In linea con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), le industrie indiane non possono, dal 1° gennaio 2005, produrre e commercializzare farmaci con diritti di brevetto garantiti in India.
Ma, secondo la Sezione 3(d) del suo Amended Patents Act (2005), l’India è libera di rigettare richieste di brevetto per nuove formulazioni di vecchi farmaci, a meno di un incremento significativo dell’efficacia terapeutica. L’Amended Patents Act, Sezione 11A(7), stabilisce anche che, ove compagnie indiane già producano, prima del 1° gennaio 2005, farmaci per i quali richieste di brevetto siano state depositate in precedenza, alle medesime sia lecito continuare la produzione al prezzo di ragionevole “royalty”.
Ma, a dispetto di queste tutele, le multinazionali del farmaco continuano a caricare prezzi esorbitanti (e inaccessibili) su farmaci salvavita di recente brevettazione, la cui importazione è in crescita in India.
L’industria “brand” guarda con estremo interesse all’India quale mercato in continuo sviluppo, con almeno 300 milioni di persone in grado di spendere di tasca propria per la salute, e dove il crescente benessere sta contribuendo all’aumento di quelle “chronic diseases” sinora proprie del mondo occidentale e fonte di cospicue, durevoli entrate per le compagnie farmaceutiche.
PricewaterhouseCoopers ha stimato che la vendita di medicine toccherà 30 miliardi di dollari nel 2020 in India, contro gli 11 miliardi del 2009.
Le multinazionali stanno investendo senza sosta nell’acquisto e rilevamento di industrie in India, secondo una strategia in cui i prezzi più bassi applicati al prodotto finale sono compensati dai minori costi di produzione, distribuzione e marketing. E stanno vendendo farmaci “brand” in India sottocosto rispetto ai mercati occidentali, nel contempo avallando (e rendendosi garanti per) la commercializzazione di medicine prodotte da industrie locali (cosiddetti “branded generics”) per creare portafogli di medicine di basso costo.
Queste tattiche destano preoccupazione ora che negoziati commerciali di matrice USA (Accordo anti-Contraffazione o ACTA e Accordo di Partenariato Trans-Pacifico o TPPA) sono in avanzata definizione e largamente criticati, in India e altrove, quali iniziative “a porte chiuse” sospette di:
-facilitare la brevettazione di nuove forme di vecchi farmaci prive di efficacia terapeutica aggiunta (“evergreening strategy”),
-limitare la cosiddetta “pre-grant opposition” cioè la liceità di opposizione ad una richiesta di brevetto prima della accettazione,
-impedire alle autorità regolatorie l’approvazione di nuovi farmaci ove potenzialmente in violazione con brevetti esistenti,
-esacerbare la normativa WTO (ad esempio, estendendo la durata dei brevetti, consentendo alle autorità doganali il sequestro di farmaci in transito al solo sospetto di violazione di diritti di proprietà intellettuale, o applicando protezioni dei dati dei detentori di brevetto oltre la richiesta WTO di tutela solo contro lo sleale uso commerciale).
Senza contare che clausole negative per l’accesso equo alle medicine potrebbero presto approvarsi in un negoziato bilaterale EU-India ormai prossimo a conclusione. Queste includerebbero un “investor-state mechanism” che consentirebbe a controparti “private” di sfidare decisioni governative ritenute lesive di legittime attese su ritorni di investimento.
Queste realtà configurano una minaccia all’attuale ruolo dell’India quale principale fornitore di farmaci essenziali per i Paesi poveri.
Ma le cose potrebbero cambiare adesso che il governo indiano sta adottando contromisure per sfuggire al controllo delle multinazionali. Come i casi di “imatinib e sorafenib” sembrano dimostrare.
Oltre la stretta: Imatinib e Sorafenib
• In armonia con la Sezione 3(d) Amended Patents Act, nel 2006 l’ India rifiutò una richiesta di brevetto della multinazionale svizzera Novartis per il farmaco oncologico imatinib mesylate (Glivec®) in quanto sprovvisto di dimostrato aumento dell’efficacia terapeutica.
E, in sintonia con altre decisioni contro strategie “evergreening”, ricorsi successivi di Novartis vennero bocciati.
Oggi, mentre Novartis insiste a contestare l’interpretazione della Sezione 3(d) con un nuovo ricorso in agenda presso l’Alta Corte indiana nel luglio prossimo, copie di imatinib mesylate a prezzi stracciati sono prodotte e distribuite in India dalle compagnie nazionali Natco Pharma e Cipla.
• Nel marzo 2012, l’India ha emesso la sua prima licenza coercitiva (CL) avverso il farmaco oncologico sorafenib tosylate (Nexavar®) della multinazionale tedesca Bayer colpevole di non avere reso il prodotto adeguatamente disponibile in India. La CL ricorre quando, in linea con le regole WTO, un governo permette ad una parte terza di riprodurre un prodotto o presidio brevettato senza il consenso del detentore del brevetto.
La decisione di marzo è senza precedenti per l’India, e in controtendenza rispetto alla riduzione d’uso della pratica CL nel mondo.
Secondo i termini, la compagnia Indiana Natco Pharma produrrà e distribuirà un sorafenib tosylate generico in India a 178 dollari per fabbisogno mensile (un trentesimo del prezzo Bayer), elargendolo altresì gratis ad almeno 600 pazienti ogni anno.
In risposta, Bayer ha emesso ricorso, con dibattimento fissato presso la Corte indiana il prossimo 21 agosto.
In simultanea, e con vibrato disappunto Bayer, la compagnia indiana Cipla ha deciso di contrarre il prezzo di vendita della sua versione generica di sorafenib a 125 dollari per fabbisogno mensile (addirittura inferiore al pezzo Natco).
Massimizzare i risultati
Gli effetti delle riferite prese di posizione indiane saranno massimizzati se l’India investirà maggiormente in risorse e fondi per competitività di mercato e per incentivi allo sviluppo farmacologico.
Accanto a sgravi fiscali, “grants” per ricerca e sviluppo, e riallocazione delle priorità di spesa pubblica, il governo indiano dovrebbe incrementare il programma nazionale contro la “fuga dei cervelli”, e dare ulteriore impulso a partenariati con economie emergenti per espandere mercato, conseguire vantaggiosi “regulatory approvals” e ridurre i costi di sviluppo farmacologico.
Quale ago della bilancia nel complessivo equilibrio della regione Asia-Pacifico, l’India ha oggi più voce in capitolo per realizzare e massimizzare queste premesse.
E misure per promuovere sinergie con l’Africa, comprensive di “capacity building”, innovazione per lo sviluppo, e trasferimento di conoscenze per avanzato “health care”, sono state concordate e approvate nel corso del recente meeting India-Africa in Nuova Delhi lo scorso marzo.
[Nota: l’articolo originale di Daniele Dionisio – corredato da link e ulteriori informazioni sull’argomento – è apparso su Equilibri.net e ripreso dietro autorizzazione].