RDC: elezioni e violazione dei diritti umani
Nelle scorse settimane sono stati pubblicati due rapporti internazionali concernenti le recenti elezioni presidenziali e legislative tenutesi nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), che hanno condotto alla contestata rielezione del presidente Joseph Kabila, alla guida del paese dal 2002. Si tratta, in particolare, del rapporto finale della Missione di Osservazione Elettorale dell’Unione Europea (MOE) e del rapporto dell’ONU sulle violazioni dei diritti umani perpetrate prima e durante la tornata elettorale; quest’ultimo ha fatto seguito a quello già pubblicato lo scorso 1 novembre.
Il rapporto della missione UE afferma chiaramente che i dati definitivi pubblicati dalla CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) non sono credibili, alla luce delle irregolarità riscontrate. Nel dettaglio, le conclusioni della Missione dell’Unione Europea, innanzitutto, confermano e approfondiscono dubbi e osservazioin che erano emersi in maniera piuttosto evidente all’indomani della pubblicazione dei risultati ufficiali delle consultazioni. In particolare, in merito alla decisiva riserva di voti pro-Kabila registratasi nelle province di Bandundu e Katanga, gli osservatori europei rilevano la sostanziale impossibilità di spiegare tali dati sulla base di una analisi politica razionale. Sono emersi, inoltre, numerosi rilievi concernenti il quadro giuridico in materia elettorale, sia con riferimento alla stessa Costituzione congolese, sia rispetto agli standard internazionali.
Non manca, quindi, un’osservazione sull’inopportunità, in un quadro socio-politico caratterizzato da una persistente instabilità e da una marcata frammentazione etno-regionale, della riforma costituzionale approvata nel gennaio 2011, mediante la quale il procedimento per l’elezione presidenziale è stato ridotto ad uno scrutinio a turno unico.
Altri elementi critici segnalati sono la sostanziale mancanza di indipendenza, a dispetto del nome, della CENI e il mancato insediamento di una Corte Costituzionale provvista di giurisdizione in materia elettorale, con la conseguente attribuzione alla Corte Suprema di Giustizia (CSJ) della competenza a giudicare su tutto il contenzioso in materia elettorale. Vengono sottolineate, infine, le rilevanti incongruenze registratesi nella pubblicazione dei risultati elettorali, provvisori e definitivi.
Lo stesso rapporto UE affronta poi il tema dei diritti umani e delle relative violazioni perpetrate prima, durante e dopo la tornata elettorale, materia cui è interamente dedicato il rapporto dell’Ufficio congiunto dei diritti umani dell’ONU (BCNUDH), pubblicato lo scorso 29 marzo. Lo stesso Ufficio congiunto ONU aveva, peraltro, già pubblicato un analogo rapporto riferito al periodo pre-elettorale (novembre 2010- settembre 2011).
Tornando al rapporto della MOE UE, le raccomandazioni finali toccano tutti gli aspetti sensibili del processo elettorale, e investono sia il lato giuridico-legislativo, suggerendo l’adozione di nuove misure giuridiche o l’implementazione organica di regole già previste dall’ordinamento, sia l’effettiva imparzialità e operatività degli organi giudiziari e di controllo, con particolare riferimento all’esame delle denunce di irregolarità elettorali e delle violazioni dei diritti umani riscontrate durante il periodo elettorale.
In particolare, nei giorni immediatamente successivi al voto, l’operato del predetto Ufficio Congiunto si è focalizzato sulla città di Kinshasa, laddove gli scontri politici e, più in generale, le manifestazioni politiche si sono concentrate in larga parte. Sono state, in tal senso, documentate decine di uccisioni arbitrarie, derivanti da un utilizzo sproporzionato della forza da parte delle forze di polizia, numerosi feriti, arresti, detenzioni arbitrarie ed altre violazioni ai diritti fondamentali alla vita, all’integrità fisica ed alla libertà personale.
