei sostenitori dell’opera, la quale contemplava un giro di consultazioni tra i diversi gruppi indigeni. Il presidente boliviano Evo Morales aveva suggerito ai leader della marcia anti-stradale di avviare il dialogo con la leadership del CONISUR per risolvere la controversia, mentre la CIDOB e i gruppi del TIPNIS ritenevano che il processo di consultazione volesse ribaltare la precedente decisione del Governo nella quale il presidente aveva accettato di sospendere i lavori della strada. La nuova legge di consultazione ha però scatenato ulteriori proteste, perché i contrari alla costruzione stradale ne hanno rifiutato termini e condizioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano Pagina Siete di La Paz, Evo Morales aveva dichiarato “Coloro che rifiutano la consultazione vanno contro la Costituzione.” I leader della CIDOB hanno poi organizzato un’altra marcia verso La Paz per contestare i recenti sviluppi. Il 27 giugno 2012 più di 1.000 manifestanti indigeni sono entrati nella capitale boliviana. Il presidente ha accusato le forze conservatrici di sostenere la marcia del TIPNIS e attentare alla stabilità governativa,  ma i leader organizzatori della marcia hanno negato con forza le accuse ritenendole pure illazioni.

Esistono valide ragioni per dubitare della necessità di una strada che colleghi l’isolata regione settentrionale dell’Amazzonia boliviana con le zone centrali ed occidentali del Paese. La proposta di un “dibattito tecnico” sui dettagli del piano stradale, caldeggiata dall’Amministrazione boliviana delle Autostrade (ABC) nei primi mesi del 2012, continua ad escludere ogni altra alternativa finora formulata. L’ABC accoglie proposte diverse solo per il secondo segmento della strada tra Isinuta e Monte Grande. Nonostante le proteste di massa per sospendere la costruzione, l’ABC ha continuato a costruire il primo e il terzo segmento della strada. Nell’incontro, avvenuto il 3 giugno scorso, tra i leader del movimento anti-stradale e il Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), José Miguel Insulza, i primi hanno comunicato di non essere totalmente contrari al progetto, ma che preferirebbero evitasse di attraversare il Parco Nazionale. La CIDOB ha accusato il presidente Evo Morales al Vertice dei Popoli Rio+20 di negare i diritti dei popoli indigeni del Paese.

Nel gennaio 2012, lo scrittore Juan Carlos Zambrana è apparso in diretta su Al Jazeera per dire che la campagna di destabilizzazione contro il Governo di Evo Morales era stata condotta da organizzazioni non-governative finanziate dagli Stati Uniti come il Democratic Center, Amazon Watch e Avaaz e che tale tentativo è stato finanziato da USAID, NED, Open Society Institute (George Soros), Rockfellers, e altri. Inoltre, ha sostenuto, questi finanziatori hanno fortemente investito nel programma di riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale (REDD, nell’acronimo inglese), uno stratagemma neoliberista per annettere foreste tropicali con il pretesto di frenare la crisi climatica. L’obiettivo del REDD è quello di trasformare l’uso del territorio e i relativi rapporti di proprietà, ed è potenzialmente in grado di saccheggiare la socio-ecologia tropicale attraverso rimozioni coatte, violazioni dei diritti umani, frodi e militarizzazione.

Le fughe di notizie diplomatiche pubblicate su Wikipedia dimostrano che il Governo statunitense attraverso USAID ha finanziato la CIDOB. Quest’ultima ha supportato i proprietari terrieri di Santa Cruz contrari a Morales perché dispongano di una maggior autonomia nella regione e si è opposta alla consultazione delle compagnie petrolifere con le comunità indigene anche durante l’apertura di nuovi siti petroliferi nelle terre indigene. Gli stessi hanno anche lanciato un appello al governo boliviano perché abbandoni la sua opposizione al programma REDD cosicché i proprietari terrieri nel TIPNIS possano ottenere la remunerazione economica data dalla vendita dei crediti di carbone agli “inquinanti” Paesi industrializzati. L’“Accordo dei Popoli” raggiunto alla Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra (aprile 2010) condanna chiaramente il programma REDD, sostenendo che viola la “sovranità dei nostri popoli”. TIPNIS Subcentral, alleato della CIDOB, ha anche aspramente criticato alcune delle mosse strategiche della CIDOB in merito alla collaborazione con forze di destra che, in ultima analisi, minano gli interessi indigeni.

L’altra faccia della medaglia, come descritto da Jeffery Webber in un articolo pubblicato nel gennaio 2012, rivela che gli agroindustriali della soia nelle pianure orientali, tra cui Santa Cruz, hanno sempre giocato il ruolo di catalizzatore per servire i più ampi interessi del sub-imperialismo brasiliano. Si suppone che anche i “baroni della droga e del legname”, con collegamenti vari alle autorità governative, vadano a beneficiare di un più facile accesso attraverso il TIPNIS. La possibilità di enormi riserve di idrocarburi all’interno del TIPNIS è considerato un altro fattore importante nella prosecuzione del progetto, poiché la strada proposta ne faciliterebbe di gran lunga l’esplorazione. Lo sviluppo del progetto stradale TIPNIS è stato quindi letto come parte di un ambizioso progetto di integrazione regionale spinto dal capitale e dallo Stato brasiliani, noto come “Iniziativa per l’Integrazione dell’Infrastruttura Regionale del Sudamerica” (IIRSA). La strada proposta esporrebbe la regione settentrionale della savana boliviana ad un’ulteriore espansione capitalistica collegando i confini settentrionali e meridionali. La strada, tagliando in due il TIPNIS boliviano, è cruciale per il trasporto di beni brasiliani dalle zone occidentali ai porti del Pacifico nel Cile settentrionale.

Dal 2009, la Cina è diventata primo partner commerciale del Brasile, sostituendo gli Stati Uniti. Si vocifera che il valore di questo rapporto si sia attestato attorno ai 17 miliardi dollari tra il 2009 e il 2011, per lo più attraverso canali indiretti. Il modus operandi cinese in Africa e in America Latina inizia con il contatto dei fornitori per formare delle joint venture, seguite da fusioni e acquisizioni. Infine, le aziende cinesi iniziano il processo di “land grabbing” (accaparramento della terra, ndt) per garantirsi la futura fornitura di materie prime. La Cin ha fornito alle compagnie brasiliane miliardi di dollari di credito in yuan e la moneta brasiliana è stata ancorata alla fluttuante valuta cinese. Le relazioni economiche tra Brasile e Cina assomigliano alla classica interazione “Nord-Sud”, esemplificata dalle importazioni del Brasile di beni capitali e prodotti manufatti ed esportazioni di prodotti minerari, agricoli e d’energia che comportano infine la deindustrializzazione brasiliana.

Da quando Evo Morales è stato eletto presidente della Bolivia nel 2005, gli Stati Uniti, prima sostenuti dai capitalisti compradores del Paese, non sono riusciti ad incidere sulle politiche boliviane. Al contrario, la Bolivia ha rotto con le politiche statunitensi di guerra alla droga, proteggendo le coltivazioni di coca a conduzione familiare. La Bolivia ha arginato le pratiche che il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale utilizzavano per controllare le politiche finanziarie boliviane ed ha inoltre compiuto dei passi concreti verso l’integrazione regionale che compromettono le visioni statunitensi in materia di giustizia climatica e pace nel mondo. L’ordine mondiale sta rapidamente dirigendosi verso un bipolarismo sino-statunitense, con l’aumento sorprendente della Cina come potenza militare-industriale che sfida gli Stati Uniti anche in America Latina. In questo scenario, il presidente Morales può voler tendere a stringere un’alleanza strategica con la Cina per controbilanciare l’influenza statunitense. L’avvento del governo socialista di Morales in Bolivia iniziato nel 2005 ha spinto gli Stati Uniti in una “tacita competizione” per l’influenza politica nella regione andina. Nel 2006, l’ex presidente brasiliano Lula ha incontrato il suo omologo peruviano, Alan Garcia, che ha francamente dichiarato la sua preferenza per un’egemonia regionale brasiliana rispetto a quella statunitense. La Colombia, un forte alleato degli Stati Uniti, ha annunciato all’inizio del 2011 di collaborare con la Cina per costruire una ferrovia che colleghi le coste dell’Atlantico e del Pacifico e circondi il Canale di Panama.

Una rete di autostrade in costruzione con l’aiuto cinese per collegare cinque porti peruviani sulla costa del Pacifico mostra come la Cina stia rimodellando gli schemi commerciali regionali. Gli Stati Uniti, concentrandosi più sulla politica estera che interna durante il governo Obama e le precedenti amministrazioni, si sono procurati una perdita di “influenza, fiducia e credibilità” in tutta l’America Latina. L’accordo militare tra Stati Uniti e Colombia dell’agosto 2009 è stato fortemente criticato dalla maggior parte dei Paesi dell’America del Sud, compreso il Brasile. La mancanza di chiarezza nel normalizzare le relazioni USA-Cuba ha screditato la politica degli Stati Uniti. Il ruolo degli USA nel colpo di stato dell’Honduras del giugno 2009, sotto il pretesto di promuovere i valori democratici e contenere una fittizia minaccia comunista, è davvero molto controverso. Il 23 giugno scorso il Senato paraguaiano è stato sotto accusa e ha rovesciato il presidente Fernando Lugo, noto per aver difeso i diritti dei contadini. Argentina, Brasile, Venezuela, Cile, Bolivia e Uruguay hanno tutti condannato la cacciata di Lugo, presumibilmente ideata dagli Stati Uniti.

Anche se appaiono in declino in America Latina, gli Stati Uniti non possono lasciare che le aspirazioni egemoniche cinesi (leggi antiamericane) si facciano strada in un territorio del continente così vicino a loro. La polemica “indigeni contro indigeni” che aleggia sul progetto della strada TIPNIS potrebbe rivelarsi una guerra per procura in un nuovo, emergente, sistema mondiale bipolare.

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