La dialettica tra Kinshasa e le Nazioni Unite
L’operato degli uffici ONU nella RDC non si è limitato, durante il periodo elettorale, all’investigazione ex-post sulle violazioni ai diritti fondamentali commesse dai vari soggetti in campo e, in particolare, da parte delle forse di sicurezza. Interessante, in tal senso, è l’iniziativa della linea verde gestita dallo stesso Ufficio congiunto, per consentire la denuncia di atti commessi dalle forze di polizia in violazione dei diritti umani. Tale iniziativa da un lato è risultata propedeutica alle successive inchieste condotte dall’equipe che ha poi condotto al rapporto sopra citato; ma dall’altro è senz’altro un ottimo strumento di sensibilizzazione alla partecipazione della popolazione congolese: un riferimento in un quadro politico-istituzionale tuttora poco credibile e affidabile, tanto più in tema di protezione dei diritti fondamentali.
La reazione del governo di Kinshasa è stata improntata ad una difesa formalistica dalle accuse formulate dal rapporto ONU, insistendo per lo più sull’assenza di prove inconfutabili a sostegno di quanto asserito nel documento dell’Ufficio Congiunto per i diritti umani.
Viene, anzi, sottolineato il ruolo attivo nelle violenze dei militanti dell’opposizione, escludendo, nella sostanza, un utilizzo sproporzionato della forza da parte della polizia congolese.
In altri termini, il governo ha evitato di fornire risposte politiche, limitandosi ad un mero atto pseudo-giudiziario di replica formale alle contestazioni mosse, laddove le circostanze avrebbero invece richiesto considerazioni e disamine complessive della situazione, al di là della mera sottolineatura delle presunte carenze probatorie delle Nazioni Unite.
Un raffronto con il 2006
Più in generale, comparando i rapporti UE e ONU con gli analoghi documenti prodotti nel 2006, anno delle precedenti elezioni, la situazione non sembra aver subito evoluzioni significative, soprattutto in materia elettorale. Se, infatti, sul piano dei diritti umani le pur gravi violazioni riscontrate nella recente tornata elettorale sembrano meno diffuse e gravi rispetto al 2006, sul piano del sistema elettorale, scorrendo il rapporto della missione elettorale dell’Unione Europea del 2006, emerge come alcune tra le questioni più spinose, quali il ruolo e l’imparzialità della Commissione Elettorale Nazionale e la formazione delle liste elettorali siano ancora lungi dal trovare una compiuta soluzione.
Va, peraltro, rilevato come, sul piano dei diritti umani, la situazione generale del paese, ma anche e soprattutto il profilo del maggiore candidato dell’opposizione nel 2006, Jean-Pierre Bemba fosse agli antipodi rispetto ad Etienne Tshisekedi, principale candidato anti-Kabila nel 2011, per storia personale e metodologia di azione politica.
Non a caso, nel 2011 l’Ufficio Congiunto ONU ha rivelato, per lo più, situazioni di repressione da parte delle forze di sicurezza statali rispetto a manifestazioni dell’opposizione, laddove nel 2006, numerosi furono gli scontri, anche estremamente violenti, tra sostenitori di Bemba e di Kabila.
Conclusioni
Dalle risultanze dei suddetti rapporti emergono, in primo luogo, le persistenti gravi difficoltà della giovane e precaria democrazia congolese. I gravi problemi di sicurezza nell’est del Paese, le condizioni di estrema povertà di larga parte della popolazione e le croniche e strutturali insufficienze di uno Stato collocato dalla rivista Foreign Policy ad un non invidiabile quinto posto nella graduatoria dei cosiddetti failed states, rendono vieppiù difficili progressi sensibili sul piano del buon governo e della partecipazione democratica.
Sullo sfondo, la recente evoluzione delle relazioni internazionali di tutto il continente africano e, in particolare, della RDC, rischia di porre ulteriormente in crisi il meccanismo di controllo democratico posto in essere dalle organizzazioni internazionali; è ben noto, infatti, come le relazioni economiche con i principali nuovi partner mondiali, e con la Cina in particolare, risultino prive di qualsiasi legame con le questioni politiche e umanitarie interne al grande Paese centro-africano, delineando uno standard di rapporti bilaterali più schiettamente legato agli interessi degli Stati contraenti con preminenza, ovviamente, del colosso asiatico.
Se la presenza economica, commerciale e di cooperazione dei paesi occidentali tende a declinare, è realistico, in ultima analisi, prevedere un possibile declino di quegli strumenti, quali le missioni di osservazione elettorale, che costituiscono espressione della cultura giuridico-politica occidentale e del conseguente modello di relazioni internazionali.
[Nota: l’articolo originale di Silvio Favari è apparso su Equilibri.net e ripreso dietro autorizzazione].